Stand by Me - Ricordo di un'estate, i trent'anni di un amico che non invecchierà mai

Il primo film che ha contribuito a far conoscere il lato "non horror" di Stephen King compie trent'anni

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È curioso.

Molto curioso.

Mi riferisco al fatto che Stranger Things, la splendida serie tv dei fratelli Duffer più kinghiana di buona parte degli adattamenti cinematografici o televisivi basati sulle opere dello scrittore di Portland, sia arrivata su Netflix questa estate. C'è un passaggio dello show televisivo che per stessa ammissione degli autori è copincollato da Stand By Me – Ricordo di un'Estate, coi ragazzini intenti a camminare sulle rotaie del treno. Questa volta non c'è di mezzo il cadavere di Ray Brower, ma una strana ragazzina che sembra uscita fuori da L'Incendiaria e un terrificante demogorgone, ma sono questioni di lana caprina. In questo mese di agosto 2016, l'indimenticabile film di Rob Reiner, compie 30 anni. Un traguardo importante che spesso, nella vita di una persona rappresenta quel “giro di boa” in cui, all'improvviso, il tempo comincia a scorrere con una velocità dieci volte più rapida di prima. Vai a dormire una sera e il giorno dopo ti svegli che hai già 40 anni.

È curioso come il film abbia involontariamente inaugurato un filone fatto di splendide traduzioni filmiche di tre dei quattro racconti contenuti nella seconda raccolta di novelle pubblicata da Stephen King, Stagioni Diverse. Dopo di quest'opera sarebbero arrivati, nel 1994, Le Ali della Libertà (da Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank) e nel 1998 L'Allievo (da Un Ragazzo Sveglio). Il Metodo di Respirazione è – ancora – il grande assente per motivi di difficoltà... narrativa, per così dire.

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È curioso come, a loro volta, due di queste tre pellicole siano unite nella tragedia, accomunate come sono dalla prematura scomparsa di una delle giovani star protagoniste: River Phoenix, morto nel 1993 a soli 23 anni, e Brad Renfro, deceduto nel 2008 a 26.

È curioso come Stand by Me, in un decennio come gli anni '80 in cui ogni persona cresciuta a pane, Notte Horror, Zio Tibia e claim stile “tratto da un romanzo del Re del Brivido”, sia stata la prima, riuscitissima incarnazione cinematografica di uno scritto che con l'orrore – quantomeno quello irreale fatto di spaventosi pagliacci che vivono nelle fogne e negozianti che paiono sempre avere l'oggetto di cui abbiamo bisogno e che non vogliono ricevere in cambio del denaro per esso, ma solo... un favore di poco conto – non ha molto a che fare. Gli anni di Il Miglio Verde, Cuori in Atlantide e 22.11.63 erano ancora lontani. Per tutto il mondo, colui che da sempre ama definirsi con quel tipico pragmatismo all american, come “l'equivalente letterario di un Big Mac”, era solo un ricco venditore di storie di paura e non un fulgido, riconosciuto rappresentante del mondo letterario statunitense. Dirty Deeds Done Dirt Cheap.

L'8 agosto del 1986, Stand by Me – Ricordo di un'Estate approdava in limited release nei cinema americani, prima di essere distribuito su larga scala il 22 agosto. L'illuminata decisione di ribattezzare la pellicola con il titolo dell'immortale brano di Ben E. King che accompagna i titoli di testa e di chiusura, come è stato raccontato da co-sceneggiatore Raynold Gideon, fu proprio del regista Rob Reiner. Chiamarlo The Body, Il Corpo, sarebbe stato troppo fuorviante. Poteva sembrare un film “sexy”, uno sul bodybuilding o l'ennesimo adattamento di una storia horror di King.

E invece non era così.

Stand By Me è stata la prima testimonianza filmica di una delle più apprezzabili - e inizialmente sottovalutate - abilità di Stephen King: l'accuratezza nel saper raccontare quello che in inglese chiamano il “coming of age”.

Il passaggio all'età adulta.

Ma badate bene. Diventare adulti, per i ragazzini di Stand by Me, non significa abbandonare anni fatti di leggiadra inconsapevolezza ed entrare nella maturità. Malgrado i discorsi intorno al fuoco e le domande a base di “È più forte Superman o Braccio di Ferro?”, ognuno di loro è già portatore di un dramma personale in cui il sostegno degli adulti è del tutto assente. Di dolori e sofferenze che non è giusto provare a una simile età. I genitori – alcolizzati o depressi per la morte del “figlio sbagliato” - aggiungono solo altra sofferenza, altro immotivato senso di colpa e sono destinati a parlare un'altra lingua, come quando nei cartoni animati dei Peanuts sentiamo gli adulti esprimersi con delle incomprensibili trombette.

Gordie, Chris, Teddy e Vern possono solo sostenersi vicendevolmente, magari litigando fra di loro e vomitando la sofferenza l'uno addosso all'altro, ma gli amici non servono, forse, anche a questo?

Osservare il corpo, gli occhi senza vita del ragazzo sbalzato via dal treno, doveva essere un modo per diventare delle “celebrità locali”, ma, in realtà è l'occasione in cui capire che il loro coetaneo Ray Brower non potrà mai più parlare di supereroi, non potrà più bighellonare in giro con i suoi amici, non avrà mai modo di attraversare quegli anni in cui la paura di essere catturati dal mostro che vive sotto al letto verrà sostituita da quella di non riuscire a far quadrare i conti a fine mese.

“Si è giovani una volta sola”

“Sì, ma si rimane stupidi per sempre”

Ray Brower, purtroppo per lui, resterà giovane per sempre, gli occhi vitrei indirizzati per sempre verso un cielo che da lui non può più essere visto.

Rob Reiner, che l'anno dopo avrebbe fondato la Castle Rock Entertainment omaggiando una delle tre città di finzione del Maine in cui Stephen King ambienta molte delle sue storie (le altre due sono Derry e Jerusalem's Lot) e che nel 1990 avrebbe regalato al mondo un altro capolavoro kinghiano, Misery Non deve Morire, è stato il primo regista a capire questo lato fondamentale dello scrittore americano.

Forse mettendosi più umilmente “al suo servizio” con un film che tutto sommato varia in maniera trascurabile dal racconto, laddove ad esempio Stanley Kubrick, con il suo Shining, aveva riplasmato a suo piacimento l'ossatura narrativa dell'omonimo romanzo.

E nel 1986 come oggi nel 2016 chiunque potrà sentire come sua l'indelebile, dolceamara affermazione di un Gordie Lachance ormai cresciuto

“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?“

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