Stan Lee: l'eredità e il lascito indelebili del nostro nonno americano

Il ricordo e il patrimonio culturale lasciato da Stan Lee

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Fantastic Four #124, copertina di John Buscema

Questo è uno di quei pezzi che non si vorrebbe mai scrivere, perché significa che stai per parlare di una persona, di un autore, che se n'è andato, che non c'è più. Quando però quell'autore è uno dei più grandi cartoonist - è giusto dirla all'americana – di ogni tempo, ti arrendi, perché sai che glielo devi per tutto quello che ti ha dato, per come ti ha riempito la vita con le sue opere.

Di cosa e quanto sia stato capace di fare per i comics e per il Fumetto mondiale il “demiurgo” dell'Universo Marvel, ne ho parlato qualche anno fa, nella rubrica BadChronicles: in quelle righe ho provato a riassumere cosa Stanley Martin Lieber abbia rappresentato per la Nona Arte. Oggi, mi piacerebbe esprimere cosa Stan Lee abbia rappresentato per me, e credo per tutti noi lettori.

Aveva la stessa età della mia nonna materna, quella con cui sostanzialmente sono cresciuto e che maggiormente mi ha viziato da piccolo, a cominciare dai “giornalini”, come li chiamava lei, che mi comprava quando eravamo in vacanza assieme; me li prendeva che non sapevo ancora leggere, “tanto, guardi le figure, di si breut mur [di quelle brutte facce]”, mi diceva.

Il primo albo a fumetti che strinsi fra le mani, proprio grazie a lei, fu un numero di Fantastici Quattro pubblicato dall'Editoriale Corno, di cui solo parecchio tempo dopo ne imparai il titolo e i credits: Il ritorno del mostro (Fantastic Four #124, luglio 1972), ovviamente scritto da Stan Lee e illustrato da John Buscema.

Qualche anno dopo, nello stesso luogo di villeggiatura, nonna acquistò per me un pupazzo - oggi si direbbe un'action figure - dell'Uomo Ragno: uno dei regali più belli che possa rammentare. Stan Lee è entrato così nella mia vita, grazie a mia nonna. Erano coetanei, non l'ho mai dimenticato. Anzi ci ho pensato tante volte quando lei mi ha lasciato, e Stan, il “mio nonno americano”, era ancora vivo. I fumetti di Spider-Man hanno accompagnato tutta la mia adolescenza e la mia giovinezza, fino all'età adulta, nel bene e nel male, nella buona sorte e nel dolore. Amen.

I Fantastici Quattro 122 (dicembre 1975)

Non era più Stan Lee a scrivere quelle avventure, ma era il suo personaggio a continuare a viverle. La grande differenza tra il protagonista di un fumetto seriale e quello di un romanzo seriale è che solitamente nel secondo caso quando il suo autore decide di abbandonarlo - oppure lui stesso muore - il personaggio se ne va con lui: non avrà un futuro, non vivrà più vicende inedite.

Nei fumetti, ciò non accade. Quando un autore crea un personaggio seriale, lo sta consegnando alle future generazioni, non solo di lettori ma anche di scrittori e disegnatori: lo sta consegnando all'eternità. Si è soliti dire che l’opera sopravvive a chi la realizza e resta per sempre, ma nel Fumetto non solo resta, continua vivere di vita propria, attraverso l'eredità lasciata a nuovi autori.

È certamente questa la parola chiave che più trovo consona oggi per parlare di Stan Lee: eredità. Mai nessuno prima di lui - e probabilmente neppure dopo - in nessuna arte visiva, è stato in grado di creare un universo così variegato di personaggi buoni e cattivi, di eroi e di mostri. Un uomo, da solo, ha concepito un pantheon di super campioni e villain degno di fronteggiare quello della Distinta Concorrenza, la DC Comics, il cui universo narrativo è il frutto e il contributo di decine e decine di autori. Quando si parla di universo narrativo nel suo significato più coerente e coeso, non si può che pensare a quello della Marvel e quindi a chi ne ha gettato le fondamenta: Stan Lee.

Il Sorridente, e lo è sempre stato, fino ai suoi ultimi giorni, ha realizzato un altro grande lascito, ancora più prezioso e profondo dei suoi stessi personaggi. Scalzando i super eroi dal loro piedistallo di infallibilità, onnipotenza e purezza: ci ha consegnato figure fragili, problematiche, nelle quali immedesimarcisi del tutto. Prima di Lee, un ragazzo poteva aspirare a essere il sidekick, il Robin di turno. Con “super eroi con super problemi” abbiamo finalmente potuto essere noi gli eroi, condividere con loro i nostri guai, affrontandoli e risolvendoli insieme.

Amazing Spider-Man #1, copertina di Jack Kirby

L'insegnamento di Lee ha una portata ancora più ampia. Un personaggio, persino un super eroe, non è un blocco di pietra che non cade mai, che non conosce sconfitta o evoluzione. Un personaggio è vivo quanto lo è una persona in carne e ossa, cambia come noi, sbaglia come noi, impara e cresce. I super eroi hanno le nostre stesse debolezze e qualità.

Solo dopo Stan Lee sarebbero potuti venire - e soprattutto avremmo potuto capire - Frank Miller, Alan Moore, Warren Ellis, Garth Ennis e tanti altri nomi che, a loro modo, con la personalità che li contraddistingue, hanno portato avanti il nucleo dei precetti di "The Man".

Si potrebbe parlare e scrivere all'infinito di colui che, grazie alla nonna, ho incontrato per puro caso. Il mio più grande rammarico resta quello di non averlo mai incrociato di persona, anche solo per stringergli la mano e ricevere da lui il suo ineguagliabile sorriso, quello del “mio nonno americano”.

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