Spielberg Month: Minority Report è lo Spielberg più sperimentale di sempre
Lo Spielberg Month prosegue con Minority Report, film di fantascienza del 2002 con Tom Cruise in cui il regista mescola sci-fi, noir, giallo, politica e filosofia
Sperimentale
È il termine che Spielberg ama usare più spesso quando parla con la stampa della nuova avventura Minority Report. La ventesima regia per il cinema di un grande cineasta di 56 anni arriva in un momento di nuova definizione della sua carriera. I favolosi anni '90 iniziati dal problematico Hook si sono risolti in un trionfo sia per il regista adulto (Schindler's List, Amistad, Salvate Il Soldato Ryan) che per quello bambino (Jurassic Park, Il Mondo Perduto - Jurassic Park). Sono arrivati finalmente gli Oscar che contano per Miglior Film (Schindler's List) e Miglior Regista (Schindler's List, Salvate Il Soldato Ryan). Non finiremo mai di digitare quanto per la gran parte dei cineasti nordamericani, con l'eccezione negli anni di Stanley Kubrick e Woody Allen, l'Oscar rappresenti un premio fondamentale per dare un reale senso di successo alla propria carriera. Martin Scorsese confidava a Spike Lee quanto ritenesse deprimente la non vittoria dell'Oscar nella sua carriera prima che The Departed (2006) mettesse a posto le cose. Robert Altman, non proprio un artista hollywoodiano ligio al culto della Mecca del Cinema e integrato dentro il sistema, si commosse platealmente alla consegna dell'Academy Award alla carriera nel 2006. David Lynch era in cinquina tutto speranzoso quel 30 marzo del 1987 prima di applaudire entusiasta al nome di Oliver Stone come trionfatore per Platoon contro il rivale Velluto Blu. Spielberg alla fine dei '90 è al top della forma psicofisica. Ha incassato, ha vinto gli Oscar che contano, è stato un enfant prodige, ha inventato il blockbuster estivo e poi è stato un regista sempre più stimato dall'Academy in grado di riconoscergli dopo i primi tentativi sfortunati con Il Colore Viola (1985) e L'Impero Del Sole (1987) la patente di regista "serio" e "adulto". Si manifesta anche la certezza in lui di avere un senso di responsabilità circa la memoria, i sogni e le frustrazioni di alcuni suoi colleghi e/o maestri. È buffo perché è un qualcosa che abbiamo visto in lui prepotentemente riemergere in questo ultimo anno attraverso The Post (gli ultimi minuti del film sono un calco affettuosissimo e pieno di amore nei confronti dei primi minuti del capolavoro di Pakula Tutti Gli Uomini Del Presidente) e Ready Player One (attraverso un eclatante remix di una delle pietre miliari della Storia Del Cinema). Il film che vede Spielberg assumersi la responsabilità di finire un progetto incompiuto di un altro genio è, ovviamente, A.I. - Intelligenza Artificiale (2001) coltivato per anni, come già Schindler's List prima che Spielberg lo superasse in velocità, da un certo Stanley Kubrick. Prima che l'11 settembre 2001 intervenga prepotentemente a influenzare l'arte di un sincero patriota come il regista di Salvate Il Soldato Ryan e Lincoln (prime reazioni di Spielberg di fronte all'attacco alle Torri Gemelle: 1) esplicita la ferma volontà di non voler più realizzare film violenti 2) rimuove digitalmente le pistole da E.T. mettendo al loro posto dei walkie-talkie) arriva nella sua filmografia, incastrato tra A.I. e Prova A Prendermi (2002), questo piccolo-grande film sci-fi che fatica non poco per avere il PG-13, è più lungo di due ore (145 minuti), ha una trama intricatissima e pone Spielberg in diretta concorrenza con l'inglese algido proveniente dall'eleganza pittorica Ridley Scott, il suo fratello più punk proveniente dalla satira Terry Gilliam e un maestro della provocazione olandese al secolo Paul Verhoeven.
Il titolo di questo neo-noir/sci-fi/giallo/poliziesco/action è Minority Report.
C'era una prima volta
Primo adattamento da Philip K. Dick per Steven Spielberg in occasione di quello che doveva essere addirittura un sequel di Atto Di Forza di Paul Verhoeven quando si iniziò a traghettare questo racconto minore di Dick pubblicato nel 1956 (The Minority Report) verso il grande schermo per volere del produttore Gary Goldman nel lontano 1992. Nonostante tanti passaggi di mano in sceneggiatura nel corso di 10 anni, quell'aria verhoeviana rimarrà indelebilmente presente nello script definitivo. Prima volta, dopo tanti tentativi, di collaborazione regista-attore tra Spielberg e Tom Cruise, una delle più grandi star del dopoguerra hollywoodiano. L'incasso totale dei due, messe insieme le rispettive filmografie, era arrivato nel 2002 alla cifra impressionante di più di 4 bilioni di dollari al botteghino. Dopo la fantascienza internazionalista, pacifista, anti-guerra fredda e convintamente progressista perché figlia di Ultimatum Alla Terra (1951) di Robert Wise rappresentata da Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo (1977) e quella più intima e disneyana di E.T. (1982), Spielberg arriva al suo terzo film di fantascienza ad adattare quel Dick diventato simbolo di sci-fi adulta dopo il flop poi diventato cult movie Blade Runner (1982) di Scott, pellicola con cui Minority Report del 2002 ha più di qualcosa in comune. Ecco un breve elenco delle maggiori similitudini: 1) il poliziotto John Anderton di Tom Cruise è il capo della sezione speciale Precrime, in grado di arrestare il criminale prima che compia il delitto grazie alle previsioni "magiche" di tre figli di tossicodipendenti detti Precog (il Rick Deckard di Harrison Ford era il "Blade Runner" più bravo quando lavorava in Polizia in quella speciale task force che faceva fuori gli androidi replicanti più ostili e ingestibili); 2) Anderton entra dentro una scena criminale previsualizzata da un Precog con la capacità di "viaggiare" dentro quelle immagini in movimento ascoltando il suo amato Schubert e gesticolando davanti agli ologrammi (Deckard "penetra" dentro una fotografia per studiarne i dettagli più minuziosi in scena strepitosa di Blade Runner); 3) Anderton stabilisce una connessione umana e politica con i Precog vedendo oltre il ruolo sociale di queste bizzarre creature e trattandoli come individui (Deckard capirà le ragioni dei replicanti entrando in connessione con le frustrazioni politiche ed esistenziali di quelle intelligenze artificiali); 4) esiste la città con i suoi spazi avveniristici ma anche la campagna con chalet e catapecchie simili alla nostra realtà agreste (Deckard e la replicante Rachel guideranno attraverso la natura nello storico finale di Blade Runner imposto dai produttori); 5) questa Washington D.C. del 2054 è ricca di futuro (il traffico cittadino è silenziosissimo e non inquinante perché a levitazione magnetica) ma anche di oggetti provenienti dal passato come schiere di case dall'architettura georgiana (nella Los Angeles del 2019 in cui vive Deckard si "percorre" la città in astronave ma i giornali sono ancora quelli tipografici del '900 -a differenza di Minority Report- e i drink si bevono ancora dentro i "vetusti" bicchieri).
Steven vs. Terry
Una società a rischio totalitarismo, un eroe in fuga perché già accusabile di un delitto che ancora non ha commesso (tipica paranoia dickiana), forze speciali di polizia che entrano brutalmente nelle case dei cittadini borghesi e un finale forse, ma solo forse, estremamente pessimista. Interessante, dopo quella con Blade Runner, anche la dialettica tra Minority Report e il superiore Brazil (1985). Ma mentre Gilliam è netto nel distruggere l'happy end rivoluzionario che ha appena proposto allo spettatore facendoci vedere che è stato tutto frutto di un viaggio mentale superomista (l'ennesimo) del suo protagonista idiota sempre con la testa tra le nuvole (Gilliam odia il supposto eroe di Brazil) poco prima di morire torturato (facendo infuriare il grande fan di Spielberg Sid Sheinberg all'epoca capo della Universal che prova in tutti i modi a non far uscire in sala Brazil con quel finale)... Spielberg invece è molto più ambiguo suggerendo, ma solo suggerendo, una possibile natura onirica dell'happy end del suo Anderton, il quale potrebbe aver avuto quel sogno ottimista una volta imprigionato nelle celle di contenimento dove risiedono i prigionieri della sezione Precrime. Alcuni spettatori, e critici, ne sono proprio convinti.
Ieri, Oggi, Domani
È vero che è il film più noir e hitchcockiano del geniale Spielberg. Eroe forse totalmente innocente incastrato e inseguito (come Cary Grant in Intrigo Internazionale), musica di John Williams che omaggia Bernard Hermann e poi tanti ammiccamenti cinefili alla tradizione gialla e hardboiled attraverso La Fuga (1947) di Delmer Daves (lì faccia nuova per Humphrey Bogart; qui occhi nuovi... e viso diverso, ma non diversissimo, per Tom Cruise) e i celebri scrittori di omicidi & investigazioni Arthur Conan Doyle, Agatha Christie e Dashiell Hammett (sono i nomi dei tre Precog). C'è tantissima carne al fuoco in questo intricato film dalla trama quasi incomprensibile (in piena tradizione noir), serre morbosamente calde dove le piante sono vivamente oscene (come ne Il Grande Sonno di Hawks da Chandler), pubblicità invadenti che ci chiamano per strada (ma Gilliam lo supererà con la mitica pizza canterina di The Zero Theorem), parecchia filosofia (come si può parlare di crimini commessi nel futuro se quel futuro criminogeno verrà bloccato dai poliziotti Precrime? È il paradosso cui accenna l'ambizioso poliziotto federale cattolico interpretato con vivacità da Colin Farrell), sconcertanti momenti ironici (Spielberg, sempre in rapporto di amore-odio con la commedia, a volte la monta proprio male in mezzo a inseguimenti e tensione come quando le fiamme di un jet pack cuociono degli hamburger), caratterizzazioni fin troppo caricaturali (perché sentirsi costretti a far baciare il rosario a Colin Farrell anche quando sta morendo dopo essere stato colpito a tradimento? È un particolare che rischia di ridicolizzare il credente agli occhi dello spettatore), grottesco fuori luogo (un bacio senza senso nella serra e una palpata di glutei ai danni del povero Anderton), grandi momenti action (quanto sono brillanti ancora oggi quei ragnetti robotici in CGI che vengono a leggerti gli occhi ovunque tranne se stai sott'acqua trattenendo il respiro) e un finale in cui il regista è convinto che il senso di colpa di un assassino classista e spietato (il sistema Precrime deve andare avanti nonostante la volontà di una ex tossicodipendente sacrificabile) possa portare costui a scegliere, pensandoci bene, la via del suicidio (a differenza di Gilliam e Woody Allen, Spielberg crede assai nel pentimento del villain). In mezzo a tutta questa sarabanda meno cupa, violenta e più ottimista rispetto a Ridley Scott e Terry Gilliam (con un pizzico del gusto al vetriolo della satira del Verhoeven di Robocop e Atto Di Forza ma più contenuta e morigerata), il direttore della fotografia Janusz Kaminski crea un bianco e nero a colori estremamente affascinante con le sue tipiche esplosioni di fonti luminose nel background che dividono nettamente gli spettatori attenti allo stile di un determinato direttore della fotografia.
Conclusioni
Steven Spielberg gira il film tra il 22 marzo e il 18 luglio 2001. L'11 settembre di quell'anno accade quello che accade a New York cambiando per sempre la sua filmografia e le nostre vite. La joint venture anche produttiva tra il regista e la sua star funziona abbastanza anche se il film non è un successo eccezionale (358 milioni di dollari worldwide su budget pari a 102), vista anche la trama complicata e il finale quasi fastidioso per il suo slancio ottimista dopo tutti i problemi filosofici e politici seminati lungo la pellicola. Il governo Usa avrebbe potuto prevedere l'attacco alle Torri Gemelle da parte dei terroristi? Lo Stato è libero di invadere la privacy dei suoi cittadini pur di fermare una minaccia collettiva tirando in ballo la sicurezza nazionale? Il film pare uscire nel momento giusto (21 giugno in Usa e 27 settembre 2002 da noi) mentre impazza il dibattito e nonostante l'Academy lo snobbi (solo una nomination tecnica per Miglior Montaggio Sonoro), i critici sono compatti nel celebrarlo senza riserve. È uno Spielberg che prova a unire in uno stesso film le sue tante anime e intuizioni cinematografiche per quello che ancora oggi è una delle sue opere più eterogenee e complesse.
In una parola: sperimentale.