Spielberg Month: Hook, ovvero lo Spielberg anni '90 tra adulto e bambino

Hook è un film spartiacque segnando il passaggio dalla filmografia più allegra e avventurosa al conflitto interiore di un cineasta stanco di essere affetto dalla sindrome di Peter Pan

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In vista dell'uscita di Ready Player One, prevista per il 28 marzo nel nostro paese, dedichiamo la rubrica Bad School per l'intero mese di marzo al regista Steven Spielberg, con un film rappresentativo per ogni decennio ogni settimana. Dopo gli anni settanta di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo e l'apoteosi dell'escapismo di fine anni '80 con Indiana Jones e L'Ultima Crociata arriviamo con Hook a un bel dibattito interiore tra cineasta adulto e bambino significativo per la decade decisiva dei '90.

Rimozione

In psicanalisi, processo per il quale un soggetto rende inconsci idee, impulsi o ricordi che sarebbero altrimenti fonte di angoscia o di senso di colpa, e quindi anche il meccanismo di difesa contro il loro emergere. Dal punto di vista metapsicologico, la rimozione è l’operazione psichica per la quale si costituisce l’inconscio in quanto deposito di idee o immagini legate alla soddisfazione di pulsioni che non vengono fatte accedere alla coscienza perché ritenute inaccettabili: in questo senso è detta anche rimozione originaria o primaria.(Treccani.it)

Banning Peter

Peter Banning è uno stakanovista pazzesco (come Steven Spielberg) con un rapporto con il cellulare maniacale. Fa l'avvocato aziendale come Christoph Waltz in Carnage (2001) e proprio come Waltz nel film di Polanski non riesce a dire di no a chiamate continue di natura professionale... pure durante la recita scolastica della figlia in cui la piccola ha ottenuto la parte di Wendy Moira Angela Darling in una pièce intitolata Peter Pan. I cellulari non sono più quegli aggeggi enormi e fantascientifici da usare in riva al mare da Gordon Gekko in Wall Street (1987) di Oliver Stone. Nel 1991 è già arrivata in commercio la seconda generazione di telefonini che Spielberg enfatizza come fossero dei revolver del Far West da estrarre veloci come John Wayne, nuovo simbolo di potere maschile nella società moderna e vivere quotidiano insieme al telecomando. "Banning" vuol dire divieto e presto ci accorgeremo che quell'avvocato aziendale altri non è che l'eterno ragazzino protagonista delle intramontabili opere di Sir James Matthew Barrie diventato grande e grosso (soprattutto nei polpacci). Quando Spielberg arriva ad Hook sembra l'operazione perfetta: il regista Peter Pan per antonomasia affronta il mito di Peter Pan sfidando l'adorato Walt Disney (l'adattamento cartoon da Barrie risale al 1953) con un faccia a faccia mai accaduto nei dodici lungometraggi precedenti. Certo... il film che il geniale quarantacinquenne, già papà di quattro figli, si appresta a dirigere dopo che il progetto sta girando da studio a studio fin dai primi anni '80 su sceneggiatura di James V. Hart, con Dustin Hoffman già contattato per la parte di Uncino (Hook, in originale), ha una componente revisionista che simboleggia perfettamente questo momento di transizione tra lo Spielberg titanico e bambinesco degli anni '80 a quello più maturo ed efficace come un raggio laser dei '90. Ma la transizione può essere dolorosa e non riuscire perfettamente al primo colpo. Dopo che Michael Jackson è entrato ed uscito dal progetto (non era d'accordo con Spielberg sull'idea del Peter Pan cresciuto immemore del suo passato avventuroso) e lo storico amico e collaboratore di John Carpenter Nick Castle ha accarezzato l'idea di dirigerlo (sua l'idea di prendere Robin Williams), Spielberg decide che è pronto per questo strano film il cui scopo è quello contemporaneamente di decostruire e celebrare uno dei personaggi più importanti del fantastico novecentesco. Come direbbe il nostro Peter l'impresa è proprio una "awfully big adventure". Dopo aver dato l'addio a Castle (salutato con 500 mila dollari di benservito), aver conservato Dustin Hoffman come Uncino, essersi ormai assicurata nel cast Robin Williams come Peter Banning/Pan e la star emergente Julia Roberts come Trilli, la Tristar Pictures è pronta a quella che sembra una passeggiata di salute.
E invece...

Il bimbo sperduto

Hook è considerato uno dei pochi film non perfettamente riusciti della carriera di Spielberg. I più cattivi lo considerano un fiasco. Il regista diventato super responsabile, dopo Lo Squalo e Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo, a rispettare budget e piani di lavorazione si perde leggermente dentro le riprese di un kolossal che, essendo diretto da Spielberg, è impossibile che sia brutto. Infatti non lo è. Preferiamo l'aggettivo problematico. È forse lo Spielberg più scenografico, ipertrofico e barocco di sempre (come il suo doppio perverso: Terry Gilliam) con la presenza del Jolly Roger di Uncino come un personaggio denso e imponente sia davanti ai nostri occhi che nella nostra memoria di spettatori una volta davanti ai titoli di coda. Trucco e parrucco à gogo sia tra i pirati (dove compare un'esilarante Glenn Close con barba che urla in modo divino e sembra uscita dalla scena di Brian Di Nazareth in cui le donne si camuffavano da uomini pur di poter partecipare a una lapidazione) che tra i Lost Boys dove il Rufio di Dante Basco pare uscito da una versione colorata di Tetsuo (1989) di Tsukamoto confermando la passione del regista per comprimari di personalità dai lineamenti orientali (Basco è un nordamericano di origini filippine) come il Jonathan Ke Quan di Indiana Jones e Il Tempio Maledetto + Goonies. La scenografia a volte pare prendere il sopravvento su regia, sceneggiatura e attori mentre il teatro di posa pare soffocare con la sua artificiosità tutto quello che poteva, e doveva, sembrare più vivo e fresco. I primi 30 minuti nel mondo reale sono totalmente ridondanti con troppe prove circa la pessima figura paterna rappresentata dal nostro Peter Banning (Robin Williams è in imbarazzo nell'essere manchevole e si vede) con leggeri miglioramenti quando si vola a Londra (grande Maggie Smith nettamente più invecchiata rispetto ai suoi 57 anni dell'epoca) e più di un momento bello una volta arrivati nell'Isola che non c'è, dove tutto migliora nettamente. Forse troppo "recitato" e ampolloso il rapporto di amore-odio tra Uncino e Peter Pan (ancora oggi non ci convince che il Capitano conceda al nostro eroe tre giorni di tempo per prepararsi al duello), brutta l'uscita di scena del pirata monco (sparire da dentro il coccodrillo? Perché?) e non sviluppato a sufficienza il legame tra Peter e i suoi pargoli Jack e Maggie (quando li rapiscono all'inizio del film e lui si mette a chiacchierare con Maggie Smith è tutto troppo pacato) sia quando lui è un pessimo padre sia quando torna ad essere uno scatenato Peter Pan, passando troppo tempo con i Lost Boys nell'intervallo. Anche l'uscita di scena violenta di Rufio, in mezzo a tutta questa cattiveria di cartapesta, sembra veramente fuori luogo. Come spesso capita quando si sbagliano tempi di narrazione e modi dei personaggi principali, sono i comprimari a guadagnarci. Eccellenti ancora oggi sia lo Spugna di Bob Hoskins (classica spalla del villain perfidamente autonoma rispetto al capo) che la Trilli di una Julia Roberts allegra e sexy (e dire che stava attraversando un periodo orribile dal punto di vista personale durante le riprese) con un costume di Anthony Powell molto bello in grado di far risaltare le sue splendide gambe muscolose ma snelle. Quando la sua Trilli ci "prova" con Peter baciandolo con passione... è difficile credere che lui in quel momento, a differenza nostra, si ricordi improvvisamente della moglie interpretata da Caroline Goodall.

Conclusioni

Cinque nomination Oscar (zero vittorie) senza Film, Regia, Attori o Sceneggiatura con in aggiunta un incasso in patria di poco superiore ai 100 milioni di dollari (a fronte di un budget da 70) non sono risultati degni dello Steven Spielberg di quel periodo. Sapete benissimo quanto il regista sia spesso tornato sull'argomento ricordando quanto poco sia soddisfatto della riuscita finale di Hook. Noi oggi lo leggiamo come il "fallimento" forse necessario per capire sempre meglio l'importanza di essere più snelli (non si può più aspettare 30 minuti prima di far entrare lo spettatore nel vivo) e l'obbligatorietà di lasciare produzioni così "teatrali" per qualcosa di più moderno e pregnante senza la pericolosa intenzione di andare a sfidare il mito volendo modernizzare BarrieDisney (madornale errore). È ancora un film, come Indiana Jones e l'Ultima Crociata, in cui Spielberg cerca il padre (o meglio: se stesso come padre) come se fosse una splendida avventura sia attraverso la figura di Uncino che di un Peter Pan contemporaneamente adulto e bambino dentro lo stesso film. Forse sarà meglio diversificare nettamente questo approccio tra pellicola e pellicola. Spielberg registra, assorbe il colpo e si prepara alla decade dove tornerà ad essere il numero 1 dei bambini (Jurassic Park) e, per la prima volta, anche degli adulti (Schindler's List, Salvate Il Soldato Ryan). Ma non, appunto, dentro lo stesso film.

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