Spider-Man - Un nuovo universo è il film definitivo su l’Uomo Ragno
Riguardiamo Spider-Man: Un nuovo universo. Il film premio Oscar che ha un indubbio merito: avere capito tutto dell'Uomo Ragno
Ma non solo! I personaggi esistono, pensano e hanno i tempi della vita come in un fumetto.
Ci sono legami temporali tra una scena e l’altra che non vengono percepiti dai protagonisti. Tra un’inquadratura e la successiva possono passare ore (nella storia), ma Miles e i suoi comprimari sembrano avere attraversato quell’arco di tempo come con un giro di pagina.
Dal punto di vista emotivo il film contiene anche l’ultimo cameo di Stan Lee prima della sua dipartita, e forse il più vero, autentico, in cui il sorridente sembra interpretare realmente se stesso. Un nuovo universo è inoltre un omaggio: ai fumetti, e a coloro che li leggono; all’arte, permettendo gli animatori di sperimentare vari stili, colori e tratti; alla libertà creativa, distruggendo ogni barriera e ogni regole dei mondi narrativi chiusi in sé e aprendo a un multiverso di possibilità.
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Infine Spider-Man - Un nuovo universo è il migliore omaggio all’idea di Spider-Man. Non al personaggio, sia chiaro, ma a quello che rappresenta. Ed è di questo che dovrebbe andare più fiero.
Perché le innovazioni passano, i personaggi no.
Bob Persichetti, Peter Ramsey, Phil Lord, Rodney Rothman hanno fatto un’affermazione in forma filmica che, se ascoltata, lascerà il segno nei franchise a venire. Si pensa spesso che i supereroi al cinema appartengano ad un genere preciso, con regole, formule, e codici linguistici ben chiari. E per la gran parte dei film è così. Abbiamo coniato un termine apposta: cinecomics.
Però ci sono alcuni personaggi così iconici da trascendere l’inscatolamento in un' atmosfera o in un linguaggio unico. Sono Batman e Joker, per la DC. Per la Marvel, ci dicono Persichetti e Ramsey, è Spider-Man. L’Uomo Ragno non appartiene infatti a una corrente di film, ma è lui stesso a costituire un genere a parte.
“Un film di Spider-Man”
Ce lo dice il film stesso sin dai primi minuti: Peter Parker attraversa i cieli di Manhattan sereno e sicuro di avere portato a casa la giornata. La città è al sicuro perché lui è l’unico e il solo Spider-Man. Verrà smentito giusto pochi minuti dopo.
Un universo alternativo, con tante versioni alternative del supereroe. Una vecchia, stanca e depressa, una femminile, una Noir e c’è persino Spider-Ham, l’eroe maiale. Non sono facce della stessa medaglia, sono proprio medaglie diverse! I loro universi funzionano secondo regole molto distanti l’uno dall’altro. Eppure, narrativamente, mondi noir fatti di criminalità, non possono interagire con l’estetica “chibi” orientale. Non senza un effetto cringe.
Se non ci fosse quindi almeno un elemento comune a queste figure, il film non si sarebbe potuto reggere in piedi. Anni di storie su carta hanno reso semplice il compito di trovare il minimo comune denominatore, ovvero ciò che rende gli Spider-Men tali: il loro valore umano. Che, nella mente di Stan Lee, è il retroterra morale su cui si basa l’agire, la spinta al giusto che è, nelle difficoltà, la molla che fa rialzare.
Certo, nei fumetti Peter Parker ha avuto anche fortuna (con le Parker Industries), ma quello che lo rende degno dei suoi poteri è il fatto di essere all’opposto di quello che, narrativamente, si potrebbe chiamare un “principe”. Spider-Man è un eletto… per una sfiga cosmica. È un prescelto che non solo non sa di esserlo, ma proprio non vorrebbe mai avere avuto il suo nome in lista! È, in definitiva, la persona più comune tra le persone comuni.
“Il costume veste sempre bene”
Non c’è un costume che non calzi a pennello a chi lo indossa, dice il personaggio che vende travestimenti ai bambini (interpretato da Stan Lee). Eppure da sempre la forza del personaggio è proprio nel contrario: l’uniforme di Spider-Man non va mai bene a chi la indossa, ma non importa, va tenuta (come vediamo nel cartello vicino al negoziante, non si può rendere indietro).
Fatto questo, posti questi punti fissi, Spider-Man può essere tutto. Può essere un padre premuroso, ormai ritirato dai combattimenti, un disoccupato o un grande imprenditore. Può essere indiano, afro americano, uomo, donna, non binario. E i suoi nemici possono essere simbionti alieni, cacciatori di teste, ma anche sindaci corrotti o il semplice razzista in coda al supermercato.
È questa la grande forza dell’amichevole arrampicamuri di quartiere, che ancora oggi continua ad affascinare intere generazioni. Non importa in che mondo si muova, che atmosfera lo circondi, in che frame di genere siano collocate le sue storie. Chi leggerà o guarderà crederà sempre di potere “abitare” in quel costume. Perché Spider-Man non è un supereroe. È un genere narrativo.