Spider-Man: i quattro Peter Parker del cinema hanno raccontato i cambiamenti di questi 20 anni
Da nerd escluso a geek, fino a nerd tra nerd e poi persona comune senza connotati, la storia dei 4 Peter Parker diversi visti negli Spider-man degli ultimi 20 anni
Quando nel 2002 arrivava il Peter Parker di Tobey Maguire nello Spider-Man di Sam Raimi i cinecomic erano all’alba della loro rivoluzione e quindi le loro figure archetipe erano ancora totalmente derivate dai fumetti. In più era frutto di una società che conosceva i nerd come sfigati a tutto tondo, uno status da cui emanciparsi per essere migliore. E Peter Parker nasce come re dei nerd.
Soprattutto era un mondo in cui i rapporti di forza erano ancora quelli degli anni ‘50: Flash Thompson è un bullo, grande, grosso e un po’ cretino; Mary Jane è carina, con una famiglia a pezzi ma piena di buoncuore e pronta a guardare Peter con nuovi occhi invece che disprezzarlo per essere uno sfigato; Peter, essendo studioso, è socialmente inetto. Fine. La sua vita da Spider-man sarà la scintilla per cambiare e migliorare. Perché chi studia ed è interessato alle cose del mondo è un nerd e dallo stato di nerd bisogna sempre emanciparsi. Una legge ferrea.
Solo 10 anni dopo quando tocca ad Andrew Garfield mettere in scena un altro Peter Parker il mondo è completamente cambiato. In America ci sono stati 8 anni di George Bush Jr. e solo 2 di Obama, una presidenza arrivata con l’aria della grandissima svolta, uno dei momenti della storia recente americana in cui più era forte l’idea di poter essere altro. C’è insomma tutta un’altra aria. La Silicon Valley è tornata molto più forte di prima, la tecnologia è la forza che guida l’economia e i nerd sono morti, esistono solo i geek. La differenza sta nel fatto che avere interessi, avere conoscenze specifiche approfondite, avere un rapporto stretto e confidenziale con la tecnologia e avere una gran testa non è associato al fatto di essere socialmente inetto, anzi è fonte di coolness. Nella pratica cambia l’abbigliamento, cambia la disponibilità economica e cambia quanto quelle stesse categorie umane sono cercate perché la loro conoscenza è cruciale per il business.
Andrew Garfield non ha niente dello sfigato e si rilassa sulla sua ragnatela giocando con un casual game su smartphone. Farlo non lo rende un emarginato, anzi lo rende fico perché lo fa vestito da Uomo Ragno e in una pausa tra un eroismo e l’altro. La tecnologia è sua e la padroneggia, si costruisce le ragnatele tecnologicamente (cosa che Raimi scartò come James Cameron prima di lui quando scrisse la sceneggiatura perché “implausibile”) non sono più organiche. Ha una dolce storia con Gwen Stacy da pari a pari, non sembra che lei gli stia facendo un favore, non serve che lui diventi Spider-man per arrivare alla confidenza necessaria. È cool ed è rilassato. Flash Thompson è sempre un bullo che merita una lezione ma è anche pronto ad andare da Peter a dargli conforto quando lo zio Ben muore.
L’America del 2012 è un paese che ha cambiato atteggiamento verso la tecnologia ma sta anche cominciando a cambiare atteggiamento nei confronti del bullismo e delle sue vittime. Sono già tre anni che va in onda la serie tv Glee, un prodotto possibile solo in un brodo culturale che ha metabolizzato che c’è molto di ideale nell’aspirare ad essere qualcuno con un interesse, qualcuno che vuole approfondire ciò che ama. Il Peter Parker di The Amazing Spider-Man è lo specchio deformante di tutto ciò. Piegando la mitologia classica il suo percorso non è più da zero ad eroe, ma da ragazzo come tutti ad eroe in un mondo in cui i contrasti ancora esistono ma non sono più quelli di prima.
La parentesi di Garfield è però brevissima, solo due film, e già 5 anni dopo arriva un nuovo Peter Parker, uno frutto dell’unione tra Sony e Marvel, uno pronto per l’MCU. E 5 anni si rivelano un lasso di tempo siderale.
Nel 2017 quando arriva nelle sale Spider-Man: Homecoming la storia di Mark Zuckerberg è stata resa popolare da The Social Network, anche chi non sapeva chi fosse ora sa chi è, anche chi non sapeva della cultura alla base delle start-up ora lo sa. Quel film insegna a tutti la mentalità della Silicon Valley e facendolo la celebra.
Gli 8 anni di Obama si sono conclusi e nella high school rappresentata da Jon Watts non esiste più nessuna differenza di gruppo. Solo differenze individuali. Non ci sono più i popolari e gli sfigati, tutti corrispondono alla categoria una volta nota come “nerd”. Anche Flash Thompson. E non è nemmeno il cambiamento più grande!
Il cambiamento più grande nella mitologia di Peter Parker (dopo il fatto che Flash Thompson lo tormenta con acute frecciatine invece che con la superiorità fisica e soprattutto non è uno che ha successo nella vita di liceo) è che la ragazza dei suoi sogni non è la più popolare della scuola, e non è neanche la ragazza dei suoi sogni inizialmente. Ci vorranno due film! La Mary Jane di Zendaya è una pari di Peter Parker dotata di una propria agenda, partecipe da un certo punto in poi della sua identità segreta, forte, indipendente che a differenza di Emma Stone e Kirsten Dunst non ha le idee chiare, ma ha dubbi e ripensamenti. Spesso fa la cosa sbagliata, alcune volte crea problemi come fosse una protagonista.
In più viene introdotto nella sua orbita un migliore amico che non è Harry Osborne ma suo pari in tutto e per tutto, un Milhouse che alleggerisce e ribadisce lo statuto di veri e autentici nerd dei due, senza che questo gli costi niente in termini di desiderabilità. Costruiscono la Morte Nera (cioè un’altra proprietà intellettuale Disney) con i Lego e sono davvero amici.
Il passaggio stavolta non è che i nerd sono diventati belli ma il fatto che nel mondo rappresentato il nerd è più che sdoganato: chiunque è nerd. Il Peter di Tom Holland non ha nemmeno più gli occhiali a differenziarlo dagli altri. La popolarità sta nella maniera in cui lo si è, nella simpatia o antipatia individuali. Non c’è bisogno di assumere altri tratti per essere desiderabili.
In più il secondo Spider-man con Tom Holland, quello del 2019, arrivato in sala ben 3 anni dopo la presidenza Trump, introduce anche un altro dettaglio cruciale della nostra era: la falsità della rappresentazione e le fake news.
Tuttavia non è il solo Peter Parker di quegli anni e del resto, quelli tra il 2015 e il 2019 sono anni molto turbolenti nel mondo di Hollywood, specie nella rappresentazione e nella categorizzazione dei ragazzi. Nel 2012 era uscito Hunger Games, il primo blockbuster di alto profilo e altissimo incasso ad avere una ragazza come protagonista d’azione, una ragazza che usa il corpo e la femminilità al pari delle frecce, una ragazza che tutti vogliono sfruttare ma che vince perché vuole decidere per se stessa. Nel 2015 arrivano i nuovi Guerre Stellari (dalla Disney, che poi è la Marvel) e la protagonista è una ragazza. Da lì è tutto in discesa, i film d’azione ad alto budget mettono le donne al centro con risultati alterni ma con decisione chiara, anche se l’universo dei supereroi (che affonda in proprietà intellettuali degli anni ‘60 e ‘70, se non ‘30 e ‘40) arriverà ultimo, dovrà aspettare Wonder Woman e Captain Marvel. Anche per queste ragioni l’anno che passa tra Homecoming, uscito tre mesi prima delle rivelazioni su Harvey Weinstein, e Spider-Man: Un nuovo universo, uscito un anno e mezzo dopo, è un salto gigante.
Da che nessuno è nerd perché tutti sono nerd (cioè invece che mettere Peter Parker sul piano degli altri, è il resto della rete sociale intorno a lui che assume le sue caratteristiche), in questo nuovo film il nerdismo non è proprio un’opzione: non esiste, né è argomento cruciale per l’eroe. Roba vecchia. Miles Morales è un ragazzo normalissimo, i suoi problemi sono altri. Peter Parker conta molto meno di prima, conta di più Spider-man. E se in Homecoming tutti diventavano come Peter, qui tutti sono Spider-man. O almeno molti. La storia è ambientata in un multiverso e sterza rispetto all’originale. Miles Morale è l’uomo ragno di un’altra dimensione non è quello che conosciamo (ma lo incontra quando le diverse dimensioni si uniscono) ed entra in contatto con le sue versioni alternative che altro non sono che simulacri di altro cinema.
Oltre all’Uomo Ragno classico, c’è quello in stile animazione (cioè un maiale antropomorfo), c’è quello in stile anime (cioè una ragazza con robot), c’è quello noir (in bianco e nero ed impermeabile) e c’è il cinema contemporaneo, cioè la ragazza uomo ragno, l’eroina invece dell’eroe. La più abile di tutti, quella disegnata con più precisione, quella che sembra avere tutto. Del gruppo lei è la più realizzata, la più desiderabile, la più competente.
Certo, Miles Morales apre tutte altre porte di “modernità”, ma la vera svolta è trasformare Gwen Stacy in pseudo protagonista. Non lo è veramente ma ha i tratti dell’eroe. Questo più di tutti è il film che riconosce che il fatto che la tempesta neo-femminista ha rimesso al centro la donna, riscuotendo un successo prima sconosciuto, e riesce a creare un mondo in cui Spider-man non è una mitologia unica ma è tutto ciò che vogliamo fare con esso. E in questo mondo lo Spider-man donna non è solo una possibilità, è la migliore.