Spider-Man: Homecoming, il film perfetto per riprendere il Marvel Cinematic Universe se lo avete perso di vista
Spider-Man Homecoming sembra fatto apposta per riportare a bordo dell’MCU chi l’aveva abbandonato lungo la strada
Immaginate di non sapere nulla del Marvel Cinematic Universe e di voler cominciare a esplorarlo: la cosa migliore da fare è partire dall’inizio, dall’Iron Man del 2008, e proseguire in ordine cronologico. Immaginate però di sapere qualcosa del Marvel Cinematic Universe ma di averlo un po’ perso di vista negli ultimi anni, magari dopo il primo Avengers che avete vissuto come un finale ideale, o magari perché siete rimasti delusi dal secondo: se vi riconoscete in questo ritratto, Spider-Man: Homecoming (guarda il trailer e leggi la nostra recensione) è il film perfetto per voi.
Spider-Man: Homecoming e il MCU
Diretto da Jon Watts ed ennesimo reboot del personaggio di Spider-Man al cinema (terzo in realtà, almeno negli ultimi vent’anni, dopo la versione di Tobey Maguire e quella di Andrew Garfield), Spider-Man: Homecoming è un film che parla di quello di cui solitamente si parla in un film di supereroi – armi illegali e di origine aliena che vengono vendute sul mercato nero, palazzi di ogni genere che esplodono o collassano, e ovviamente un supercattivo –, ma parla anche, come le migliori storie di Spider-Man d’altra parte, di inadeguatezza, di sentirsi esclusi, dell’apparente impossibilità di conciliare due metà della propria vita in apparente e insanabile contrasto.
Spider-Man: Homecoming e Tony Stark
Immaginiamo che l’ipotetica persona che sta rincorrendo il MCU si sia fermata al primo Avengers, e sappia tutto quindi sui Chitauri che hanno distrutto New York ma nulla di quanto successo dopo, litigi in famiglia, intelligenze artificiali ribelli e tutto il resto. Spider-Man: Homecoming inizia come se fossimo ancora nel 2012, pochi giorni dopo la battaglia finale del film di Joss Whedon: c’è gente che sta lavorando per ripulire la città dai detriti, e altra gente che prende possesso dell’area e prende il controllo dei lavori, facendo perdere la commissione a un tizio con la faccia di Michael Keaton. Il quale ne esce con due certezze: la prima è che odia gli Avengers, la seconda è che per sopravvivere deve cominciare a vendere armi illegali e di origine aliena sul mercato nero.
Subito dopo questa sequenza utile a far sentire a casa il nostro soggetto immaginario, ecco che arriva il momento della confusione, quello che fa venir voglia di fare pausa e aprire Wikipedia: Peter Parker viene riaccompagnato a casa da Happy, la guardia del corpo di Tony Stark, dopo il successo della sua missione a Berlino e dopo essersi sentito dire che non è ancora pronto per essere un Avenger a tutti gli effetti. Senza aver visto Captain America: Civil War, il primo film della Fase Tre del MCU, questa scena non ha senso, ma è costruita abbastanza bene (sotto forma di videodiario di Peter) da far quantomeno intuire di che cosa si stia parlando e quale sia la situazione di partenza. La presenza di Tony Stark, di fatto, completa il riassunto, e chiarisce definitivamente che cos’è Homecoming: un film nel quale Spider-Man fa il suo esame di maturità da Avenger, uno stop temporaneo alle vicende più ampie del MCU che serve per far salire a bordo un nuovo supereroe – e chiunque altri si voglia unire.
Peterman o Spiderparker?
Tutto il resto del film (quello che abbiamo descritto fin qui sono a malapena i primi dieci minuti, su oltre due ore totali) si sviluppa quindi su un triplo binario. Da un lato c’è la storia di Peter Parker, secchione un po’ sfigato ma non del tutto reietto che vuole conquistare il cuore della bella Liz e vincere il torneo di decathlon accademico (una sorta di versione nobilitata di Chi vuol essere milionario?); dall’altro c’è quella di Spider-Man che scopre che un tizio con un costume da avvoltoio robot vende armi aliene alla criminalità organizzata, e vuole fermarlo nonostante il suo mentore Tony Stark gli abbia detto di tenere la testa bassa.
E poi c’è, a incombere sullo sfondo, la sensazione che ci sia qualcosa di più grosso che bolle in pentola, e che il passo successivo una volta finito il film sarà scoprire meglio di cosa si tratta. Gli Avengers stanno traslocando, Tony Stark non ha mai tempo di ascoltare le richieste di Peter: l’universo supereroistico è in fermento e Spider-Man non è ancora stato invitato, è sempre lì, sulla soglia, a elemosinare un cenno o un’occhiata. Tra le motivazioni che lo spingono a voler fermare Vulture (questo il nome della versione meccanica di Birdman) c’è anche la voglia, la necessità di dimostrare agli adulti di essere in grado di giocare con loro, e la sua voglia di entrare definitivamente in quello straordinario esperimento narrativo pluriennale che corrisponde al nome di Marvel Cinematic Universe è contagiosa e non può non colpire anche chi guarda e stava solo cercando una scusa per recuperare Doctor Strange e Ant-Man (ma non I guardiani della galassia, quello l’ha visto chiunque, anche chi ha ignorato il resto dell’MCU).
Saltate a bordo del trenino dei supereroi!
Vale la pena spendere due parole per far notare che se Homecoming funziona così bene è anche perché Jon Watts (uno che curiosamente arriva dall’horror, e qui non lo si direbbe mai) ha un grande talento per i dialoghi e le scene brillanti, ha abbastanza umiltà da abbandonarsi alla CGI e alle coreografie spettacolari per le scene d’azione (Homecoming contiene alcune delle migliori sequenze supereroistiche degli ultimi anni, e un paio tra le più divertenti), e ha a disposizione un Tom Holland nel ruolo della vita e un Michael Keaton fuori scala per completare il quadro.
Insomma è un bel film, con un buon ritmo (manca anche il classico “rallentamento del secondo atto” che ha quasi rovinato più di un film Marvel) e un impianto narrativo non particolarmente originale ma ben confezionato, con tutti i beat al posto giusto. In altre parole: vanno bene i ragionamenti meta- e le considerazioni filosofiche, ma Spider-Man: Homecoming merita una visione a prescindere.