Spider-Man: Homecoming è il primo cinecomic a mettere scena il fatto che "Il mondo è cambiato"

Con Spider-man: Homecoming i cinecomic si confermano una delle maniere migliori del cinema per rappresentare i grandi mutamenti del mondo reale

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
Il mondo è cambiato. È ora che cambiamo anche noi

L’abbiamo sentito dire diverse volte nei cinecomic in sala e in tv e non solo in quelli Marvel. Adrian Toomes, ovvero L’Avvoltoio, ovvero Michael Keaton, è solo l’ultimo ad esprimere questo concetto, cioè che il mondo in cui i personaggi vivono non è più lo stesso. La presenza dei supereroi, l’eco di quello che fanno, il cambiamento che portano e l’esempio che danno necessitano una presa di posizione da parte di tutti. La presenza dell’eroe in maschera causa un mutamento in tutta la società. Nolan ha incentrato su questo tutta la sua trilogia.

Ed è basato molto su ciò Spider-Man: Homecoming. Per la sua natura di film a livello basso, giocato per strada, nelle case, nei piccoli negozi e nelle aule scolastiche a contatto con la quotidianità della popolazione, è forse il primo a rappresentare davvero la maniera in cui l’universo condiviso Marvel, a 10 anni dalla sua nascita, abbia fatto evolvere la società in cui è ambientato, passando da un mondo come il nostro ad un diverso. Se Iron Man era partito dalla nostra realtà (più o meno), ormai dopo l’arrivo degli eroi e la loro diffusione, siamo in un’altra dimensione. Tutto è cambiato.

L’ultimo film dell’Uomo Ragno attacca con quest’idea, mette subito in chiaro che tutto quel che vedremo avviene come conseguenza di altri film, influenzato da un clima ormai cambiato. È nella prima scena, quella in cui all’impresa di Adrian Toomes viene levato un appalto che gli avrebbe fruttato non poco denaro, di fatto spingendolo verso la cattiva strada e le pessime idee. Quando Toomes capisce che con quel poco di tecnologia aliena con cui è entrato in contatto può confezionare armi e oggetti mai visti prima e con cui fare cose mai viste prima, capisce quanto il mondo sia cambiato ed esprime l’esigenza di adeguarsi. Se lo fanno loro, gli eroi e i cattivi, in piccolo lo posso fare anche io. Non è diverso da quando il Joker di Heath Ledger dice a Batman che lui ha cambiato tutto per sempre e di aver capito chi fosse nel secondo in cui lo ha visto per la prima volta con il costume, cioè gli confessa che è stato per via della sua esistenza che ha capito di poter diventare il Joker.

Ma non è solo questo. Peter Parker a scuola viene messo in punizione e deve vedere un video didattico di Capitan America (lo stesso a cui ha rubato lo scudo). Il mondo è diverso perché ci sono gli eroi, le ragazzine a scuola li sognano, i nerd stanno in fissa con i loro dettagli (“Che odore ha Hulk?” chiede l’amico di Peter quando scopre che lui è l’Uomo Ragno). Esiste una mitologia popolare relativa a questi eroi, da Capitan America il buono, a Tony Stark il ricco, fino ad Hulk lo strano e anche i ragazzi sanno già cosa dovrebbe comportare essere come loro. Forse per questo, per questo mondo così condizionato dalla presenza degli eroi, stavolta la Marvel ha optato per evitare la parte di “poteri e responsabilità” della genesi dell’Uomo Ragno, la parte in cui muore zio Ben e nasce l’eroe. Perché quello avveniva in un mondo in cui Peter Parker non aveva simboli, non conosceva altri eroi oltre a sé, non aveva degli esempi da seguire. Qui invece Tony Stark in primis segna per lui la strada.

Ancora più nel dettaglio però nel film c’è una dichiarazione di diversità che suona corretta, c’è l’ammissione che questo genere di produzioni rappresenta qualcosa nell’immaginario moderno.
La prima scena di Spider-Man: Homecoming, proprio la prima inquadratura, è un disegno di una bambina che rappresenta gli eventi di Avengers, il grande scontro a New York. Lo sta tenendo in mano Adrian Toomes, probabilmente è di sua figlia, e nel farlo dice: “Ai miei tempi disegnavamo cowboy e indiani”. È un parallelo molto giusto tra miti. Il Western negli anni ‘50 e ‘60 era il genere d’avventura e azione popolare per antonomasia, i cowboy erano gli eroi del cinema e della tv, si vendeva moltissimo il loro merchandising e tutti i più grandi attori facevano un western come oggi fanno un cinecomic. Oggi i supereroi rappresentano gli stessi valori in maniere diverse ma non troppo (lottano comunque per il bene e contro nemici molto chiari, forniscono esempi positivi e indomiti) anche se non rappresentano lo spirito statunitense tanto quanto i cowboy.

Quel che rappresentano invece è il mondo che sta mutando. Perché se c’è un genere che rappresenta lo spaesamento del nuovo, le conseguenze inattese e il senso di adattamento, sono i film di supereroi, con il loro mondo collegato, il loro universo in continua evoluzione. E del resto il mondo, il nostro, sta realmente cambiando e ad una rapidità maggiore che in qualsiasi altra era. A differenza di quanto potesse cambiare negli anni ‘60, stavolta cambia grazie alla tecnologia, oggetti che estendono le potenzialità del corpo, che rendono possibile azioni simili alla magia o ai superpoteri. Parlare con gene dall’altra parte del pianeta, visualizzare video ovunque, avere accesso ad informazioni ovunque ecc. ecc.

Di certo l’idea che tutto stia rapidamente diventando altro è qualcosa di superiore ai film di supereroi ma questi, in un certo senso molto leggero e labile, lo rappresentano. Mettono in scena non solo le grandi avventure ma un mondo in cui in 10 anni tutto è cambiato, in cui mutamenti accelerati, sconvolgimenti naturali e tecnologici hanno rimesso in discussione tutti i rapporti di forza. Creato eroi e creato cattivi, costretto le persone a scegliere dove stare.

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