Speciale - NBA 2K16 e Spike Lee hanno capito come migliorare la videoludica

Con la modalità carriera diretta e scritta da Spike Lee NBA 2K16 sbaraglia la concorrenza sulla narrazione: Livin' Da Dream è un gran pezzo di videoludica

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In NBA 2K16 la modalità carriera è stata fusa con un mediometraggio di Spike Lee. Quando non gioca cercando di farsi strada il proprio personaggio è coinvolto nella trama e nelle scene scritte e dirette da un professionista, con un obiettivo: mettere pressione.

Già in questo assunto sta una piccola rivoluzione. La modalità carriera arricchisce il gioco sul campo con una componente puramente narrativa, cioè con sensazioni ed emozioni che vengono dalla storia e non da condizioni di gameplay. Anche se la propria squadra non è in difficoltà o se non si sta giocando male, lo stesso si può subire pressione. Del resto è quel che accade nello sport reale, quello “guardato”. Spesso dietro una partita esistono delle storie, delle rivalità o delle ricorrenze che danno alla sfida una profondità e un’emotività maggiori, sia per chi gioca sia per chi la guarda e ne conosce il background.
Del resto qualsiasi videogioco di simulazione sportiva non simula lo sport in sé ma la sua versione televisiva. Per simulare la partita giocata ci vorrebbe un’inquadratura in soggettiva, bisognerebbe correre e non premere pulsanti, invece i videogame cercano di somigliare sempre di più allo sport guardato da casa, alla sua trasmissione. Hanno i telecronisti, i replay, il post partita, tutte componenti che non esistono nello sport giocato.

[caption id="attachment_148269" align="aligncenter" width="600"]NBA 2K16 Livin' Da Dream NBA 2K16 - Livin' Da Dream[/caption]

La svolta di NBA 2K16 è semplicissima: fare bene quel che gli altri fanno male. Tutti i videogame infatti in un modo o nell’altro hanno della narrazione, pochissimi però la “usano”, cioè pochissimi sono in grado di arricchire le parti di gameplay con le sensazioni che il racconto lega ai personaggi. Che ci sia riuscita una simulazione sportiva è una sorpresa di quelle che ti svoltano la stagione. Dall’altra parte molti videogame chiamano le star del cinema ma pochi le “usano”. Il problema è che non c’è niente di più prestigioso per un videogioco che potersi spendere un nome grosso tra i propri credits. Oltre a questo non c’è niente di più facile e redditizio per un nome del cinema che partecipare alla realizzazione di un videogame, ben pagato e con meno impegno di un film. Ricordiamo tutti il Call of Duty: Black Ops di David S. Goyer, scritto male come tutti gli altri videogame, o i clichè visivi del John Woo in Stranglehold. Sostanzialmente la solita minestra nobilitata da nomi il cui stile e il cui apporto si fa fatica a trovare nel gioco.

Il bello di NBA 2K16, versione Spike Lee, invece, è che già l’idea di suo pare assurda: far dirigere ad un regista di cinema non un gioco d’azione, non uno di ruolo o anche solo con molta enfasi sulla narrazione (stile Her Story o Beyond: Due anime) ma una simulazione sportiva! Forse proprio per questo, per il suo battere un territorio nuovo anche per la videoludica, Livin’ Da Dream (sì, gli ha dato anche un titolo) è così riuscito. L’impegno di Spike Lee arriva fino alla fine della prima stagione da professionista in NBA (che poi in assoluto è la seconda stagione della carriera dopo quella del college), poi si va avanti normalmente senza le cut scene e la trama imbastita dal regista di He got game. Non è tantissimo ma basta e avanza, ed è chiaro fin dal fulminante inizio che, come i film migliori, dimostra immediatamente che Spike Lee non è venuto a prendere i soldi e basta.

[caption id="attachment_148270" align="aligncenter" width="600"]NBA 2K16 Livin' Da Dream NBA 2K16 - Livin' Da Dream[/caption]

Si parte con un video live action di diversi attori in tenuta da motion capture che recitano su un divano, dietro di loro tutto green screen. Uno di loro sbaglia una battuta ed entra Spike Lee in persona che dà lo STOP alla videocamera e, guardando in camera, spiega cosa stia accadendo al giocatore, che la storia stavolta è farina del suo sacco. Stacco di montaggio e da Spike Lee in carne ed ossa si passa a Spike Lee in CG, dentro l’ambiente del gioco, che dà il via alla storia. Titoli di testa musicali in stile Lee e si parte. Quando si dice “metterci la faccia”.

"Tutti i videogame in un modo o nell’altro hanno della narrazione, pochissimi però la “usano”, cioè pochissimi sono in grado di arricchire le parti di gameplay con le sensazioni che il racconto lega ai personaggi"

Il personaggio principale è Freq (sta per Frequency Vibrations, il suo vero nome completo, datogli dai genitori giamaicani emigrati a New York), stella emergente della pallacanestro, amministrato dalla sorella gemella Cee Cee (un carattere che ve lo raccomando) e intimamente legato a Vic, amico da sempre ma decisamente più turbolento, arrogante e ingestibile di lui. All’inizio non è un problema, più la carriera si fa professionale più sarà una questione da risolvere. Al momento di creare il personaggio e personalizzarne le fattezze, non fate l'errore di crearlo bianco, altrimenti vi sembrerà di stare in Chi non salta bianco è, perché comunque Freq parla e si muove come un afroamericano (oltre ad avere tutti parenti di colore). Come del resto forse sarebbe meglio iniziare la modalità carriera quando già si è pratici del gioco, altrimenti nelle cut scene tutti parleranno di voi come dei fenomeni, un giocatore pazzesco e poi quando giocherete le partite farete perdere la squadra.

A parte questi dettagli Livin' Da Dream è uno dei film migliori dell’ultimo Spike Lee, più personale di Miracolo a Sant’Anna o Oldboy, più concreto di Da sweet blood of Jesus e così determinato a raccontare i contrasti del passaggio dal ghetto alla ricchezza da essere quasi commovente. Quello che Livin' Da Dream ha e le altre “storie” interne ai videogame non hanno è una chiara concezione della narrazione. Ci sono dei comprimari straordinari (Dom Pagnotti, il proprio agente, un clown di una grettezza e al tempo stesso di un’onestà disarmanti) e un equilibrio tra ciò che dovrebbe accadere e ciò che accade che rendono la trama costantemente in bilico anche quando sì svolge in maniera canonica. E come sono importanti i dialoghi! Nell’infernale mondo delle cut scene videoludiche le battute sono quanto di più puerile e scontato esista, un campionario di idiozie da cinema di serie C, invece finalmente vediamo una sceneggiatura come si deve e degli attori “diretti”, cioè che non recitano da soli ma con un’idea dietro. In questo modo Freq non è un clichè ma una persona con la sua complessità, in grado di prendere decisioni a tratti sorprendenti per equilibrio e polso, soprattutto, come nei film migliori, accanto a lui ci sono caratteri forse anche migliori del suo (ovviamente sto parlando della stoica Cee Cee, un carroarmato).

Eppure, vale la pena ripeterlo, fosse solo questo il merito di NBA 2K16 parleremmo di un film malposizionato, inserito e spezzato all’interno di un gioco invece che fruito tutto insieme. Invece esiste una costruzione del personaggio che lavora in grande armonia con l’aumentare della grandezza dei palazzetti nei quali poi, tra una scena e l’altra si gioca, con il migliorare degli avversari, con l’arrivo dei volti famosi e, ovviamente, anche con l’avanzare dello stile di gioco. Una volta finito Livin' Da Dream, passare dalla modalità carriera al gioco normale (online o contro l'IA) è quasi un trauma. Si ha la netta sensazione di un’esperienza all’acqua di rose perché priva di quella profondità, di quel background e del portato emotivo che invece caricano le partite di Freq, campione solido dalla problematica vita familiare, chiamato a prendere le distanze dal mondo da cui viene ma reticente ad abbandonare una parte di sè.

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