Speciale - L’accettazione della morte in Bloodborne

Cinque (terribili) fasi per elaborare il lutto di aver comprato Bloodborne

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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L’acquisto di Bloodborne (qui la nostra recensione) andrebbe categoricamente sconsigliato, osteggiato in ogni modo possibile, disincentivato dalle autorità di competenza. Bisognerebbe nasconderne l’esistenza, boicottarne la messa in commercio, citarlo, quando strettamente necessario, solo nella misura in cui se ne voglia scoraggiare l’abuso tra i giovani. Giocarlo ripetutamente, senza interruzioni e aiuti esterni, dovrebbe essere la condanna ideale per delinquenti recidivi, nonché il tremendo e diabolico rito di passaggio che qualche setta misterica potrebbe sottoporre ai suoi folli adepti, raggianti ed entusiasti di fronte al sacrificio richiestogli da From Software: un atto di fede capace di elevare spirito e anima del temerario accolito, ma che può costare ben più di un semplice mal di testa.

Perdita di peso e appetito. Disturbi gastrointestinali. Ansia. Isolamento. Depressione. Riduzione della libido. Disfunzione erettile, nei casi peggiori. Gli effetti collaterali della prolungata fruizione della produzione Sony sono sotto gli occhi di tutti: sui social media impazzano gli status di dannati senza sonno in cerca di consigli, YouTube si arricchisce giornalmente di walkthrough che millantano strategie infallibili contro i boss, i forum di mezzo internet fungono da muri del pianto per utenti rassegnati e disperati, in cerca di solidali compagni di sventura con cui affrontare insieme un passaggio particolarmente impegnativo. Puerili minacce di abbandono dell’epopea, si alternano con (ben più rare) esternazioni di gioia e smanie d’onnipotenza, magari coincidenti con l’abbattimento di qualche creatura particolarmente ripugnante: uno psicotico e schizofrenico oceano virtuale di moniti, dichiarazioni e improperi, agitato da reazioni emotive isteriche e contrastanti.

[caption id="attachment_141738" align="aligncenter" width="508"]BloodBorne screenshot 1 L'utilità di questi "messaggeri" è innegabile, ma quanti di voi li baratterebbero con fiale di sangue?[/caption]

Eppure, per quanto sia difficile, ingiusto, frustrante, Bloodborne ha imprigionato chiunque lo abbia sfidato almeno una volta. Un vero e proprio circolo dantesco, vizioso e assuefacente, la cui unica via di fuga passa attraverso il raggiungimento dei titoli di coda. Sempre che non venga la tentazione di dedicarsi al tanto temuto (e desiderato) NG+: anticamera di nuovi orrori e sfide ancor più impegnative.

Nel 1970, la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross elaborò il famoso Modello a Cinque Fasi sull’elaborazione del lutto attraverso il quale la studiosa tentò di comprendere, interpretare e prevedere le dinamiche mentali che si attiverebbero nelle persone a cui è stata diagnosticata una malattia terminale. Non è una grande sorpresa scoprire che il modello si può tranquillamente e facilmente applicare anche al videogiocatore standard che si avvicina per la prima volta a Bloodborne, aiutandoci, tra l’altro, a scoprire come il rapporto con la produzione videoludica si modifichi nel corso del tempo e perché, nonostante il progressivo e spietato incremento della difficoltà, si resti comunque incollati al pad.

La prima fase è la negazione, il rifiuto.

Si resta increduli, per la quantità di tentativi falliti e game over a ripetizione collezionati, durante l’esplorazione dei quartieri di Yharnam prossimi alla clinica dove tutto ha inizio. Claudicanti cittadini con la stessa reattività degli zombie di Romero, cani rabbiosi con uno scarso senso d’orientamento, ipertrofici e deformi ammassi di muscoli dai movimenti limitati: nemici che viene quasi naturale sottovalutare, non fosse altro che abbiamo iniziato a giocare da dieci minuti appena, che con altrettanta disinvoltura rispediscono l’avatar al punto di respawn con un paio di attacchi ben calibrati, tentativo dopo tentativo, senza pietà, senza conoscere alcun addolcimento nei pattern d’attacco. Né rimpianto, né rammarico rischiarerà mai gli occhi digitali di questi spietati assassini, implacabili ed estremamente professionali per rapidità e abilità con cui svolgono il loro lavoro. Il rifiuto è inevitabile: quanti soldi ho speso “per sta roba”? Se lo riporto al negozio, avranno il buon cuore di restituirmi i soldi? Come ho fatto a farmi abbindolare da quelli là, su internet, che lo spacciavano per grande capolavoro?

Seconda fase: rabbia.

La spirale di ira e collera non risparmia nessuno: sviluppatori, recensori di qualsiasi sito e giornale, venditori al dettaglio, amici, conoscenti, utenti dei forum, parenti, fidanzati e fidanzate, la mamma di Hidetaka Miyazaki, persino Dio e l’intero cosmo. Tutti complici di averci subdolamente condotti all’acquisto di Bloodborne, tutti colpevoli, per i motivi più disparati e inspiegabili, di ogni morte sul campo di battaglia. La rabbia si tramuta in follia omicida (nei confronti di pad, console e TV) al cospetto dei primi boss. Il Chierico Belva è chiaramente un bug che quei “bastardi” degli sviluppatori non hanno saputo correggere in tempo per la release: troppo forte, troppo grosso, troppo difficile, un chiaro errore di programmazione metterlo lì, su quel maledetto ponte. Padre Gascoigne è un figlio di buona donna senza amici e senza una vera vita: costretto, chissà per quale assurdo motivo, a vagare in un fatiscente cimitero e desideroso di importunare i pochi che trovano voglia e tempo di fargli visita. Non parliamo poi della Belva Assetata di Sangue: oltre a far venire i brividi solo a vederla muoversi, ad attacchi mortali ci aggiunge la scocciatura del veleno.

[caption id="attachment_141739" align="aligncenter" width="508"]BloodBorne screenshot 2 Vedere il proprio personaggio ricoprirsi progressivamente del sangue dei nemici abbattuti è uno dei pochi contentini concessi all'ego del videogiocatore.[/caption]

Memori dei tempi in cui ci lamentavamo dei giochi troppo facili da completare, si trova tempo e modo per incazzarsi anche con sé stessi.

Segue la contrattazione, il patteggiamento.

Forse avanzando poco alla volta, attaccando senza farsi prendere dalla foga, centellinando i fendenti, utilizzando con condizione di causa gli item dell’inventario, esplorando attentamente ogni centimetro quadrato dello scenario, sperimentando nuove strategie, dando una sbirciatina a qualche guida su internet, potrete anche ottenere qualche risultato più soddisfacente. Tuttavia l’unico modo davvero efficace per addolcire la pillola è suonare la Campana per richiamare, da chissà dove, qualche altro utente alle prese con lo stesso nemico da abbattere. Le probabilità di salvare la pelle aumentano esponenzialmente, non c’è dubbio, ma l’onta di non essere riusciti a farcela da soli vi perseguirà a tal punto che mentirete sull’andamento dell’epica battaglia che infine vi ha visto vincere sul boss di turno.

Penultima fase: la depressione.

Online nessuno può venirvi a salvare e i Punti Intuizione scarseggiano. Non c’è altro da fare: bisogna armarsi di pazienza e affrontare lunghe sessioni di farming e grinding. Ogni oggetto guadagnato, ogni Eco di Sangue protetto sino all’accesso del Sogno del Cacciatore equivale a una piccola vittoria, ma ciò non basta per far riemergere il videogiocatore dal mare di desolazione e frustrazione che lo sommerge. Yharnam conserva il suo fascino turistico ed è rinfrancante prendersela con qualcuno (leggermente) più debole, ma il backtracking costretto è pur sempre deprimente.

[caption id="attachment_141740" align="aligncenter" width="508"]BloodBorne screenshot 3 La rassegnazione con cui ci si presenta al cospetto dell'ennesimo boss, alla lunga, diventa patologica.[/caption]

Infine giunge l’incondizionata accettazione.

Basta scovare una scorciatoia, trovare un nuovo oggetto, scoprire un sentiero alternativo, per tramutare il noioso farming in una molla con cui si riattiva l’amore, ormai assoluto e patologico, per Bloodborne. Senza un motivo preciso ci si ritrova a ripercorrere le stesse strade con uno spirito diverso, armati di un barlume di speranza, animati da sincera curiosità e pervasi di una determinazione che ci spinge a tentare nuovamente, agitati da una folle e perversa ossessione che ci consegna tra le braccia di orrori ancora celati. In breve, si accetta la propria condizione di drogati cronici, si accetta il diabolico samsara imbastito da From Software appositamente per ognuno noi, si accetta di non poter più fare a meno di Bloodborne pur in assenza di ragioni assennate.

Senza neanche accorgersene, si giunge in un’inedita sesta fase: la dipendenza.

Schiavi di un meccanismo perfettamente funzionante, figlio dei continui perfezionamenti raggiunti con i Souls, non possiamo far altro che buttarci a capofitto nella ricerca di tutti i Calici, speranzosi che Hidetaka Miyazaki, mefistofelico santone di una setta ormai degenerata, abbia già in cantiere, se non il sequel, corposi DLC che reclamino altro sangue.

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