Speciale Isao Takahata: Pom Poko

In Pom Poko Isao Takahata racconta la storia di una società di tanuki

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Pom Poko

Dopo Una Tomba per le Lucciole e Pioggia di Ricordi, per il suo terzo lungometraggio targato Studio Ghibli, il regista Isao Takahata si mise al lavoro su un progetto adatto a un pubblico di giovanissimi, pur essendo dotato di un livello di lettura più comprensibile agli spettatori adulti.

Pom Poko uscì nei cinema giapponesi nel 1994, e per lo studio d'animazione fu il film successivo a Porco Rosso, di Hayao Miyazaki. Takahata volle ispirarsi a quest'ultimo, trasmettendo un messaggio profondo tramite dei protagonisti animali, e la tipologia che considerava più vicina al maiale era il tanuki. Trattasi di una creatura leggendaria del folklore giapponese, a metà via tra il procione e il cane, dotata della capacità di trasformarsi in svariati esseri viventi e oggetti.

Nel film, ambientato alla fine degli anni '60, seguiamo una comunità di tanuki che dimora in una collina vicino a Tokyo. Due fazioni si contendono il territorio, ma il conflitto viene presto interrotto da un pericolo ben più grande: a causa dello sviluppo urbano, gli esseri umani stanno distruggendo le zone selvatiche per poterci costruire nuove abitazioni.

Già da questo breve riassunto risulta evidente il messaggio ecologista della pellicola. La Natura è un elemento fondamentale nella maggior parte delle opere Ghibli, anche se è una prerogativa soprattutto di Miyazaki. Nel caso di Pom Poko, il tema viene affrontato in modo leggero, con i buffi mammiferi impegnati in divertenti stratagemmi nel tentativo di fermare il progresso tecnologico, ma in realtà impotenti di fronte all'operato degli umani. Anche il finale appare abbastanza retorico, con l'unico traguardo raggiunto dai protagonisti rappresentato da qualche parco tra le nuove città, che inevitabilmente sono andate a formarsi nelle zone un tempo rurali.

È bizzarro come Takahata sia riuscito a realizzare un film tanto solare, giocoso e fracassone raccontando qualcosa che inevitabilmente ha un retrogusto malinconico, trattando del disboscamento selvaggio e della perdita della cultura tradizionale. La seconda metà della trama appare leggermente più lenta e ripetitiva, ma gli animatori riescono a mantenere viva l'attenzione attraverso numerosi stratagemmi ricchi di creatività.

Uno degli elementi più bizzarri è l'utilizzo dei testicoli dei tanuki, spesso ingigantiti e sfruttati nell'offensiva contro gli avversari: una caratteristica proveniente dal folklore originale, ma che non può non stupire ritrovandola integrata in modo simpatico e leggero all'interno di un prodotto destinato anche ai bambini.

In Pom Poko, Takahata mette in secondo piano la ricerca del realismo e della ricercatezza espressiva per realizzare un film all'apparenza più spensierato, ma sofisticato nella morale e nel modo in cui viene comunicata, soprattutto al pubblico infantile. La ricerca della leggerezza si ritroverà nel successivo I miei vicini Yamada, unico suo lavoro del tutto privo di risvolti drammatici.

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