Speciale Isao Takahata: I miei vicini Yamada

I miei vicini Yamada è il primo film dello Studio Ghibli interamente animato in digitale

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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I miei vicini Yamada

Parlando di Pioggia di Ricordi abbiamo sottolineato come inizialmente Isao Takahata non fosse interessato all'adattamento, dato che il fumetto su cui si basava è uno slice of life composto da brevi episodi slegati tra loro. Otto anni, nel 1999, il regista dirige però un lungometraggio animato che ha proprio questa struttura - o meglio, questa non-struttura - dimostrando una certa elasticità mentale, o comunque lasciando intendere che il progetto aveva attirato la sua attenzione per qualche altro aspetto.

I miei vicini Yamada è basato sull'omonima striscia disegnata con un tratto stilizzato e incentrata su gag che hanno come protagonisti i membri di una buffa famiglia, composta da padre, madre, nonna materna, figlio adolescente e figlia di pochi anni. Il film riprende il formato dell'opera originale, inanellando tanti brevi siparietti comici della durata di pochi minuti, che raccontano le disavventure e la vita quotidiana degli Yamada, uno spaccato della routine di questa bizzarra famiglia giapponese.

I personaggi ricalcano per certi versi alcuni standard degli anime: il padre di famiglia che non riesce a farsi rispettare, la moglie perennemente stanca che fa la casalinga, la nonna che elargisce commenti acidi in ogni situazione, il figlio che si comporta da bravo ragazzo anche se vorrebbe essere un ribelle e la bambina ingenua ma per certi versi più matura dei suoi parenti adulti. La caratterizzazione dei protagonisti si approfondisce nel corso dei siparietti, che un tassello alla volta costruiscono lentamente le varie figure, che salutiamo sui titoli di coda quando ci sempre di conoscerli ormai da molto tempo.

Il film è il primo realizzato dallo Studio Ghibli interamente in digitale, nonostante i disegni ricordino il tratto a matita, spesso con linee non chiuse e un aspetto quasi abbozzato. Il desiderio di Takahata, però, era ricreare l'effetto acquarello, e per questo ha preferito accantonare i rodovetri solitamente utilizzati nell'animazione in favore di una colorazione digitale. L'espressività che nei precedenti film andava in una direzione iperrealista qui viene portata avanti con ricercatezza e una cura per le sfumature delle espressioni ma applicate a un approccio più umoristico.

I miei vicini Yamada dimostra le potenzialità del medium nel definire i toni del racconto: una sequenza ci mostra un gruppo di motociclisti che minacciano le donne di famiglia per la strada, e con un brusco passaggio al disegno realistico la scena assume una gravità enorme, mentre un vero e proprio rapimento è il soggetto di uno sketch leggero per poi trasformarsi in un'avventura in cui il padre si cala nei panni del super eroe.

È evidente che Takahata abbia voluto realizzare un prodotto prettamente di intrattenimento, ma ci sono anche momenti di poesia e picchi emotivi, attraverso i quali ci si affeziona sinceramente a questa famiglia, che potrebbe essere considerata una sorta di contraltare nipponico dei Simpson.

Per i suoi contenuti il formato lungometraggio non appare il più appropriato, e la lunghezza pesa sulla fruizione, quando sarebbe stato interessante vedere un prodotto simile in versione seriale. A dire il vero, un anime televisivo è stato prodotto da Toei un paio di anni dopo, ma privo dell'impronta stilistica del regista e dello staff Ghibli

Curiosa la presenza di una scena in cui vediamo Takashi tagliare una canna di bambù al cui interno scopre Nonoko, riferimento a un'antica leggenda giapponese che Takahata svilupperà poi nel suo successivo (e ultimo) lavoro, La storia della Principessa Splendente.

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