Speciale: Chris Meledandri diventerà il nuovo John Lasseter?

Perché l’acquisizione della DreamWorks Animation da parte di NBCUniversal è l’inizio di un nuovo corso guidato da Chris Meledandri?

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Dopo l’accordo di acquisizione della DreamWorks Animation da parte di NBCUniversal, controllata del colosso Comcast, si chiude una delle più grandi danze acrobatiche degli ultimi anni nel mercato dell’entertainment. E quando a danzare sono le major, è bene essere dei cascatori professionisti: tra i volteggi dei consigli di amministrazione e nelle oscillazioni di borsa può capitare di scivolare e farsi male, salvo poi rialzarsi e cercare un partner di rito con cui riprendere, all’occorrenza, un valzer o una capoeira. Nelle ultime ore gli occhi di Hollywood sono tutti puntati su Chris Meledandri, l’elemento chiave al centro di uno dei colpi grossi più interessanti dell’ultimo decennio. Sarà lui a prendere le redini dell'eredità di Jeffrey Katzenberg, assumendo in NBCUniversal un ruolo simile a quello di John Lasseter in Disney. Proviamo a indagare tre quesiti chiave della maxi operazione: come ha fatto Meledandri a diventare una miniera d'oro in meno di due lustri; cosa c'è dietro l'esorbitante prezzo che Katzenberg è riuscito a strappare in cambio della sua creatura ferita; quali sono le prospettive future del nuovo corso guidato da Meledandri, orientato a competere nel lungo periodo con lo strapotere disneyano.

L'epopea di un produttore silenzioso e il "metodo Meledandri"

Meledandri, 56 anni, è più riservato e meno noto di Jeffrey Katzenberg. Dal 2007 è alla guida della Illumination Entertainment, alla quale si devono i successi di Cattivissimo Me 1 e 2 e il recente colpo grosso al botteghino di Minions. Ha iniziato la sua carriera come produttore esecutivo del film Disney Cool Runnings - Quattro sottozero del ’93.  Dopo aver supervisionato un gran numero di progetti è attivato alla 20th Century Fox Animation, che ha trasformato in una factory di punta con l’acquisizione dei Blue Sky Studios, grazie agli ottimi risultati dei franchise de L’Era Glaciale e di Alvin Superstar. Ha poi catturato l’attenzione della Universal e ha inaugurato con la sua assistente Kelly Marting proprio la Illumination, ora uno dei principali centri di profitto della major, in procinto di lanciare Pets - Vita da animaliSing e Cattivissimo Me 3 (previsto per il 2017). A detta dello stesso Meledandri, la svolta della sua carriera si deve a un gigantesco fallimento. Nel 2000 Titan A.E. di Don Bluth e Gary Goldman, di cui Meledandri era supervisore,  fu un pesante flop al botteghino, con perdite quantificabili in circa 100 milioni e la conseguente chiusura dei Fox Animation Studios. "Quell'insuccesso fu l'ingresso nel resto della mia carriera. All'inizio è stata dura da metabolizzare. anche perché ero sempre stato terrorizzato dal fallimento. Tuttavia, il fatto di scoprire di essere ancora in piedi dopo un flop simile è stata un'esperienza molto liberatoria per me. La mia fede in questo mestiere è cambiata da Titan A.E. in poi" spiega Meledandri. Ed è cambiato anche il trend delle performance dei titoli che lo hanno visto coinvolto, tra i quali si celano alcuni dei più grandi successi di pubblico degli ultimi anni. Dal 2010, i due Cattivissimo Me hanno incassato complessivamente oltre 1,5 miliardi di dollari mentre Minions è arrivato da solo all’incredibile cifra di 1,16 miliardi di dollari su scala globale. E’ anche grazie alla Illumination (oltre che ai successi di Jurassic World e Fast & Furious 7) che la Universal è risultata la trionfatrice del Box Office del 2015, nonostante l’incredibile offerta dei prodotti Disney che includeva la cavalleria dei titoli Marvel, Pixar e Lucasfilm. Dal canto suo, la compagnia guidata da Meledandri è riuscita a arrivare al grande pubblico anche attraverso una gestione sapiente dei costi, che ha tenuto i budget dei suoi titoli ben più bassi dei concorrenti Disney e DreamWorks. “Meledandri è un pioniere che ha mostrato a tutti un modo diverso di fare film. Essenzialmente ha cambiato il modo con il quale i lungometraggi di animazione vengono realizzati” spiega Steve Hullet dell’Animation Guild. Il boss di Illumination è di fatto un John Hammond al contrario: anziché “non badare a spese” punta all’efficienza pura nel pieno spirito del principio di minima spesa e massima resa, senza mai sacrificare qualità e promozione. Se esiste un “metodo Meledandri”, consente quantomeno di tenere mediamente il budget di un prodotto destinato al grande pubblico tra i 60 e gli 80 milioni, a differenza di DreamWorks Animation e Disney che sono arrivate a spenderne fino a 200.

Illumination Entertainment

Illumination riesce a contenere i costi e a raggiungere alti standard qualitativi puntando sia su uno staff ristretto dislocato a Los Angeles che sullo studio Mac Guff con sede a Parigi. Con buone probabilità, anche parte dell’animazione dello studio di Glendale verrà delegata alle filiali in Cina e India. Ora, Meledandri ha infatti un ruolo di primissimo piano anche in DreamWorks Animation, il che lo pone su un piano strategicamente perfetto, avendo di fatto il controllo creativo di entrambi gli studi di animazione sotto l’ombrello della NBCUniversal. A livello societario, Meledandri ricopre dunque un ruolo assimilabile a quello di John Lasseter in Disney, che è a capo sia di Pixar che dei Walt Disney Animation Studios. A livello di mercato, l’acquisizione lampo della DreamWorks Animation ha anche un significato ben preciso: è (ri)partito un tentativo di assalto alla diligenza disneyana. Negli ultimi anni, la casa di Topolino è diventata un potenziale asso piglia tutto. E Meledandri, in appena un decennio, ha dimostrato di essere l’unico operatore in grado di portare a casa numeri potenzialmente competitivi con quelli dei titoli della casa dello zio Walt. Affinché l’assalto partisse, l’occasione era da prendere al volo: DreamWorks Animation andava sottratta al più presto dalle attenzioni dei cinesi, sempre più vicini a un’acquisizione potenzialmente avallata dallo stesso Katzenberg. La stessa creazione della Oriental DreamWorks, joint venture privilegiata per i prodotti sul mercato orientale, era intrisa di prove tecniche di coabitazione per un eventuale futuro non più a Glendale ma a Pechino. Oltre a Meledandri, qui entra in gioco il secondo danzatore del match. La compagnia guidata da Jeffrey Katzenberg verrà acquisita per l’assurda cifra di 3,8 miliardi di dollari a fronte di un valore stimato di appena 2,3. Come mai, pur di finire sotto la supervisione di Meledandri, DreamWorks Animation è stata valutata così tanto?

Il prezzo incalcolabile di un'occasione

In qualsiasi luce si legga la vicenda, Jeffrey Katzenberg è riuscito a vendere a un prezzo semplicemente esorbitante. Da un punto di vista squisitamente numerico è una cifra che non sta in piedi: qualunque sia il metodo contabile adottato per valutare il magazzino di DreamWorks Animation, non ci sono asset, anche immateriali, in grado di pompare il prezzo di acquisizione a livelli così sperequati. E almeno a oggi, la major di Glendale non ha un parco brevetti o un brand value in grado di essere valutato 1 miliardo e mezzo di dollari. Da dove viene una fetta importante della plsusvalenza? Il paradosso è che la risposta potrebbe celarsi non dentro DreamWorks Animation, ma fuori. Non è la major a valere tanto, sono gli altri a non potersi permettere di lasciarsela sfuggire. Una volta compresa l’inevitabilità di dover passare il testimone, Katzenberg ha lavorato a un obiettivo differente dall’ennesima e ingenua ambizione di tornare competitivo con i grandi. Fallita la mission di conquistare parte del territorio occupato dalla Disney, Katzenberg si è speso per rendere DreamWorks Animation assolutamente indispensabile per chiunque volesse farsi avanti sul ring al suo posto. Evidentemente, avendo venduto cara la pelle, ci è riuscito. Il messaggio è stato chiaro: non siamo stati in grado di competere con il polo multibrand disneyano, ma chiunque voglia farlo avrà bisogno di noi. E questa indispensabilità è stata lautamente riconosciuta non solo in teoria ma anche nei fatti e, leggasi tra le righe, nei rendiconti finanziari. La Oriental DreamWorks, nata dalla partnership di DreamWorks Animation con la Cina con l’idea di produrre titoli in collaborazione con le maestranze locali (a partire da Kung Fu Panda 3) è probabilmente stata una mossa con un obiettivo duplice: da un lato, Katzenberg ha voluto rassicurare gli investitori e creare un paracadute efficace che gli consentisse potenzialmente di vendere ai cinesi con più facilità; dall’altro, è stato anche un tentativo riuscito di spaventare le altre major, con il malcelato intento di ricordare a tutti “Sono sulla piazza e, se vendo, gli acquirenti potreste non essere voi”.

Jeffrey Katzenberg Dreamworks Animation. jpg

Subito dopo la firma dell’accordo, Meledandri si è affrettato a complimentarsi con Katzenberg per l’eredità indelebile lasciata nel cinema di animazione con DreamWorks Animation. Chiaramente, Katzenberg resterà coinvolto creativamente all’interno della compagnia, in una nuova divisione appositamente creata per la gestione dei nuovi media. “Poche persone nella storia della nostra industria hanno avuto un impatto come quello di Jeffrey Katzenberg" ha dichiarato Meledandri, "non c’è testamento migliore della sua visione dei film che DreamWorks Animation ha prodotto e dei talenti che popolano oggi la compagnia”. Nella migliore tradizione dei complimenti alla House of Cards, anche nella business community elogiare qualcuno è il miglior modo di celebrare un piccolo grande funerale in pieno stile executive. Testamento, inoltre, è una parola che pesa. Katzenberg, di fatto, esce di scena dopo gli ultimi anni di gestione “lacrime e sangue”: il suo tentativo ventennale di competere con lo strapotere disneyano, partito con i migliori auspici e non senza una buona dose di indispensabile presunzione, non è riuscito. Il CEO è invece pienamente riuscito a rimanere al suo posto molto più a lungo di quanto non prevedessero le normali dinamiche di sostituzione di un Amministratore Delegato di una major che non sfonda. La sua uscita di scena e l'inizio di una futura "era Meledandri" sono l’ennesima riprova del funzionamento della macchina squisitamente industriale dell’entertainment a stelle e strisce: puoi rimandare l’inevitabile, ma non evitarlo. A poco servono una nuova veste societaria, nuovi partner e nuove ambizioni se sotto il vestito non c'è il big money.

Minions Money

Prospettive della gestione Meledandri

L'occasione che il fondatore della Illumination ha ora tra le mani è quella di traghettare la Universal verso una nuova generazione di lungometraggi animati senza stravolgere il brand della compagnia che ha fondato: Illumination potrà continuare a puntare su pellicole brillanti e umoristiche mentre DreamWorks Animation potrà essere riplasmata su un'identità differente, fatta di lungometraggi ricchi di pathos. Accade anche in Disney: Pixar prosegue la linea del "what if" e delle sperimentazioni più ardite, mentre i Walt Disney Animation Studios portano avanti la ricchissima tradizione dei Classici. In NBCUniversal potrebbe essere adottato un modello simile: Illumination orientata a primeggiare nell'animazione di stampo comedy (che con Minions ha dimostrato di poter ancora fruttare numeri da capogiro) e lo studio di Glendale potrà essere rimodellato su una factory innovativa e al contempo tradizionale, con Meledandri uomo chiave alle redini di entrambi gli studios. Per realizzare tutto questo, ancora in un primordiale divenire, Glendale non doveva andare in Cina. I cinesi avrebbero dato a DreamWorks Animation una cassaforte piena, ma avrebbero impiegato anni a renderla potenzialmente competitiva con gli studios a stelle e strisce, dei quali stanno ancora studiando dinamiche culturali e commerciali più per emularli che per impararne. Nel frattempo, Topolino avrebbe fatto un ulteriore passo avanti in termini di quote di mercato e senza spendere un dollaro in più: a quel punto per competere non sarebbe bastata la sola Illumination, in grado solo di disturbare saltuariamente la Disney al botteghino. Con un assetto simile, produrre un grosso lungometraggio di animazione, con ambizioni di alti ritorni al box office, sarebbe diventato più complesso e avrebbe costretto più compagnie a entrare in co-produzione, con il conseguente frazionamento dei profitti. Lo stesso Meledandri ha più volte dichiarato che il mercato dell'animazione tende sempre più a cannibalizzare i propri titoli: troppi prodotti in troppo poco spazio. Per sparigliare le carte serviva una holding con una visione di più lungo periodo, ma non così lungo come il tempo necessario a costruire una compagnia da zero. Dunque, DreamWorks Animation era da acquisire adesso o mai più. E il timing, nel gioco dei troni delle major, è tutto.

Chris Meledandri

Il bello dello scontro tra gli studios è che non è necessariamente vero il detto "se non riesci ad abbattere un avversario alleati con lui": le variabili sono molte, inclusa quella di mettersi a disposizione di altri a caro prezzo. Il valore esorbitante di una compagnia come DreamWorks Animation, che negli ultimi anni non ha fatto altro che perdere pezzi, si deve anche all'occasione ghiotta di non farsi scappare l'unico studio che ha osato mettere in discussione lo strapotere disneyano. Ha perso, ma ha ancora in pancia i due strumenti con i quali ha portato avanti la propria sfida: tecnologia e know-how. Contemporaneamente, Meledandri e Illumination Entertainment hanno dimostrato che per arrivare in alto non è indispensabile spendere sempre di più. Se hai un cavallo di razza che porta a casa risultati insperati a prezzi modici non te lo fai sfuggire, soprattutto se puoi consegnargli a scatola chiusa una scuderia già avviata. L'occasione è ancora più imperdibile se non vuoi finire sempre più in un angolo, nel quale la Disney sta spingendo molti potenziali competitor.

Prove tecniche di sfida alla Disney

Negli ultimi dieci anni, le acquisizioni multimiliardarie della Disney portate avanti da Bob Iger hanno permesso l’ingresso all’interno della galassia Disney dei marchi Pixar, Marvel Studios e Lucasfilm, creando di fatto un vero e proprio monstrum di mercato. John Lasseter, Kevin Feige e Kathleen Kennedy sono a tutti gli effetti i colonnelli di un esercito che si è trasformato in una vera e propria cash-cow, ovvero una macchina inarrestabile del botteghino che ha sia piani per il prossimi 15 anni sia in programma una lista in continua crescita di live-action tratti dai suoi più iconici successi del passato. Senza troppi giri di parole,al momento non esiste un'altra major in grado di fare programmazione di lungo periodo con presupposti e auspici così ottimistici. Oltre alla cassa, Disney ha dalla sua il vero grande potere del mercato contemporaneo: i brand. Nella finestra temporale nella quale si trova, Disney non deve invogliare il grosso dei propri spettatori a convergere verso i propri prodotti: Star Wars, l’Universo Cinematografico Marvel, i titoli Pixar (al netto del flop de Il Viaggio di Arlo), e la lunga lista di live-action in agenda si vendono tendenzialmente da soli perché sono già scolpiti nell’immaginario collettivo del pubblico. E’ questo, in fin dei conti, il potere del brand: la costruzione di un’idea che porta il pubblico a scegliere un prodotto anziché un altro in quanto familiare e istintivamente confortevole. Come rispondere a un’invincibile armata di marchi?

Disney Marvel Pixar Lucasfilm

Verso la fine del sedicesimo secolo sembrava impossibile sconfiggere la flotta di Filippo II, che aveva pericolosamente circondato la Gran Bretagna mettendone in discussione l’egemonia dei mari: ci vollero una serie di devastanti tempeste a mettere fine allo strapotere marittimo del colosso spagnolo. Nei mercati, a volte, funziona più o meno allo stesso modo: una serie di burrasche fa spesso perdere pezzi a qualcuno e porta tutti a rimescolare le carte in tavola. Nel burrascoso mondo dell’entertainment, le major sono le navi, le holding sono le flotte, le acque sono il pubblico e le tempeste sono spesso i report del box office. DreamWorks Animation, da sola, non sarebbe andata molto lontano senza un riposizionamento di mercato che l’avrebbe fortemente sbilanciata sull’home entertainment e sui prodotti televisivi (a oggi produce oltre 19 serie tv). Il meccanismo della holding, invece, è ancora molto forte: in un mercato fortemente competitivo, una compagnia è debole da sola ma forte se inserita in una galassia più ampia di controllate da un gruppo.

Universal ha trionfato al box office nel 2015 ma ha avuto l’intelligenza di decidere di non campare di rendita, comprendendo con capacità di analisi il perché del grande successo: Minions, Fast & Furious 7 e Jurassic World sono stati tre successi che hanno ampiamente superato le aspettative della compagnia, e tutti e tre hanno la fortuna di essere espandibili in quanto franchise. Le prospettive al botteghino ci sono, ma è ora di fare programmazione di lungo periodo. Se NBCUniversal voleva investire doveva farlo subito, pena la possibilità di non poter più acquisire una compagnia come DreamWorks Animation per almeno un ventennio. Sì, perché al netto dei guai degli ultimi anni, DreamWorks Animation ha un avviamento e un patrimonio di know-how costruito proprio in un ventennio di alti e bassi e di voli pindarici tra successi e flop. La sua acquisizione potrebbe essere il primo di una serie di step volti a radunare un parco di marchi competitivi per lanciare una nuova sfida alla galassia Disneyana, con la Universal in testa come capolista, e con Illumination e DreamWorks Animation nel reparto animazione. Dopo i controlli antitrust di ordinanza, l'acquisizione di DreamWorks Animation da parte di NBCUniversal sarà completa entro l'anno. Ad ogni modo, anche sotto l'ombrello di Comcast, è difficile che si ricrei una situazione simile ai primi anni 2000, che vedeva i lungometraggi animati Disney in difficoltà con con il grande pubblico e quelli DreamWorks volare al botteghino. Di fatto, occorrerà un po' di tempo affinché la compagnia di Glendale faccia fronte a tutte le pendenze (in primis, gli accordi pluriennali per la distribuzione di contenuti con Netflix e l'accordo di distribuzione cinematografica con 20th Century Fox, che scade nel 2017) e si riorganizzi sotto la supervisione di Meledandri, pronto a sfidare sia Pixar che Walt Disney Animation studios sul terreno del box office.

Nel frattempo, abbiamo avuto un'ennesima riprova di come il campo da gioco hollywoodiano non stia mai fermo troppo a lungo a osservare l'ascesa di uno dei suoi giocatori e di come scateni, all'occorrenza, gustosissime tempeste con onde alte milioni di dollari. Il tutto, non a caso, con una buona dose di colpi di scena e regalando uno spettacolo nello spettacolo: quello dello show business.

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