Speciale - Beyond: Due Anime

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A Roma, Sony ha organizzato un evento per il lancio del nuovo gioco di David Cage, ecco il nostro resoconto...

Heavy Rain era un noir qui siamo nel fantastico, questa è la differenza principale tra i due titoli Quantic Dream che in comune hanno una forte contaminazione con l’azione e soprattutto la modalità narrativa creata dal CEO dello studio David Cage: l’interazione nello svolgersi della trama.

Come infatti nel titolo precedente il “gioco” sta nel guidare la storia più che nelle scene d’azione (che pure sono presenti ma, almeno nelle parti che abbiamo potuto provare, in un quantitativo e secondo modalità non troppo diverse da Heavy Rain). Insomma nonostante la parola d’ordine di David Cage sia e rimanga “novità” e “giocare come non avete mai giocato prima”, occorre prendere le sue affermazione con una certa calma, Beyond: Due Anime è un passo in avanti rispetto al gioco precedente ma non uno gigantesco.

Come sappiamo dai trailer e dalle prime informazioni rilasciate tutta la storia gira intorno a Jodie Holmes, una ragazza che seguiamo in circa 15 anni della sua vita (più o meno dagli 8 ai 23), bambina poi adolescente e donna che vive in contatto con uno spirito a lei collegato da quando è nata, malgrado non ci si trovi a suo agio, anzi ha con esso una relazione di amore/odio. Aiden, questo è il nome dello spettro, è una presenza giocabile che influisce sulla realtà (si può spesso passare dalla modalità Jodie a quella Aiden), aiuta o mette i bastoni fra le ruote a Jodie, insomma hanno una relazione complessa che è il cuore stesso del gioco (visto che sia Jodie che Aiden sono giocabili) e soprattutto che è vissuta diversamente in diversi momenti (con terrore da piccola, con odio da adolescente e forse con una maggiore consapevolezza e utilitarismo da più adulta).

E’ facile dunque immaginare le parti action (prima si cerca di fare con Jodie, poi si passa alla schermata di Aiden che le dà una mano, distrae i nemici ecc. ecc.) ma il vero punto di Beyond: Due Anime secondo Cage non è quello quanto “la possibilità di vivere la vita di una persona”, cioè di agire e agitare un avatar umano (quello interpretato da Ellen Page tramite performance capture in stile Avatar, con 65 videocamere a registrare i movimenti contemporaneamente e 90 sensori sul volto e 90 sul resto del corpo) per vivere le sue esperienze e immedesimarsi ad un livello maggiore di quanto siamo abituati.

Di certo quel che cambia rispetto al gioco precedente è l’interfaccia, molto più minimale che identifica gli oggetti usabili attraverso piccoli pallini bianchi (come si è visto già in Last of us), come del resto anche le scelte che indirizzano tono e possibilità della storia, inserite in maniera invisibile, spesso non sembra nemmeno di aver compiuto una scelta ma anzi di aver fatto l’unica cosa possibile e invece si è presa una via al posto di un’altra influendo sul finale della storia.

E proprio a proposito di conclusoni: David Cage sostiene che siano 23 i finali possibili a seconda di come si agisce: “Tanto che due persone diverse potrebbero avere esperienze completamente differenti riguardo il gioco” di certo, per quel che è stato possibile giocare, la storia della vita di Jodie è raccontata in maniera decostruita, cioè non linearmente ma atemporalmente, saltando da un punto all’altro dei 15 anni in esame. Viviamo una giornata con lei a 8 anni, poi una a 23, un momento della sua vita 15enne e poi un altro a 18. Questa prospettiva, solo apparentemente confusa (in realtà i passaggi sono giustapposti in maniera intelligente), è decisamente la cosa migliore, viviamo situazioni autoconclusive e spesso “vedrete gli effetti prima delle cause” come ha detto Cage (cioè ad esempio la vediamo prima in fuga dalla polizia e poi inserita in un’organizzazione governativa, capendo che il secondo evento è venuto prima del primo).

In questa maniera sul serio ogni situazione può finire in una maniera differente a seconda di come si è giocato, poichè tanto il momento successivo sarà in un altro punto del tempo, dunque non strettamente collegato a quello. Inoltre il procedere non in senso logico collega i vari momenti della storia a seconda dell’empatia e contribuisce a celare i misteri chiave del gioco.

E’ infatti molto ben costruito il disvelamento lento della natura di Aiden, se sia lo spettro di qualche morto, se sia una presenza ultraterrena o qualcosa di differente dalla natura umana, nè è ben chiaro cosa siano le altre cose che Jodie vede da piccola e che chiama “mostri”, ma è evidente che Cage tiene molto alla possibilità di lasciare porte aperte nel racconto: “Fin da quando ero piccolo ho sempre notato che in famiglia o con gli amici si parla e si discute molto di libri e film che vengono visti ma mai di videogiochi e non capivo perchè, allora ho cominciato a lavorare sullo storytelling per far sì che anche dei videogiochi si potesse discutere, l’ho fatto fin dal mio primo gioco Fahrenheit

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