Speciale American Horror Story - Asylum, "di alieni, possessioni e giradischi"

Secondo speciale alla riscoperta delle passate stagioni di American Horror Story. Oggi andiamo nell'Asylum, forse con la migliore stagione dello show

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Dove Ryan Murphy si inventa un cult. In quel manicomio dove un giradischi vomita ossessivamente la canzone Dominique, American Horror Story trova la forza per entrare nella cultura popolare, per diventare materia di discussione sui forum, per costruire immagini tra le più iconiche della sua breve vita. Tutto questo e dell'altro, perché il carattere "antologico" di una serie lo si può vedere solo al secondo anno: questo significa inevitabilmente confronti tra le annate, ma significa anche rispondere alla domanda degli spettatori su ciò che sarebbe sopravvissuto della prima stagione. Che non è tanto diverso, anche se qui è avvenuto in un clima più sereno e rilassato, dal dibattito tra la prima e la seconda stagione di True Detective.

In ogni caso, la risposta è soddisfacente. C'è il classico "more of the same" che Murphy conosce bene, e quindi via con più personaggi, più storyline, più idee buttate nel mucchio, non tutte con successo. Ma c'è anche l'intuizione di far tornare buona parte del cast e più puntare su momenti di estemporanea follia narrativa. Manicomi, serial killer, nazisti, alieni, mutanti, possessioni demoniache, Joseph Fiennes. C'è un po' di tutto nell'Asylum di Murphy, che qui crea un racconto lungo cinquant'anni di vendetta, prevaricazione e qualche allucinazione musical nel mezzo. Si inizia oggi, nel manicomio abbandonato di Briarcliff, dove alcune persone sconsiderate (tra cui Adam Levine!) trovano la loro fine ad opera del leggendario Bloody Face, che ovviamente prende a piene mani dal killer di Non aprite quella porta.

C'era questa bella intuizione nei primi episodi sul non rivelare nulla su chi fosse il serial killer e su come fosse legato agli eventi degli anni '60. Tutto si scopre a poco a poco, mentre noi, poveri ingenui, cerchiamo magari un legame che spieghi il perché di tante assurdità. Legame che naturalmente non c'è e non ci può essere.

Non è chissà quale sorpresa alla fine, ma il segreto di Asylum è tutto qui: un delirio senza senso al servizio dei personaggi, invece che il contrario come avvenuto nelle ultime due stagioni. In Coven e Freak Show avremmo visto protagonisti morire e tornare in vita, cambiare radicalmente personalità e agitarsi nel vuoto senza uno scopo. Asylum da parte sua è grezzo, maldestro, confusionario, ma racconta delle storie che vale la pena seguire e che un loro malsano senso ce l'hanno. Tutto tende, nel lunghissimo periodo, al ribaltamento delle figure principali. Che sono tre e guardacaso sono forse i migliori personaggi mai apparsi nella serie: Lana "Banana" Winters (Sarah Poulson), Suor Mary Eunice (Lily Rabe), Suor Jude (Jessica Lange).

Nel mezzo c'è Ian McShane che fa un Babbo Natale killer, c'è la storyline di Lana Winters che riprende moltissimo da Il corridoio della paura, ci sono omaggi sparsi a Arancia Meccanica, a L'esorcista, al Silenzio degli innocenti e, per chi vuole vederli, anche a Qualcuno volò sul nido del cuculo. Rimane una stagione che, tra le altre cose, traccia anche un'altra direzione ben precisa: questa è una serie che parla al femminile. Il finale, con l'esito del confronto tra il classico serial killer da un lato e sua madre dall'altro, parla chiaro, e forse proprio questo elemento, che generalmente è uno di quelli meno citati quando si parla di American Horror Story, è anche uno dei più innovativi.

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