Sound of Metal: come i suoni ci hanno trasportato nella soggettività del protagonista

Il suono di Sound of Metal è generato da microfoni piazzati ovunque e calibrato sulle testimonianze dei non udenti

Condividi
C’è qualcosa di veramente grande dentro a Sound of Metal. È una coerenza interna tra quello che si vede, i temi affrontati, e l’esperienza che viene proposta allo spettatore. Tutto è fortissimo, e allo stesso tempo sottile. Si percepisce a distanza di tempo, come un profumo che rimane impresso nella memoria.

Seguiamo Ruben Stone, un batterista nomade. Un vinto della vita, che intuiamo essere fuggito dalle dipendenze che lo stavano trascinando a fondo. Lo vediamo dal corpo di Riz Ahmed, un fascio di muscoli senza un filo di grasso, i tatuaggi a raccontare una vita giovane, ma già complessa. Ruben si è salvato dalla droga per salvare la sua ragazza, Lou. I due ora vivono alla giornata, scappano da un qualcosa che non sanno nemmeno loro cosa sia. Suonano nei locali sporchi, vivono in una stretta roulotte che li rimbalza da un concerto all’altro. Nel mezzo di un’esibizione Ruben perde all’improvviso il suo udito. Da un giorno all’altro si ritrova quasi completamente sordo, a doversi ricostruire un’altra vita e una nuova identità. Un incubo, in cui il regista Darius Marder ci mette di fronte con una domanda: tu come lo affronteresti?

Si dice che il miglior cinema non abbia bisogno di troppe parole, ma che parli tramite le immagini e le espressioni degli attori. Sound of Metal invece è grande proprio perché attinge a tutto lo spettro sonoro che ha a disposizione. È un film che può essere guardato ad occhi chiusi e si perderebbe molto meno di quanto verrebbe sacrificato se lo si vedesse a volume spento.

Il film propone alla soggettività di chi guarda un conflitto con quella di Ruben. Non c’è alcun intento shoccante in questo, nessuna voglia di appellare la coscienza o la pietà. Il sound design è composto con l’intento di abbracciare due punti di vista. Uno esterno, il nostro (o quello di Lou), che è la percezione del mondo che molti spettatori conoscono naturalmente. E poi c’è l’interiorità del protagonista, espressa proprio attraverso quello che non riesce a sentire. I suoni ovattati del suo mondo, le vibrazioni del metallo di uno scivolo (da qui il bel titolo Sound of Metal), sono uno strumento comunicativo sia per il protagonista che per la grammatica filmica.

Sound of Metal non parla di come si vive da non udenti, ma di come una persona al limite abbia scelto di affrontare uno dei drammi più grandi: la perdita dell’udito e di conseguenza del proprio lavoro di musicista e, apparentemente, della propria identità. A differenza dei film con questo tipo di approccio realistico, il protagonista non fa scelte sbagliate, autodistruttive e impulsive. Non ci sono inciampi imprevisti nella sua evoluzione lungo la trama. Ruben agisce esattamente come farebbe chi guarda, pensa in sincronia con chi sta oltre lo schermo.

Per fare questo, per realizzare questa sottile armonia tra sguardo e “oggetto-film”, il regista Darius Marder ha usato il suono come porta delle emozioni.

Il sound designer Nicolas Becker è stato chiamato a collaborare alla realizzazione del film ben due anni prima dell’inizio delle riprese. Ancora prima che si iniziasse a immaginare il look del film con il direttore della fotografia Daniël Bouquet. 

Becker è noto per avere lavorato a film come Arrival, Gravity e 127 ore, dove l’ambiente sonoro rappresentava addirittura un carattere, un interlocutore del protagonista. Ma come realizzare attraverso i rumori ricreati sul set la condizione degli ipoudenti?

La fase di ricerca ha portato il regista e il direttore del suono ad ascoltare le testimonianze di chi ha sviluppato questa condizione dopo la nascita. Le persone quindi che hanno perso l’udito, ma che conoscono e sono in grado di descrivere le differenze nei suoni ascoltati.

Per lavorare al meglio sulle tracce sonore, Becker ha cercato di evitare il più possibile i pacchetti di suoni ed effetti pre registrati andando a catturarli dal vivo sul set. Chiaramente Riz Ahmed, che interpreta Ruben, ha dovuto imparare a suonare la batteria e a comunicare con il linguaggio dei segni. Nella scena in cui perde definitivamente l’uso dell’udito Ahmed aveva un auricolare che emetteva un fischio e distorceva i suoni esterni esattamente come li sentiva il suo personaggio.

Per portare il pubblico dentro la testa di Ruben, gli artisti del suono hanno creato un microfono piccolissimo inserito nella bocca dell’attore. In questo modo hanno registrato i suoni interni, il contrarsi dei muscoli, il battito del cuore, il respiro e gli altri movimenti.

Le distorsioni usate per ricreare l’ascolto attraverso l’impianto cocleare si basano sulle testimonianze raccolte. L’effetto è simile a quello che si prova sott’acqua, dove la vibrazione che ci fa percepire il suono è quella che si riflette nella struttura ossea. 

In ogni inquadratura soggettiva di Sound of Metal c’è anche un suono soggettivo che cambia il senso delle immagini. È proprio grazie a questa cura che le scene di dialogo nella comunità o le passeggiate nel boschetto vicino, hanno un sapore nuovo, sebbene formalmente già viste. Perché cambiano il modo in cui assorbiamo queste azioni (apparentemente) quotidiane. Non più solo con la vista, ma con gli altri sensi: l’udito, e l’emozione dei panni altrui. 

Fonte: Vulture, Washington Post

Continua a leggere su BadTaste