Sostituire una sigaretta. L'affare Constantine

Perché siamo arrabbiati e perché è giusto esserlo per l'assenza della sigaretta nella serie di John Constantine

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Non ci dilungheremo nell'esporre i fatti in questa sede, tanto sapete tutto. Ve l'ha annunciato il nostro network dalle pagine di BadTV.it, che John Constantine, lo stregone nato sulle pagine dello Swamp Thing di Alan Moore e reso leggendario da Delano, Ennis e tanti altri scrittori importanti, non potrà fumare nella serie televisiva a lui dedicata a causa delle politiche antitabagiste della NBC. La scelta non poteva che scatenare la polemica tra gli appassionati di comics che, infatti, sono insorti, costringendo il team creativo a chiarire che si tratta di un veto della produzione, che è l'unica cosa che è stata proibita agli sceneggiatori, che non influirà sul personaggio e sulla qualità della serie.

Quando accade questo genere di spiacevolezze da trasposizione filmica o televisiva, ai fan più consapevoli e più autocritici non può che venire un dubbio che, più o meno, recita così: "Ma vuoi vedere che hanno ragione gli altri, quelli che ci guardano da fuori? Vuoi vedere che siamo tutti quanti dei nerd all'ultimo stadio, preoccupati di futili particolari invece che della ciccia? Non sarà che davvero siamo degli infantiloni piagnucolosi e pretenziosi a cui non va bene nulla?". Il dubbio è legittimo, in alcuni casi trova schietta conferma, ma non è questo il caso. Proveremo in questo articolo a spiegare perché ai fan in cerca di rassicurazione e ai profani che dovessero passare da queste pagine, disgustati dal livore con cui parte dei fumettari si sta scagliando contro David S. Goyer, creatore della serie, e la NBC.

John Constantine è uno dei personaggi più tragici della storia del fumetto mainstream americano. Un moderno occultista che deve il proprio successo a una serie di elementi che proveremo a sintetizzare in tre punti terribilmente insufficienti ma anche terribilmente solidi:

A. il suo strettissimo legame con la città di Londra e la sua identità profondamente british;
B. il fascino oscuro del mondo in cui si muove, fatto di intrighi al di quà e al di là delle quinte della realtà che tutti conosciamo, tra angeli e demoni, streghe e mostri mitologici;
C. la sua irrimediabile, incorreggibile fragilità umana, il vero avversario della sua esistenza, il suo mondo interiore fatto di negazione e di fuga da se stesso, di paura di affrontare i fantasmi del proprio passato più ancora che gli spiriti malvagi che infestano il mondo esterno.

Il terzo punto è quello che ci interessa di più. Constantine è un uomo disturbato, un duro che fa il duro per fingere di non essere fottutamente terrorizzato, che diventa il peggiore dei cinici perché ha dovuto uccidere la sua innocenza, altrimenti non potrebbe affrontare la follia del mondo. E questo gli dà gli incubi peggio di quanto possano fare le verità agghiaccianti che è costretto ad affrontare in solitudine, mentre il resto del mondo è ignaro di quanto tutto sia orribilmente spaventoso e la realtà priva di significato. Questo è John Constantine. Certamente è anche sarcasmo disincantato, piani tanto diabolici da ingannare il diavolo stesso, magia nera e ambientazioni occulte, dialoghi taglienti. Ma l'archetipo fondamentale che ha conquistato i lettori è quello dell'antieroe riluttante e tormentato da se stesso.

Ora capite quanto quell'ossessione per il pacchetto di Silk Cut sia importante per delineare un personaggio del genere? Non è soltanto un fatto estetico, ma una propaggine irrinunciabile di una caratterizzazione di personaggio. Non un particolare inutile, ma uno stato mentale, un tratto comportamentale, la mania compulsiva da dipendente di un uomo che si aggrappa a un bisogno primario autoindotto e che ha la necessità di ricordare a se stesso di essere ancora umano mentre tutta la sua vita è una spinta a dimenticarsene. John cede a una debolezza rassicurante ogni volta che si accende una paglia. Rinunciare alla sigaretta di John Constantine significa alterare il suo personaggio ben al di là di un piccolo particolare.

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A meno di trovare soluzioni alternative, ovviamente. Non mi verrete a dire, fumettari incazzati, che non è possibile rendere questo aspetto caratteriale che con il consumo costante di nicotina? Possibile che il catalogo delle fragilità umane non abbia in serbo un buon sostituto per il fumo? Forse. Chissà, forse esistono persino soluzioni migliori. Quasi quasi ci sentiamo in colpa per la mancanza di fiducia che stiamo implicitamente esibendo nei confronti di produzione e team creativo, che hanno tutte le chance di consegnarci un Constantine altrettanto valido, persino migliorato grazie a una trovata a cui proprio non abbiamo pensato che...

No. Ripensandoci, no. Non riusciamo proprio a pensare a un gesto esteticamente più iconico e immediato del deprecabile tabagismo a catena. Nessun gesto è altrettanto semplice, immediato, altrettanto significativo per quel che ha rappresentato nella storia della narrativa, sia essa fumettistica, letteraria o cinematografica. Sostituire la sigaretta non è possibile, ai nostri occhi. Farne a meno significa consegnarci un personaggio che ha lo stesso nome, ma non la stessa identità di quel tizio in impermeabile che abbiamo imparato ad amare sulle pagine dei fumetti Vertigo. E, in definitiva, il nostro disappunto è questione di affetto. Perché vorremmo sempre proteggere le cose, le persone e i personaggi a cui vogliamo bene.

Ecco perché, anche se intellettualmente disponibili ad ammettere di esserci sbagliati, siamo tutti quanti giustamente arrabbiati... come se David S. Goyer ai testi non fosse già abbastanza.

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