Signori, il delitto è servito è un esperimento incompreso

Signori, il delitto è servito è diventato un cult per il suo triplo finale, ma quel che conta davvero è come ci si arriva

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Signori, il delitto è servito (ora disponibile su Prime Video) è un caso più unico che raro nella storia del cinema, l’adattamento cinematografico di un gioco da tavolo che non solo funziona, ma riesce anche a essere fedele alla fonte nonostante le enormi differenze di medium. D’accordo, la concorrenza non è spietata: c’è qualche horror più o meno dimenticabile basato sulle tavole ouija, una versione sci-fi apocalittica di Battaglia navale che con il gioco del colpito&affondato condivide in pratica solo il nome – e poco altro degno di nota, a meno di non voler considerare Il settimo sigillo un film tratto dagli scacchi. Certo, ci sarebbe Jumanji, sia la versione originale sia il recente remake, ma in quel caso parliamo di opere tratte da libri per ragazzi incentrati su un gioco da tavolo inventato (e, a quanto ci risulta, mai realizzato e messo in vendita, per lo meno nella versione che si vede nei film).

Signori, il delitto è servito e Monopoli

Signori, il delitto è servito, invece, è basato su Cluedo, un gioco da tavolo inventato negli anni Quaranta da un musicista inglese di nome Anthony Pratt e pubblicato per la prima volta dalla compagnia inglese Waddingtons nel 1949 e diventato poi di proprietà della multinazionale americana Hasbro, che ne comprò i diritti (insieme all’intera Waddingtons, e a Parker Brothers, editrice americana tra le altre cose anche di Monopoli) nel 1990. Pratt era un appassionato di giallli, e in particolare di Agatha Christie, e si inventò quella che di fatto è una versione giocabile di Dieci piccoli indiani, o di qualsiasi altro “mistero della camera chiusa”; l’idea era prendere un gruppo di personaggi, chiuderli in una villa, inscenare un omicidio e chiedere ai giocatori di investigare, trovare indizi e scoprire il colpevole.

Fu un signore di nome Norman Watson, al tempo direttore di Waddingtons, ad apprezzare per primo l’idea di Pratt (non sappiamo dirvi se nel farlo abbia esclamato “elementare!”) e finanziare la produzione del gioco, che venne ribattezzato Cluedo (un portmanteau di “clue”, indizio, e “ludo”, gioco in latino) in Inghilterra e più semplicemente Clue in America. Cluedo ebbe un relativo successo nei suoi primi anni, ma resse allo scorrere del tempo fino a diventare un classico – al punto che all’inizio degli anni Ottanta John Landis decise che la sua struttura era perfetta per un adattamento cinematografico, e si mise al lavoro per scrivere una sceneggiatura adatta.

Signori, il delitto è servito Mustard

Signori, il delitto è servito e il triplo finale

La stesura dello script di Signori, il delitto è servito richiese tempo, fatica e parecchi nomi noti: oltre a Landis e a quello che sarebbe diventato il regista del film, Jonathan Lynn, Landis provò a coinvolgere anche Tom Stoppard (il drammaturgo inglese premio Oscar per Shakespeare in Love), Stephen Sondheim (il compositore americano premio Oscar per la colonna sonora di Dick Tracy) e persino Anthony Perkins (esatto, quello di Psyco). Alla fine furono Landis e Lynn a completare il lavoro, e lo fecero rispettando quella che era la visione originale del regista di Animal House: la sceneggiatura di Signori, il delitto è servito comprende non uno, ma tre possibili finali, tutti e tre ugualmente plausibili considerando quello che si vede nel corso del film.

Landis amava talmente tanto quest’idea che il film arrivò al cinema in tre versioni diverse: ognuna si chiudeva con uno solo dei tre finali possibili (indicati semplicemente come A, B, C), e ogni sala poteva scegliere se anticipare o meno quale dei tre il pubblico si sarebbe trovato davanti. Un ottimo modo per convincere la gente vedere il film (che nella versione a finale singolo dura meno di 90 minuti) per tre volte e quindi a comprare tre biglietti invece di uno, ma anche una mossa che non piacque a molta critica dell’epoca, proprio per la sua natura apparente di trucchetto succhiasoldi. Forse anche per questo Signori, il delitto è servito incassò pochissimo (14 milioni di dollari, poco meno del suo budget); fortunatamente, al momento dell’uscita della versione home video Paramount Pictures decise di creare un montaggio che prevedesse tutti e tre i finali di fila, presentati come “è andata così, ma sarebbe potuta andare anche cosà”, e il film di Jonathan Lynn cominciò a crescere fino a diventare un piccolo-grande culto.

Tim Curry

Trì is megl che uan

Signori, il delitto è servito è troppo complesso (volutamente) per poter essere riassunto in poche righe, ma proveremo a farlo almeno a grandissime linee. Il film comincia, come succede a quel capolavoro ispirato anch’esso ad Agatha Christie che risponde al titolo di Invito a cena con delitto, con... un invito a cena. Sei, per la precisione (non stiamo a citarli tutti ma sappiate che l’espressione “cast di stelle” non è sprecata), spediti a sei personaggi che non hanno apparentemente nulla in comune ma che, come si scoprirà nel corso della serata, sono tutti collegati in qualche modo alla misteriosa figura di un estorsore che sta succhiando loro soldi in cambio del silenzio sui loro relativi segreti. I sei (più il maggiordomo Wadsworth, interpretato da Tim Curry, la cameriera Yvette/Colleen Camp e la cuoca/Kellye Nakahara) si ritroveranno quasi immediatamente a fare i conti con un omicidio “a camera chiusa”: a morire è quello che si presenta durante la serata come l’estorsore, Mr. Boddy (Lee Ving), ucciso in un momento di blackout in una stanza nella quale erano presenti tutti i presenti, a parte quelli che erano assenti, ovviamente (abbiamo detto che non è facile raccontare questo film). Comincia quindi una bizzarra caccia all’uomo, o alla donna, dietro al delitto, al quale ovviamente ne seguono altri, in un crescendo che in un normale thriller sarebbe spaventoso e che nel film di Lynn diventa invece la scusa per inanellare una serie di gag tra il tragicomico e il grottesco, che culminano nella tripla rivelazione finale.

Ed è proprio qui che sta il vero colpo di genio del film. Non necessariamente nel triplo finale in sé (a proposito, noi concordiamo con chi dice che il finale A è il migliore e il C è il peggiore), quanto nel modo in cui Signori, il delitto è servito ci arriva. Come in ogni buon giallo che si rispetti e che non abbia come protagonista il tenente Colombo, infatti, a ciascuno dei personaggi mancano dei pezzi: qualcuno ha segreti che non verranno svelati prima della fine, altri erano altrove mentre si consumava un delitto, e tutti quanti sembrano essere alla mercé di una figura misteriosa della quale vediamo solo la silhouette, e che funge da burattinaia per tutti gli eventi. La sua identità non ci viene mai svelata e neanche suggerita, o meglio: man mano che scopriamo più dettagli sugli invitati alla serata, accumuliamo anche indizi e possibili moventi che a turno sembrano metterli uno dopo l’altro sotto i riflettori.

La sceneggiatura di Landis e Lynn racconta abbastanza da coinvolgere emotivamente e intellettualmente nell’investigazione anche chi sta dall’altra parte dello schermo (sarà stata la moglie del senatore corrotto, quella che deve nascondere le sue simpatie comuniste, il colonnello amante della bella vita...?), ma non abbastanza da fornire una risposta definitiva: nel momento in cui ci vengono svelati i tre finali, ci rendiamo conto che sono tutti e tre ugualmente plausibili, il risultato di un’attenta opera di disseminazione di indizi e depistaggi vari da parte di chi ha scritto e diretto il film. Sarebbe magnifico poter parlare con chi vide il film al cinema al tempo e ne uscì convinto che la SUA versione del finale fosse quella corretta, e ascoltare le conversazioni tra chi sosteneva che il colpevole fosse [redacted] e chi invece giurava che i delitti ricadessero tutti sulle spalle di [redacted]. Intendiamoci, non che sia un male rivederlo oggi: significa avere a disposizione tutti e tre i finali e scegliere quello che più ci piace, in una sorta di evoluzione del classico “finale aperto”. Peccato solo che non avremo mai l’occasione di vedere il finale D, quello che Lynn tagliò in fase di montaggio dicendo “no, no, no, dobbiamo liberarcene”...

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