Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello, 15 anni dopo una festa a lungo attesa

Sono trascorsi ben 3 lustri dall'arrivo nei cinema nazionali di Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello: bisogna festeggiare a dovere

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Nota introduttiva

Esattamente quindici anni fa Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello usciva nei cinema italiani.

Oggi la redazione di BadTaste pubblicherà una serie di articoli dal sapore e dal taglio profondamente diversi fra loro. Personalmente, al posto di una disamina critica "a posteriori" ho scelto di percorrere la strada della memoria, raccontandovi di come io abbia vissuto l'attesa di questa prima parte della magistrale Trilogia tolkeniana di Peter Jackson, una serie capace di toccare dei vertici di "sublime cinematografico" mai più raggiunti dal regista neozelandese. Neanche con la Trilogia di Lo Hobbit che, per impiegare le parole del nostro Francesco Alò, "è un'operazione e non un'opera". Differenza non da poco direi. Ma adesso facciamo spazio ai ricordi...

Quando nella seconda metà degli anni '90 lessi - in un qualche numero di Ciak - che Peter Jackson avrebbe portato sul grande schermo uno dei romanzi considerati come notoriamente infilmabili, Il Signore degli Anelli di J.R.R.Tolkien, pensai subito fra me e me: “Sono sicuro che verrà fuori un capolavoro”.

Il motivo di tanta sicumera nasceva da una questione ben precisa. In anni in cui mai e poi mai avrei immaginato di finire a lavorare in un sito il cui nome è un diretto tributo al film d'esordio del regista neozelandese, adoravo già alla follia i suoi lungometraggi. Cosa decisamente non scontata negli anni d'oro in cui si consumava la faida fra i Blur e gli Oasis. Era un periodo preistorico in cui la comodità degli acquisti online era solo un sogno e la possibilità di reperire (legalmente o meno) un dato film sul web era pura fantascienza. Gli adolescenti “film geek” come il sottoscritto potevano solo affidarsi ai costosi abbonamenti della cara, vecchia Tele+ e confidare in una qualche rassegna tematica o nella programmazione di Fuori Orario. Il problema con Rai 3 arrivava nel momento in cui bisognava programmare il videoregistratore (un dispositivo che per i nostri lettori più giovani ha lo stesso fascino ignoto che Stonehenge ha per un circolo di amanti dell'archeologia) e la durata della VHS andava a scontrarsi con la fantasiosa gestione del palinsesto notturno del canale pubblico. Gli orari che non venivano quasi mai rispettati e, spesso, ti ritrovavi con film registrati... senza il finale! Fu proprio grazie alla Nonna di Sky Cinema che fui in grado di scoprire le pellicole splatter di Jackson dopo aver letto di loro su uno dei leggendari Almanacchi della Paura di Dylan Dog. Quella pubblicazione che usciva quando aveva ancora senso seguire le avventure dell'Indagatore dell'Incubo, ma meglio non divagare.

Poi recuperai Creature del Cielo, Leone d'Argento a Venezia nell'edizione presieduta da David Lynch nel 1994 e, in home video dato che da noi restò nelle sale per mezza giornata, anche The Frighteners – Sospesi nel Tempo. Un film che a vedersi pareva costare ben più dei 26 milioni di dollari di budget spesi, segno che Peter Jackson aveva già ben chiara in mente la sua visione imprenditoriale a base di “Se Peter Jackson non va a Hollywood, Hollywood va in Nuova Zelanda da Peter Jackson”.

E ricordo bene di aver trovato una prima conferma alle mie positivissime vibrazioni sempre in un numero di Ciak. In calce a una pagina si affacciava timidamente la piccola foto di un concept di La Compagnia dell'Anello. Quello con le statue degli Argonath intenti ad ammonire, con la mano sinistra alzata, chi si apprestava a entrare nel Regno di Gondor solcando il fiume Anduin. Ho fissato quell'immaginina di cm 2x3,5 imbambolato ed estatico per almeno un quarto d'ora, con gli occhi lucidi di gioia. Era come se qualcuno mi fosse entrato nella testa e avesse capito come mi ero immaginato la scena leggendo il romanzo del Professore. Avevo imparato ad amare le opere tolkeniane in quarto ginnasio, grazie alla professoressa di Latino, Greco e Italiano, che, come prima opera narrativa da leggere e analizzare nei primi mesi di scuola, ci assegnò Lo Hobbit. Ormai ero entrato a curiosare nello Smial di Bilbo Baggins e ci sarei rimasto per diverso tempo, avventurandomi per la Terra di Mezzo in lungo e in largo (nonché indietro nel tempo), con gli altri scritti di Tolkien. Il Signore degli Anelli compreso. Non ho mai tenuto fede all'imperativo "stile Christopher Lee" che mi ero prefisso, ovvero di leggerlo integralmente almeno una volta all'anno, ma sono comunque arrivato a cinque riletture.

Certo, ero ancora alquanto dubbioso sul come Jackson avrebbe potuto trasportare sul grande schermo tutta la spettacolarità di battaglie campali fra armate di razze alquanto... eterogenee tra loro, ma per questo particolare cruccio ero riuscito a trovare un validissimo appiglio nella vituperatissima Minaccia Fantasma di George Lucas. All'anteprima di mezzanotte dell'Episodio 1, giunto alla Battaglia di Naboo, vivevo il passaggio tutto proiettato in avanti in attesa di quello che avrei visto al cinema con La Compagnia dell'Anello e gli altri capitoli del franchise. Al netto di quell'idiota di Jar Jar Binks, se la ILM era riuscita a creare quel po' po' di roba, perché Peter Jackson non avrebbe potuto fare altrettanto? Insomma, avevo trasformato la delusione regalatami da George Lucas con il “worst episode ever” di Guerre Stellari in Una Nuova Speranza per la traduzione cinematografica di Tolkien.

Giunti a questo punto di tale recherche “de noantri”, vi potrete fare agevolmente un'idea di come io abbia vissuto il mese che ha separato l'arrivo del film nei cinema di quasi tutto il mondo e in Italia. Se non ci riuscite, prendete come esempio il “junkie limbo” di Trainspotting e avrete una descrizione di massima.

Impensabile che nel 2001 i cinema italiani potessero anche minimamente ventilare l'ipotesi di cedere spazio a film che non fossero interpretati dalla coppia Boldi & De Sica, a prescindere dall'eventuale portata mondiale del blockbuster. Ero consapevole della cosa, ma provavo comunque un certo dolore.

Giunta infine la settimana di gennaio che avrebbe visto l'esordio nei cinema nazionali di The Fellowship of the Ring, toccò a me l'ingrato compito di prenotare AL TELEFONO una quindicina di posti in quello che, al tempo, era l'unico multisala presente ad Ancona. C'erano anche altri cinema con, in cartellone, il film di Peter Jackson, ma il defunto Mr. Oz era l'unico che poteva garantirmi un apprezzabilissimo audio in DTS. La sera del debutto il foyer del cinema era letteralmente stracolmo di gente, una roba che non si vedeva dai tempi delle chilometriche file per il Titanic di James Cameron. Frodo, Gandalf & Co. si erano impossessati di tutte e tre le sale della struttura.

Si respirava davvero aria di festa, di attesa, di curiosità palpabile. C'era il tipico pubblico degli eventi cinematografici destinati a lasciare il segno: quelli che erano arrivati subito dopo aver finito una partita a D&D, quelli che conoscevano a menadito il romanzo di Tolkien (presente!), quelli che “Ma ti ricordi il vecchio cartone animato? Chissà perché non l'hanno continuato”, padri e madri con prole al seguito, giovani e meno giovani... Gli unici che non avevano nulla da festeggiare erano i due cassieri, ma non tanto per l'ingente numero di persone accorse. La ragione del visibile stress provato dai due era un'altra. L'euro era entrato in vigore da una manciata di giorni ed era ancora perfettamente legale utilizzare tanto la nuova moneta quanto la vecchia. Ecco, ora immaginate di dover fare cassa a 400 persone dotate di due valute differenti.

Quello che accadde poi è storia. Storia del cinema e storia di ognuno di noi. Quello che vi posso dire è che ancora oggi, a quindici anni di distanza, i miei amici talvolta mi ricordano che “Bede, ma ti rendi conto che quella volta al cinema a vedere La Compagnia dell'Anello non ti sei mai appoggiato allo schienale della poltroncina? Volevi entrare dentro lo schermo, ogni tanto di controllavamo e stavi tutto proteso in avanti, pareva che non sbattessi mai le palpebre”.

Tutto vero. Tutto incredibilmente vero.

D'altro canto per me si trattava di “una festa a lungo attesa” celebrata nel migliore dei modi da quel simpatico e pingue regista neozelandese che ha sempre assomigliato tantissimo a un gioviale Hobbit.

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