Si alza il vento: il film di Miyazaki che cerca di vivere, che sa come amare e dice una bugia

C'è una bugia dentro Si alza il vento di Miyazaki, la sua opera più matura e radicata a terra, che desidera ancora sognare e spiccare il volo

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Si alza il vento torna in sala dal 24 al 30 agosto grazie a Lucky Red

Per Miyazaki è il vento che decide. L’uomo può avere la ragione, la tecnica, la fantasia, ma poi è l’aria che ha l’ultima parola. A chi la sa ascoltare è affidato un monito: «Si alza il vento!... Bisogna tentare di vivere!». Ogni fotogramma di Si alza il vento è segnato da queste parole, tratte dal poema Le Cimetière marin di Paul Valéry . 

È un vento che ha le caratteristiche umane, così come le macchine che lui sostiene. I loro suoni sono riprodotti da voci vere, borbottii e sbuffi in colonna sonora. Perché ancora una volta in Miyazaki tutto è anima e personalità. 

Tra le molteplici esistenze cullate dalla brezza, Si alza il vento si sofferma su una, quella di Jirō Horikoshi, l’ingegnere aeronautico giapponese i cui progetti furono fondamentali per i caccia della seconda guerra mondiale. È facile rivederci tanto di Hayao Miyazaki stesso. Jirō è un sognatore. La sua musa è l’ingegnere italiano Giovanni Battista Caproni. Un uomo che costruiva gli aerei come delle opere d’arte. Bestie enormi, pesanti e ambiziose, ma capaci di librarsi nel vento. Anche il ragazzo giapponese sogna il cielo, ma non lo può raggiungere come pilota, data la sua forte miopia. La natura lo ispira: forme e movimenti degli oggetti del mondo sono la base su cui costruire i prodigi meccanici. La tecnologia ispira l’arte e l’arte rende possibile la tecnologia. Sembra di ascoltare una massima Pixar. 

C’è tanto dello studio Ghibli in quel gruppo progettisti pacifisti costretti a produrre macchine da guerra. Curvi sulle scrivanie si entusiasmano per le scoperte, cercano di ignorare il loro uso.

Il dilemma, a ben vedere, è lo stesso di Oppenheimer. Jirō si sta avvicinando al suo capolavoro: il Mitsubishi A5M e il successivo A6M, lo “Zero”. Velivoli geniali, impensabili per quel tempo. Devono essere leggeri e veloci, ma anche sicuri in battaglia, efficaci contro il nemico. Devono volare sul vento, sperando che il pilota possa tornare a casa. Sono anche macchine da guerra, strumenti di morte.

Mettere l'ispirazione in un tratto a matita, dare poi forma e movimento a ciò che esiste su carta (seppur fabbricandolo), è un processo che richiama direttamente l’arte dell’animare. È il tratto distintivo degli oggetti e dei mezzi di Hayao Miyazaki: sono disegni, ma sono così dettagliati che potrebbero funzionare nella realtà. Ogni meccanismo ha la sua ragione di esistere come ogni tendine e ogni muscolo servono all’uomo per spostarsi e mostrare emozioni.

Si alza il vento, l’animazione adulta sulla guerra e sulla pace

Dopo la fiaba per bambini Ponyo sulla scogliera, Miyazaki ha scelto una storia cruda e autentica per quello che aveva annunciato come il suo ultimo film. Mentre lavorava all'opera, nel 2011, il Giappone fu ferito dal terremoto e maremoto del Tōhoku. Dentro Si alza il vento c’era un altro evento simile, il sisma del Kantō del 1923. 

Le immagini sono opposte a quello che gli animatori osservavano dal vivo in quei giorni. Il terreno come un’onda scuote le case e ferma i treni. La gente è ignara di cosa stia accadendo. Comunicano informazioni sbagliate, come la possibilità che la locomotiva esploda. Sperduti, si prodigano in atti di generosità. È lo spirito del popolo di Miyazaki, in pace così come in guerra. Alla fine, chiunque è capace di un gesto buono. 

Così Si alza il vento è fatto dai ricordi e dai sogni delle persone del Giappone dei genitori (del regista) e dei nonni (degli animatori). Si riprendono con precisione le usanze, come nella straordinaria sequenza del matrimonio nella notte, così distante e misteriosa per chi non ha dimestichezza con le cerimonie tradizionali del Giappone, ma così universalmente tenera. 

Un film per adulti, in cui si fuma tanto (e grazie alle sigarette capiamo in ogni momento in che direzione tira il vento), in cui si muore e si cerca di vivere. 

È il vento che decide

È il vento che decide la sorte della delicata storia d’amore tra Jirō e Nahoko. Delicata come la ragazza, gravemente malata. Hanno quasi paura di toccarla, per non romperla. Eppure lei vuole provare a vivere il tempo più prezioso. Sta accanto al marito nelle fasi finali della progettazione. Non è una presenza attiva. È però una presenza. Questo conta nell’amore: esserci, non per forza fisicamente, tendere la mano, gioire insieme. 

Una sequenza di una delicatezza straziante, tra le più sincere che il cinema abbia mai prodotto. 

E pensare che Jirō, quel giorno nei pressi dell’Hotel Kusakaru, non si sarebbe nemmeno accorto di lei se il vento non avesse spinto il suo ombrello ripara sole contro di lui. L’ha fatto con violenza, quasi facendogli male. Era un incontro urgente, il vento non poteva rimandare. 

La coppia innamorata si sente leggera, impara insieme a sollevarsi dal peso terreno. Tanto che Miyazaki imposta una sequenza tutta sull’idea di caduta non prevista. Jirō e Nahoko si lanciano un aeroplano di carta. Jirō impara da lui i movimenti del volo. Nahoko lo riceve come una distanza colmata tra il suo balcone e quello del ragazzo. Entrambi, più volte, rischiano di cadere giù. Come rappresentare meglio l’amore se non come la forza che ti fa dimenticare la gravità?

La bugia di Si alza il vento

C’è una battuta di Si alza il vento che non si dimentica. Resta in testa a chiunque lavori con la creatività, con le proprie ispirazioni, o per lo meno abbia questo tipo di ambizione. È un tormento e suona così: “Gli artisti sono creativi solo per dieci anni. Allo stesso modo anche gli ingegneri”. È una sentenza crudele. Dieci anni, non di più, per vivere al massimo, per seguire i propri sogni e realizzarli, per dare qualcosa di meraviglioso alla Storia. 

L’incognita è quando inizino questi dieci anni. Al primo incarico di lavoro? Con l’età adulta? Con la prima grande intuizione? Nessuno può saperlo. L’impressione è che lo si capisca alla fine di questo tempo florido. Ci si guarda indietro e si capisce di avere attraversato un sentiero che è impossibile da replicare. 

Nell’incertezza non resta che vivere al meglio il tempo che ci è dato, considerando ogni anno come il possibile inizio del decennio migliore. “Gli artisti sono creativi solo per dieci anni” è una frase che tormenta perché sembra vera. È logica, non si può essere sempre al massimo. È parte dello sviluppo stesso. C’è un’età in cui si rompono le regole e le si riscrivono, e un’altra in cui si vive secondo le nuove leggi. È bella, poetica, e racchiude in sé tanto del significato metatestuale di Si alza il vento come lascito del regista.

Ma è una bugia facilmente confutabile! Miyazaki ha girato il suo primo lungometraggio a 38 anni. I suoi capolavori sono iniziati poco dopo. Quando ha concluso il film aveva 72 anni. Si alza il vento è così la dimostrazione che, almeno per Miyazaki, il decennio creativo ha superato il tempo concesso ed è durato una carriera intera.

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