Shining ricordando Shelley Duvall: il set più complicato che cambiò la sua carriera e la sua vita

Shining fu il momento che cambiò tutto in Shelley Duvall. La storia raccontata attraverso numeri, aneddoti e controversie.

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C’è un legame tra Shelley Duvall e Shining che è quasi come quello tra la famiglia Torrance e l’Overlook Hotel. Un capolavoro, un’opera maestosa di svolta per la carriera dell’attrice, ma anche un ruolo prigione da cui non uscirà più. Un set complicato, estremo, che le è costato un impegno fisico ed emotivo fino a non avere più nulla da dare. Duvall è Wendy, come ogni pezzo di commiato per la sua morte ricorda, uno dei personaggi più iconici di sempre, ma anche uno stato di fragilità che l’ha accompagnata per il resto della sua vita facendone emergere tutta l’umanità. Di Shelley Duvall non è propria l'immagine di grande star irraggiungibile, è sempre appartenuta all’immaginario opposto, quello della persona comune, imperfetta e vulnerabile.

Perché proprio Shelley Duvall?

Fu la sua capacità di piangere a convincere Kubrick a scritturarla per il ruolo di Wendy. L’aveva vista in 3 donne di Robert Altman e si era convinto a partire dalle sue lacrime che sarebbe stata perfetta per incarnare la sua visione del personaggio. Jack Nicholson inizialmente era contrario. Aveva letto il romanzo e spingeva per avere Jessica Lange, con una presenza scenica più simile a quanto scritto da Stephen King. Il regista voleva ottenere l’opposto di quanto immaginato dallo scrittore, così cercò di puntare sulla fragilità emotiva della donna. Era diposto a tutto pur di raggiungerla.

Nel dietro le quinte contenuto nel documentario Making 'The Shining’, diretto da Vivian Kubrick, si può vedere l’attrice sdraiata sul pavimento come conseguenza di un attacco di panico avuto sul set. Prova di una lavorazione durissima, che ha portato allo stremo tutti, in particolare Duvall, su cui il metodo di produzione colpì più forte.

Le riprese estenuanti di Shining in numeri

Le riprese del film, svolte in ordine cronologico, sono durate 56 settimane, più del doppio di quanto preventivato. Un’eternità. Soprattutto se significa passare un anno nei panni di un personaggio tormentato non solo dentro la storia, ma anche sul set. Il metodo di Kubrick ha portato più attori alle lacrime per la frustrazione. La scena in cui Wendy sale le scale difendendosi con la mazza da Jack è stata rifatta 127 volte. Mentre la scena “sono il lupo cattivo” ha visto 60 porte sfondate e 3 giorni di riprese.

Le riprese si sono svolte in uno stato di isolamento, lontana da casa e dal suo fidanzato. Lo stress emotivo e professionale ha amplificato i problemi di salute mentale dell’attrice. Più volte Duvall ha dichiarato il senso di disagio provato nel girare il film, la fatica di restare in un personaggio abusato e traumatizzato. Il dibattito su quanto sia stata un’esperienza traumatica è ancora aperto (potete approfondire qui). È certo però che durante la lavorazione l’attrice attraversò un esaurimento nervoso con conseguenze sul fisico e sulla psiche.

Il rapporto tra Kubrick e Shelley Duvall

L’unico attore che Kubrick trattava con attenzione era il piccolo Danny Lloyd. Agli altri veniva richiesto l’impossibile. A tutti, compreso Jack Nicholson che mantenne un buon rapporto con il regista durante le riprese. A Shelley Duvall un po’ di più. Ci sono diverse testimonianze nei documentari Stanley Kubrick: A Life in Pictures e Making 'The Shining’ di come il regista perdesse la pazienza gridandole contro e chiedendo agli altri di non simpatizzare con lei. Un metodo violento, che mirava a far sentire l’attrice isolata come il personaggio. Non teneva però conto del disagio già presente in lei, che lo rendeva oltremodo difficile da sostenere sul lungo periodo. 

Fu Duvall stessa a confermare, in una delle sue ultime interviste, la durezza del metodo usato con tutti gli attori e a negare però di essere stata effettivamente maltrattata dal regista.

(Kubrick) È stato sempre cordiale e amichevole, ha passato molto tempo con Jack e me. Voleva sedersi e parlare per ore mentre la crew aspettava. Gli dicevano “Stanley, abbiamo 60 persone che ti aspettano” ma (quel dialogo) era una parte del lavoro molto importante.

La sua Wendy, non amata, ma fondamentale

Tutta questa fatica diede vita a un personaggio iconico oggi, ma non particolarmente amato dai primi spettatori del film. Stephen King è un osteggiatore dell’adattamento di Shining, anche per via di come Kubrick ha portato sullo schermo Wendy. Le sue urla, il suo continuo vagare lungo i corridoi, l’hanno resa un personaggio difficile, fuori dallo schema tipico delle donne dell’horror. Il tempo ha cambiato le cose, Wendy è giustamente considerata come l’elemento essenziale per la profondità psicologica del film. La performance di Duvall fa i conti con l’impossibilità di fuga e il trauma. È una madre che esce vincente dagli abusi. Un’interpretazione autentica in cui l’attrice si è immersa completamente. 

Così, proprio grazie alle sue reali fragilità, Shelley Duvall è riuscita a cambiare il modo in cui le emozioni sono state rappresentate sullo schermo e per questo è stato difficile accettarla. La paura è sgradevole, l'ansia è sporca, il terrore è confuso, tagliente, devastante. In un horror, questo è il miglior tipo di autenticità possibile.

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