She-Hulk ha spaccato la Marvel (e il pubblico), ma quel finale senza senso... ha perfettamente senso

Il finale di She-Hulk è più importante per la Marvel che per il personaggio. Rivela uno studio consapevole di sé e ancora in ricerca

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Con l’episodio finale, She-Hulk ha fatto l’all-in. Ha scommesso tutto quello che poteva e che, bluffando, ha tenuto a freno negli episodi precedenti. Ne esce una puntata perfetta, esilarante, e così intelligente da riempire di significato anche tutti gli altri 8 capitoli di una serie a dire il vero molto altalenante. Grossi spoiler a seguire!

Prendere in mano il proprio destino

She-Hulk\Jennifer Walters scrive da sé il suo finale. Diventa padrona della propria storia opponendosi al ritratto altrui: siano essi gli incel che ne fanno una fotografia deforme, filtrata dal loro odio, o gli sceneggiatori in crisi di idee. 

Corpo e anima, super e umano, apparenza e realtà, sono i punti cardinali della serie sin dall’episodio uno. Trattati con la leggerezza di una commedia legal-sentimentale sono un po’ spariti dietro a un trattamento piuttosto superficiale. Ritornano qui, grazie al miglior finale delle serie TV Marvel fino ad ora, capace di fare il punto su quanto detto. Un punto fermo, così fermo che buca il foglio (o la quarta parete) per andare in profondità.

Solo Jen poteva farlo. Siamo in attesa di Deadpool, certo, ma la sua tradizione narrativa lo rende meno adatto a giochi "meta" così seri (lui K.E.V.I.N l'avrebbe ucciso). Invece, proprio come nella controparte cartacea, She-Hulk diventa serissima nei momenti più assurdi e creativi. Come avevamo già evidenziato, la serie è fatta di personaggi in cerca d’autore. Scontenta di quello che è, ma ancora di più di quello che le viene attribuito, nei fumetti Jennifer parla al suo pubblico, sfrutta consapevolmente il suo corpo, se ne riappropria con ironia, e soprattutto tira le orecchie ai suoi autori. Scrittore e illustratore compresi. 

Oggi siamo nella golden age della televisione, come dice Wong, perciò il personaggio può permettersi di rompere l’algoritmo della piattaforma, uscire nel mondo reale, incontrare il team di sceneggiatori e K.E.V.I.N. Non Feige, ma il suo equivalente robot. Inutile commentare l’idea, estremamente rischiosa e divisiva. Ognuno la accoglierà come meglio crede. Colpisce però l’auto diagnosi fatta dalla più grande società produttrice di storie di supereroi sulla salute degli stessi.

She-Hulk e l'importanza di rompere le regole

Ecco quello che è She-Hulk: la serie sulla consapevolezza. La consapevolezza di essere supereroi, di essere donne in un mondo al maschile, di subire pressioni, pretese, sguardi. E ancora: la consapevolezza di essere un prodotto di exploitation, un personaggio per fare denaro, un derivato al femminile che però pretende di avere il proprio posto. Lo fa quindi spaccando.

I nove episodi non sono rivoluzionari. Lo è invece She-Hulk. È lei che non sta alle regole, non come Steve Rogers che si oppone alle leggi ingiuste, lei sfugge alle regole del genere. Squarciando il velo, la gigante di giada si impossessa del finale e lo annulla. Nessuno scontro con il cattivo, nessuna soluzione violenta. Una chiusura alla Jennifer Walters, molto razionale e poco eccitante. Ci penserà la legge a ristabilire la giustizia, non il supereroe, maschio o femmina che sia. 

Ad un livello più profondo della semplice successione della trama, il colpo di scena di She-Hulk porta a due conclusioni. 

Conclusione 1: l'algoritmo perfetto non esiste. È fatto di tentativi e fallimenti

La prima è che i Marvel Studios sotto la guida di "Kevin" sanno perfettamente quello che sono. Tutto è racchiuso nell’immagine grottesca, ripresa da questo meme, di un Architetto simile a quello di Matrix che tutto controlla. Possiede l’algoritmo di intrattenimento più avanzato al mondo. Chi potrebbe dire il contrario, visti i risultati al botteghino dello studio? Segue però un'ammissione importantissima: produce prodotti quasi perfetti. Quasi. "Perché qualcuno è meglio degli altri". 

Questo non è da leggere come un’ammissione di colpa dei Marvel Studios rispetto ai prodotti meno riusciti. Quello che ci dicono qui è piuttosto: “siamo consapevoli che non tutto è uscito come volevamo”.

Produrre qualcosa che conti è ancora un lavoro umano, fatto di sudore e litigi. E anche i fallimenti servono per perfezionare il progetto che può piacere o non piacere, ma è ben chiaro.

In questa consapevolezza c’è tutta la creatività dei Marvel Studios. Negli episodi precedenti di She-Hulk hanno risposto preventivamente agli haters, prevedendo addirittura quello che poi è effettivamente stato scritto online (che gran colpo!). Persino in questa puntata, girata ben prima dell’arrivo di Mighty Thor sul grande schermo, i discorsi dei fan sul personaggio sono diventati battute della sceneggiatura. 

Il “Metodo Marvel Studios” è ben noto. Provare, sottoporre a test screening, riprovare, mantenere un margine di errore per correggere ciò che non va. A Hollywood se ne è molto parlato e non bene. Martin Scorsese fu certamente il primo a esprimere un dissenso forte rispetto a questi film. Fu però Lucrecia Martel ad affrontare direttamente il “problema” specifico della catena produttiva, che affida alla regia la visione, mentre l’esecuzione è parte di un team creativo quasi scientifico.

Ecco, Kevin - entrambi i Kevin - ci dicono che l’algoritmo perfetto non esiste. Che la Marvel nasce ancora dalle umanissime stanze degli sceneggiatori piene di post it e fogli sparsi. Che fare un film o una serie è difficile e bellissimo. A volte i personaggi si ribellano, i colpi di scena non escono per il verso giusto, però c’è un motivo se loro vanno avanti a fare tutto questo e lo fanno proprio attingendo da quella fantasia messa su carta da Stan Lee e dai suoi colleghi. Perché credono nei simboli. 

Conclusione 2: la trama non è tutto. Contano i simboli e le immagini

La seconda conclusione “meta” a cui ci accompagna She-Hulk è quindi sulla trama. Forse tutto quello che si poteva raccontare è già stato raccontato. Il pubblico è consapevole dell’illusione e ha sempre meno voglia di immergersi. Allora la semplice esposizione dei fatti, la continuità dell’universo, perde di importanza nella fase 4. Quella moderna, quella dopo la rivoluzione portata al cinema dagli Avengers che si trova nella difficile posizione di capire se replicarla oppure di fare qualcosa d’altro. 

She-Hulk non ha interesse in quello che le succede, però è ossessionata dalla conclusione. Non importa come, vuole che la sua conclusione sia significativa e soddisfacente. Lo è? Sì, moltissimo. È un finale assurdo e buttato all’aria? Sì anche, ma è proprio questo il punto.

Perché pur cercando la storia perfetta si ritrova il gusto dell’errore, che è però ciò che rende distintivo un prodotto di fantasia. Distruggendo l’impianto di trama, e l’ossessione verso di essa come unico valore artistico, si ritorna all’essenza del personaggio nel suo impianto simbolico. I supereroi non sono importanti solo per ciò che fanno nello spazio audiovisivo che gli è concesso, ma per quello che rappresentano all'esterno.

Così She-Hulk più di tutti rappresenta la rottura delle convenzioni e il riappropriarsi della propria storia. Questo vale sia per il personaggio che per la serie. Gli sceneggiatori hanno tracciato questo parallelismo con la massima efficacia. Di solito questa rivelazione dei temi che si vogliono affrontare succede dentro il percorso dell’eroe. In questo caso si è realizzato grazie all’impalcatura del racconto. Sembrava instabile, pronta a crollare da un momento all’altro. Ha invece trovato la perfetta chiusura del cerchio. Ha detto con la forma, ciò che Jennifer Walters non è riuscita a comunicare a parole. Tutti gli stereotipi possono essere spaccati con rabbia. Siano essi giudizi rivolti alle persone, o semplici cliché narrativi. 

Trovate tutte le notizie su She-Hulk nella nostra scheda.

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