Il peggio della settimana in TV: il ritorno di Selfie e il sushi all-you-can-eat
Questa settimana in tv abbiamo assistito al ritorno di Selfie con Simona Ventura e alla rivincita di un ristorante di sushi all-you-can-eat...
Evidentemente gli ascolti dello scorso anno sono stati così entusiasmanti da spingere la rete a riproporre di nuovo il tremendo show, mantenendo lo stesso format e la stessa padrona di casa. E partiamo proprio da Simona Ventura. Dopo tanti anni di onorata carriera, ora che anche per età anagrafica avrebbe potuto inserirsi di diritto nel gotha delle signore della tv italiana, per la pimpante Simo non deve essere particolarmente entusiasmante ritrovarsi a condurre un programma del genere, tuttavia lei si mostra soddisfatta e felice e sempre uguale a se stessa, se non fosse per il viso ritoccato e l’espressione da strega di Biancaneve che assume quando non si accorge di essere inquadrata e quindi non è costretta a sorridere a 32 denti.
Queste premesse, già da sole fanno venire i brividi, ma se ci addentriamo nei particolari, ci viene proprio la pelle di cappone. Ecco le coppie di mentori di quest'anno: direttamente dalla fabbrica di “Amici”, Briga e Alessandra Celentano (con volto rimpolpato effetto "guance da criceto” ) poi, un duo al femminile composto da Iva Zanicchi e Barbara de Rossi e, per finire, i due bonazzi di turno che in questa edizione sono l’ex calciatore Bernardo Corradi e, sempre da "Amici", l'onnipresente Stefano de Martino.
In questa prima serata la selezione casuale coinvolge, pensa un po’, una signora scarmigliata, malvestita e struccata, come se l’avessero appena prelevata mentre era intenta a pulire le fughe delle piastrelle di casa - eh già - perché se andiamo a vedere una trasmissione tv, tutta incentrata sulla bellezza e sul look, dove magari rischiamo di essere ripresi dalle telecamere, non ci curiamo neppure di darci una una sistemata o almeno una pettinata.
Passiamo alla giuria, dove troviamo un’altra delle costole di Maria De Filippi, l’opinionista di Uomini&Donne Tina Cipollari, più plastificata che mai, mentre, dalla naftalina, è stato recuperato il professor Zecchi, noto accademico, presenza fissa nel “Maurizio Costanzo show” dei tempi d'oro e che tutti ricordiamo come forforoso docente di Estetica (e dev’essere stata proprio questa fuorviante definizione ad avergli fatto conquistare, qui, un posticino da giudice). Il quintetto si completa con Platinette e poi Alex Belli e Pamela Camassa, grandi frequentatori del salotto della D’Urso e perennemente nel limbo dei soliti personaggi di belle speranze alla perenne ricerca di una consacrazione artistica che tarda ad arrivare.
Addentrandoci nel cuore dello show, il primo caso della serata vede come protagonista una formosa ragazza, istruttrice di guida, trascinata in studio,con l’inganno, da un gruppo di colleghi simpatici come dei gattini attaccati ai testicoli. Questo invadente gruppo di impiccioni chiede che la ragazza, portatrice di un’ottava di seno, venga aiutata a liberarsi dell’ingombrante fardello sottoponendosi ad un intervento di riduzione mammaria. A parte l’imbarazzo della giovane, memorabile rimane il commento di De Martino che, osservando argutamente il fatto che solitamente le donne si operano per aumentare il seno, in questo caso di può tenere da parte quello che avanza per darlo ad altre più bisognose, proprio come un Robin Hood dei seni, che toglie ai ricchi per dare ai poveri. Nel secondo caso presentato, troviamo invece una signora di mezza età che dopo una vita travagliata, passata tra malattie, disgrazie e brutte esperienze di varie natura, adesso vuole fare qualcosa per sentirsi meglio con se stessa. Il motivo della sua infelicità è rappresentato da un “difetto” che in questo momento della sua vita le causa immensa vergogna e che cerca di camuffare con l’aiuto di occhiali e capelli portati sul volto: le palpebre cadenti. Selfie corre in soccorso della signora e dopo il tanto agognato intervento di blefaroplastica, la donna è contenta e ritrova il sorriso. Tanto per essere precisi, se le palpebre sono cadenti, soprattutto quelle superiori, e creano problemi alla vista, come era evidente nel caso sopracitato, l’intervento correttivo si può effettuare in regime di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale e non c’è alcun bisogno di andare in tv e mettersi nella mani del belloccio chirurgo plastico dei vip. Non siamo riusciti ad arrivare al terzo, quarto, quinto caso della puntata, ma siamo certi di non esserci persi nulla di sublime.
Cambiando completamente genere ed argomento, il nostro telecomando si sintonizza su #Cartabianca, il programma condotto da Bianca Berlinguer in onda su Raitre in versione striscia quotidiana e, una volta alla settimana, anche in versione serale.
Il programma tratta argomenti di attualità e politica, in compagnia di ospiti noti. Nel corso dell’ultima puntata è intervenuto in studio l’attore Lino Guanciale, reduce dal grandissimo successivo televisivo ottenuto con la fiction di Raiuno “La porta rossa”. La Berlinguer, dopo avere presentato il suo ospite ed averne sottolineato con entusiasmo non solo la bravura, ma anche l’avvenenza, inizia l’intervista e la prima domanda, posta forse per rompere il ghiaccio con leggerezza, si trasforma in un vero scivolone per la brava ed ineccepibile Bianca. La giornalista chiede a Guanciale se nel corso della sua carriera non abbia mai pensato di cambiare il cognome. Lui risponde divertito che da piccolo veniva preso in giro non solo dai compagni di scuola, ma anche da professori e presidi, perché il riferimento all’amatriciana era inevitabile, ma orgoglioso delle sue origini abruzzesi e profondamente legato al nonno, non ha mai, in tutta la vita, pensato di assumere un nome d’arte. Lei ribatte che però in tanti colleghi lo fanno, ma aggiunge che, a lei, non è mai venuto in mente né sembra possibile che si voglia cambiare cognome. Detto da una che non si chiama “guanciale”, ma che, in quanto figlia di uno dei più importanti uomini politici del nostro dopoguerra e portando quindi un cognome che ha fatto la storia, l’affermazione suona assurda e stucchevole. Poteva evitarsela.Ma forse è caduta in fallo proprio a causa del fascino del bel Guanciale.
E il cognome gastronomico ci porta obbligatoriamente a parlare di cibo, ma non di un programma genere food, bensì dell’ultimo servizio de “Le iene” dedicato ai ristoranti sushi formula “all you can eat” . Il primo reportage sull’argomento, andato in onda qualche settimana, ad opera di Nadia Toffa, aveva messo in evidenza le scarse condizioni igieniche in cui versano alcuni ristoranti di questo tipo visitati a Milano e la conseguente pericolosità che deriva dalla ingestione di pesce mal conservato e male trattato, carico di batteri e dannosissimo per la nostra salute, se non,in casi estremi, addirittura mortale.
Stavolta la iena bionda dal ciuffo con riporto parte in quarta terribilmente infastidita per la sfida lanciata da un ristorante AYCE milanese che, come ammesso candidamente dal titolare, dopo avere subito una preoccupante flessione di incassi, proprio a seguito del servizio andato in onda, ha distributo in città dei simpatici volantini che riportavano lo slogan “non temiamo le jene, noi il sushi lo facciamo bene”. La Toffa, incarognita, precisa subito che intanto non è giusto che un locale si faccia pubblicità utilizzando il nome del suo programma, come se il termine iene, che fa rima con bene, fosse protetto da copyright e non utilizzabile e come se un ristoratore onesto non avesse il diritto di difendersi dopo il danno indiretto avuto per colpa di colleghi poco inclini a seguire le regole. L’insopportabile Toffa va quindi nel ristorante che ha distribuito i volantini pietra dello scandalo, pronta a cogliere in fallo tutto e tutti, sempre con l’aria da saputella e con il solito sorriso furbino che sembra volere dire “a me mica mi prendi in giro”. Con la solita arroganza che la contraddistingue, non appena arriva il titolare del locale, lo incalza chiedendo di vedere celle frigorifere e cucina e, armata di borse frigo e buste sterili, è subito pronta a prelevare campioni di pesce da portare ad analizzare, proprio come se avesse i titoli per farlo o fosse una dei Nas.
Al posto del titolare avremmo chiamato i Carabinieri e preso a calci nel sedere la presuntuosa signora. Invece lui, il signor Feng, molto educato, le mostra tutto quello che vuole vedere, e lei non riesce a trovare nulla di eclatante, a parte il pavimento sporco della cella delle verdure. Quindi prova a giocarsi l’ultima chance estraendo un termometro per misurare la temperatura del pesce. Ovvio che essendo proprio nelle ore di pieno servizio, le vetrine ed i frigo vengano aperti di continuo ed i pesci, estratti per esser preparati e lavorati, non possono avere la medesima temperatura indicata dalla legge per la corretta conservazione. E a 5 gradi non sarebbero di certo neppure buoni da mangiare. Ma lei vuole trovare qualcosa che non va. Il signor Feng è un osso duro e si mette a completa disposizione, impegnandosi anche a fare analizzare lui stesso i campioni di pesce, giusto per controprova. A lei brucia non trovare il marcio che vorrebbe trovare, si vede che freme e che vorrebbe scoprire uno scarrafone gigante in cucina o del pesce fetido per sventolarlo soddisfatta davanti alla telecamera, invece no, non c’è nulla di tutto ciò e alla fine le analisi di laboratorio confermeranno che il ristoratore cinese lavora con precisione, che rispetta la legge e che molto probabilmente il suo sushi è anche buono. A questo punto la Toffa, ruffianissima, gioisce insieme al signor Feng per l'esito positivo della sua indagine.
Che però continui pure ad andare nella lussuosa temakeria romana dello chef Ricardo a cui in questa e nella precedente puntata, è stata fatta una pubblicità occulta senza pari. Perché per spiegare come si riconosce il pesce buono era sufficiente sentire il parere di un comune pescivendolo, e non per forza di un già noto, e sicuramente bravo, chef televisivo il cui nome e cognome, ricamato sulla giacca da lavoro, si leggeva, guarda caso, perfettamente.