Tutti i film e le serie tv tratti da Philip K. Dick dopo Blade Runner (anche quelli bruttissimi)

Blade Runner ha iniziato e molti altri film e serie tv lo hanno seguito. Dal 1982 Philip Dick è stato saccheggiato, non sempre in adattamenti impeccabili

Critico e giornalista cinematografico


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Nonostante il racconto “Impostore” fosse stato già portato in televisione 2 volte (nelle serie Out Of This World e Il Fascino Dell’Insolito) Blade Runner è stato il vero esordio di Philip K. Dick nell’audiovisivo, il primo adattamento vero e proprio per giunta nel medesimo anno in cui è morto. Ha fatto quindi in tempo a vederlo floppare in sala ma non a vedere quanto la storia di "Il cacciatore di androidi", unita alle idee visive di Enki Bilal, i modellini di Syd Mead, lo score di Vangelis e gli effetti di Douglas Trumbull potessero diventare una bomba così influente da deflagrare in tutta la cultura di massa dell’epoca e oltre.

Il film di Ridley Scott ha aperto le porte del cinema a Dick, ha iniziato un’opera di saccheggio che va avanti tutt’ora e che anzi la serie britannica da poco iniziata Philip K. Dick’s Electric Dreams ha portato a livelli inediti (10 episodi ognuno dedicato ad una storia dell’autore).
Certo non tutti i film tratti da Dick possono dirsi indimenticabili. Anzi. Ma ognuno ha contribuito a fondare una maniera differente di intendere la fantascienza al cinema, non più solo un genere di avventure o di grandi riflessioni ma uno di grande allucinazione e confusione, in cui il futuro, prossimo o remoto che sia, è un posto in cui i protagonisti delle storie si rendono conto di non essere sicuri della propria identità, di stare forse vivendo un sogno, una realtà fittizia o addirittura di non essere sempre stati chi sono in quel momento.
La tecnologia non è qualcosa che lavora per la certezza dell’esperienza ma un elemento che confonde gli uomini e contribuisce a metterli in una posizione in cui ciò che pensano di esperire e di vedere forse non è quello che sembra.

Atto di Forza (1990)

Ben 8 anni dopo Blade Runner Paul Verhoeven, per il suo secondo film americano dopo Robocop, sceglie di nuovo una storia che ha a che vedere con i ricordi: “Ricordiamo per voi”. Nasce così Atto di Forza in cui Arnold Schwarzenegger decide di farsi impiantare falsi ricordi in cui è un agente segreto ma scopre che qualcuno già gliene ha impiantati, e che la vita che sta vivendo è frutto di quei ricordi falsi. In realtà non è l’operaio manovale che crede di essere ma è effettivamente un agente segreto. Dopo un’avventura incredibile su Marte finirà a chiedersi se davvero questa sia la vita che è riuscito a recuperare o se non stia vivendo quei ricordi che ha chiesto alla compagnia di impiantargli.
Dopo Blade Runner, probabilmente il miglior adattamento di sempre di Dick. Non solo Verhoeven è fedele al tono assurdo e confuso dell’autore, ma non ne è così succube da farsene schiacciare. In Atto di Forza c’è moltissimo spazio per le ossessioni di Verhoeven, sul corpo e la carne, sulle avventure iperviolente, almeno tanto quanto per lo stato confusionale delle storie di Dick.

Confessions d’un Barjo (1992)

Lo scemo del villaggio è il centro dell’unico adattamento da un racconto non fantascientifico di Dick, “Confessioni di un artista di merda”. Ci ha pensato una produzione francese in cui alla regia c’era Jerome Boivin e alla sceneggiatura Jacques Audiard (prima che diventasse un regista anch’egli) con un film mai uscito in Italia.
È la storia di un uomo fuori dal mondo che è costretto ad andare a vivere con la sua sorella gemella e il di lei marito fino a farlo impazzire. Con ben poca sorpresa per una storia che è ambientata negli anni ‘50 americani (la punta massima del conformismo), non sarà lo scemo del villaggio del titolo a diventare definitivamente pazzo ma per l’appunto il marito, la persona conformata.

Screamers - Urla Dallo Spazio (1995)

Produzione anglo canadese in cui spicca Peter Weller ma per il resto molto dimenticabile, almeno tanto quanto il sottotitolo italiano da exploitation che gli è stato affibbiato. Cinema di fantascienza da pochissimo, che a fatica riesce a fare un lavoro accettabile su “Modello Due”, la storia di una base spaziale in cui infuria una guerra alimentata dagli screamer, creature inizialmente concepite come lame e poi evolute fino ad essere come gli uomini (ma sempre finalizzati ad ucciderli), di fatto indistinguibili da loro. Tutto il film gioca sul fatto che la pattuglia protagonista potrebbe avere dentro di sé degli screamer senza saperlo. Fino alla fine. Ma qui non c’è per niente il senso di paranoia, semmai è un thriller a costo molto basso e resa anche inferiore.

Impostor (2001)

Gary Sinise, Madeleine Stowe e Vincent D’Onofrio sono stati coinvolti in questa piccola produzione sgangherata che però si fregia di adattare con grandissima fedeltà “Impostore”.
Sinise è un inventore la cui nuova arma potrebbe segnare una svolta per l’umanità nella sua lotta contro gli alieni, per questo dovrebbe incontrare il cancelliere terrestre. Viene invece arrestato poiché la polizia governativa è entrata in possesso di una lista aliena in cui sono elencate le persone che questi hanno sostituito con dei replicanti contenenti ordigni esplosivi, tra cui c’è anche lui. Incredulo fugge alla ricerca della verità e scopre che è tutto vero, che il suo corpo vero giace in un’astronave nel bosco e la vista di questo innesca la bomba. Più thriller che vera distopia, più film d’azione che di riflessione.

Minority Report (2002)

Solo un anno dopo Impostor arrivano Spielberg e Tom Cruise. “Rapporto di minoranza” è adattato in un film che, come capita nei casi migliori, arricchisce l’universo di Dick anche se sceglie di sorvolare diversi aspetti del racconto per sostituirli con quelli più cari al regista.
Di certo Minority Report fa un ottimo lavoro nel rendere i precog e nel mascherare una delle variazioni più interessanti del tema dell’identità, non tanto “chi sono io davvero?” ma “devo credere che davvero farò quel che dicono nel futuro?”. Rinunciando alla confusione e alla difficoltà di conoscere la verità della realtà, Spielberg preferisce costruire un racconto classico, in cui l’assurdo mistero che è la realtà nei racconti di Dick emerge con moderazione. Tuttavia il successo è stato tale da giustificare anche una serie tv.

Paycheck (2003)

Solo un anno dopo Spielberg tocca a John Woo misurarsi con l’idea della previsione del futuro in Dick, adattando “Previdenza”. Il film, come si può immaginare, stravolge ogni tono e crea un’epica del ralenti nel futuro che non ha nulla del passo di Dick e purtroppo nemmeno nulla del cinema migliore di Woo.
Peccato, perché nella storia di un uomo che questa volta guarda in prima persona nel proprio futuro e decide di salvare se stesso mandandosi un messaggio nella forma di una busta con degli oggetti, c’era ampio margine per creare quel mood spaesato e pieno di dubbi, incertezze e quindi paure su cosa stia davvero accadendo.

A Scanner Darkly - Un Oscuro Scrutare (2006)

Una storia tra le più emblematiche del mondo di Dick, “Un oscuro scrutare”, diventa un film messo in scena in rotoscoping, cioè disegnando sopra le immagini girate, in modo da creare un’animazione in cui le parti reali sono iperrealistiche (visto che si è ricalcato i fotogrammi uno alla volta) mentre quelle fasulle, cioè quelle solo disegnate, sono della stessa sostanza e tipologia di quelle vere: entrambi disegni. In questo modo A Scanner Darkly - Un Oscuro Scrutare riesce a raccontare benissimo la storia comico-tragica dell’agente Fred che, infiltratosi in un gruppo di drogati, deve indossare una speciale tuta che lo fa percepire all’esterno con fattezze differenti quando è nella centrale di polizia, in modo che nessuno sappia chi è che sta lavorando sotto copertura. Non è però il solo ad apparire diverso e questo crea una girandola di identità svelate, nascoste e dubbie che, alimentata dalle visioni indotte dalla droga e dalla dissociazione mentale in cui finisce Fred (il quale ad un certo punto non è più in grado di dire chi sia), creano un mondo in cui come sempre la tecnologia spinge di più in là le possibilità della nostra realtà rivelando come la stabilità di ogni uomo dipende dalla sicurezza che egli ha che ciò che vede è ciò che sembra.

Next (2007)

Forse Lee Tamahori non ama la fantascienza, forse non gradisce il tocco di Dick o forse più semplicemente aveva visto nella storia di “Non saremo noi” qualcosa di diverso da ciò che ci aveva letto il suo autore, di fatto Next è un film dal quale (non sapendolo) sarebbe difficile capire che dietro c’è Philip Dick.
Più simile ad un film appartenente a quella categoria precisa che è “cinema in cui Nicolas Cage indossa un parrucchino”, girato con un abuso ingiusto di green screen mal amalgamato con il resto degli attori in primo piano, Next si bea moltissimo dei suoi effetti di “moltiplicazione” di Cage per far capire che ha valutato tutti i possibili futuri che è capace di vedere e ha scelto il migliore, ma non si appassiona mai al fatto che il protagonista creda di poter sapere tutto mentre lui stesso non è mai sicuro se ciò che vive è la realtà o il futuro che sta “vedendo”.

Radio Free Albemuth (2010)

Mai uscito in Italia questo film di John Alan Simon in cui figura anche Alanis Morissette, adatta "Radio libera Albemuth", fa una gran confusione di molti spunti diversi. La storia include anche Philip K. Dick, in una forma stranamente biografica, ma è ambientata in un 1985 distopico (la storia era stata scritta nel 1976), in cui il governo americano è una dittatura e il figlio di Dick riceve messaggi dallo spazio, come anche Alanis Morissette.
Non ci siamo persi molto.

I Guardiani del Destino (2011)

Quella di George Nolfi è uno dei casi più strani di adattamento da Dick. I Guardiani Del Destino prende molto vagamente spunto da “Squadra riparazioni”, lo ingrandisce, ci attacca un’altra storia, altri personaggi e gli cambia anche contesto per non dire il look da retrofuturo. Tutto diverso ma con la medesima idea dietro. Eppure è un film perfettamente riuscito. Addirittura non replica nemmeno lo stile di scrittura ma cerca una strana forma di fantascienza rosa in cui ad essere inseguito non è un ultimo scampolo di umanità (come capita sempre nella Sci-Fi) o la verità che si cela dietro apparenze di cui non ci si può fidare (come capita in Dick) ma l’amore. La sostituzione però funziona e l’idea eterna che nella nostra realtà si nasconda qualcosa di più grande che non possiamo vedere ma che ordina tutto è impeccabile.

The Man In The High Castle (2015)

“La svastica sul sole” ci ha messo molto più di quello che era lecito supporre per essere adattato ma alla fine è diventato una serie tv, forse la maniera migliore per indagare l’ipotesi fantapolitica degli anni ‘60 in cui l’America non ha vinto la seconda guerra mondiale. Il Giappone e la Germania si sono spartiti gli Stati Uniti ma c’è qualcuno che ha capito che non è detto che le cose debbano per forza essere andate così. Pura storia dell’ucronia, l’ipotesi più intrigante resa in una trama che non manca di insinuare il dubbio che quella realtà mostruosa forse non è reale come credono i protagonisti.

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