Senza tregua è un pezzo di storia – del cinema e dei piccioni
Senza tregua è il primo film americano di John Woo e il primo progetto di Hollywood affidato a un regista asiatico, e parla di piccioni
Senza tregua non è il miglior film di John Woo e probabilmente non è neanche il miglior film di Jean-Claude Van Damme. Questo non significa che non sia un grande film, e soprattutto che non sia importante: al contrario, è uno snodo decisivo nella carriera del regista di Hong Kong, e un momento storico per il cinema americano. È anche uno dei motivi per cui Matrix esiste e ha fatto il successo che ha fatto, il primo capitolo di un franchise che ci ha messo più di vent’anni a sfornarne un secondo e ancora ci si chiede se ne valesse la pena, e un film nel quale si vedono più piccioni che esseri umani, un dettaglio zoologico che può sembrare secondario ma che ha un senso sicuramente di più di quanta ne abbia la capigliatura di Jean-Claude Van Damme (da qui in poi JCVD). Insomma: Senza tregua è un film bello e importante e vale sempre una visione.
Senza tregua: perché è storia
Innanzitutto: tutto quello che leggerete e che viene attribuito a John Woo viene da questa intervista che il regista rilasciò per il 25esimo anniversario del film. L’intervista è una miniera d’oro di aneddoti, e a buon diritto: Senza tregua fu, al tempo, una prima assoluta sia per Woo sia per Hollywood, con tutti i problemi di comunicazione e sintonia causati dall’incontro tra due mondi molto distanti. Woo al tempo era non solo uno dei migliori registi di casa propria, ma stava cominciando ad attirare un po’ di attenzione anche in America, soprattutto grazie a The Killer e Bullet in the Head; mentre stava lavorando a Hard Boiled, che avrebbe poi fatto il botto e messo il regista nei radar del pubblico americano, Woo cominciò a ricevere offerte da Hollywood, “un sogno” secondo lui.
Fin qui sembra una storia edificante di incontro tra culture e collaborazione tra popoli, ma ovviamente Universal non si fidava davvero di quest’idea di dare il film in mano a un regista che parlava male la lingua. Arrivarono addirittura a piazzargli un tutor sul set, che l’avrebbe dovuto seguire, aiutare, e in caso di necessità prendere il suo posto dietro la macchina da presa: era Sam Raimi, fanboy di John Woo che fece il possibile per assecondare ogni suo istinto creativo e una volta arrivò a litigare con la produzione, che a suo modo di vedere non lasciava abbastanza libertà all’autore. Alla fine John Woo riuscì ad averla vinta su quasi tutto, almeno per la durata delle riprese: la prima versione fornita all’MPAA per ottenere un rating tornò indietro con il temutissimo NC-17, e Woo dovette tagliare e rimontare il film sei volte prima di riuscire ad abbassarlo a R, ed evitarsi così un disastro commerciale. Senza tregua incassò 75 milioni di dollari, fu un relativo successo e una palestra importantissima per Woo, che quattro anni dopo girerà il suo miglior film del periodo americano, Face/Off.
Senza tregua: perché è bello
Ma che cos’è dunque Senza tregua, e perché si intitola così? Non abbiamo risposta alla seconda domanda, ma è un titolo efficace e d’impatto e vagamente adatto al film, per cui lo prendiamo per buono. A proposito di titoli: il racconto da cui nasce tutto quanto si intitolava in originale The Most Dangerous Game, un gioco di parole sul doppio significato di “game”, cioè “gioco” ma anche “preda”. Per quanto la versione di Pfarrer stravolga completamente l’originale, l’idea di fondo rimane: c’è un gruppo di persone pericolose che però fanno male i loro conti e si trasformano da cacciatori a prede. Queste persone sono capitanate da un duo improbabile ma efficacissimo, composto da Emil Fouchon/Lance Henriksen e Pik Van Cleef/Arnold Vosloo (che su questo set incontra Sam Raimi, che due anni dopo gli regalerà il ruolo che era stato di Liam Neeson nel sequel di Darkman), due criminali senza troppo background ma che guadagnano soldi organizzando la caccia grossa al veterano di guerra.
Davvero: la loro organizzazione individua senzatetto con un’esperienza nell’esercito, e offre loro una notevole somma di denaro se riescono ad andare dal punto A al punto B; il problema è che a inseguirli c’è un tizio spaventosamente ricco e privo di morale o etica, che ha pagato un’ancor più notevole somma di denaro per il privilegio di dare la caccia a un essere umano. È importante che le vittime, o meglio le prede, siano prive di qualsiasi legame affettivo, che non abbiano una famiglia che le possa andare a cercare: ecco perché la base dell’organizzazione è un rifugio per senzatetto, che offre cibo e riparo a quasi tutti e la possibilità di diventare ricchi a una limitata selezione. È un’impresa criminale assolutamente e indiscutibilmente malvagia, senza alcuna possibilità di redenzione, che agisce con efficienza e non passa mai troppo tempo nello stesso luogo: l’unica speranza di fermarli è che facciano un errore e pestino i piedi alla persona sbagliata.
Che in Senza tregua ha la faccia, l’accento, i bicipiti, i calci volanti ma soprattutto il mullet riccioloso di JCVD, marinaio in cerca di soldi che decide di aiutare la povera straniera disorientata Natasha (Yancy Butler), che ancora non lo sa ma sta cercando inutilmente suo padre, senzatetto e veterano di guerra, la cui brutta fine abbiamo visto nella sequenza di apertura del film. Le ricerche dei due non portano alla luce solo il cadavere del povero signor Binder, ma una serie di tracce che puntano in maniera piuttosto evidente nella direzione di Emil e Pik; i quali se ne accorgono e decidono di provare a fare fuori JCVD (che nel film si chiama Chance Boudreaux, per la cronaca), e mal gliene incoglie.
Cosa c’entrano i piccioni?
Senza tregua doveva essere il primo film americano di John Woo, e così è. Nel senso che il regista hongkongese prende una storia di criminali e sparatorie, sì, ma di chiara impronta americana, e la gira come ha sempre girato i suoi film, concedendosi solo raramente alle esigenze della produzione – o del cast: pare che Van Damme abbia insistito tantissimo perché, durante una particolare sequenza, una delle quattro macchine da presa fosse puntata esclusivamente sui suoi bicipiti, un’inquadratura che Woo non inserì nel montaggio finale ma che finì in quello alternativo assemblato da JCVD e il suo team durante il periodo nel quale si tentava di convincere l’MPAA ad assegnare la R al film. Ma questi sono normali inciampi ai quali si va incontro quando si passa da un contesto dove il regista è sacro e tutto sul set dipende da lui allo scintillante mondo delle superstar hollywoodiane; anzi, Woo si adattò sorprendentemente bene, e Senza tregua è tanto un suo film quanto quella celebrazione di JCVD che era nelle intenzioni iniziali della produzione.
Addirittura Woo racconta di avere aumentato il numero di sequenze action dopo aver visto di cosa fosse capace il suo protagonista, e soprattutto cosa fosse disposto a fare. Per cui Senza tregua è un film indimenticabile soprattutto per queste scene, che sono tante, sempre più violente e girate da Woo con tutta la libertà e l’amore per la confusione coreografata che caratterizzavano i suoi film di Hong Kong. C’è tutto quello che ci si aspetta da John Woo: sparatorie con armi da fuoco con caricatori infiniti e girate come fossero un balletto classico, piroette e calci volanti, zoomate e freeze frame, dissolvenze e tendine, una buona dose di romanticismo tutto racchiuso negli occhi cerbiatteschi di Yancy Butler, violenza estrema ed estremamente sgradevole (in un modo al quale le star action americane all’epoca non erano abituate), tantissima slow motion e altrettante colombe che volano in slow motion – solo che in Senza tregua al loro posto ci sono i piccioni, perché il film è ambientato a New Orleans per giustificare l’accento francese di JCVD e la leggenda vuole che Woo abbia cambiato anche i suo volatili di riferimento per adattarsi all’atmosfera.
Che sia vero o meno, non c’è dubbio che il regista si diverta un sacco non solo quando può essere se stesso, ma anche quando si trova a giocare con giocattoli molto americani e quindi per lui nuovi: l’esempio più lampante è il personaggio di Zio Douvee, interpretato da Wilford Brimley, uno dei migliori e più longevi (ci ha lasciato ahinoi l’anno scorso) caratteristi di Hollywood, che qui interpreta “lo zio survivalista della Louisiana”, portando nel film un’improvvisa, inaspettata e gradevolissima ventata di umorismo e assurdità. E il divertirsi è una delle chiavi del successo di Senza tregua; che non è un film divertente, anzi, ma è girato da una persona che si sta chiaramente divertendo un mondo a farlo, e che è felicissima di farlo in un contesto nuovo e stimolante. John Woo può dire quello che vuole e definirlo «non un gran film»; noi, con tutto il rispetto, dissentiamo vigorosamente.