Secondo i produttori italiani è arrivato il momento di cambiare la promozione dei film per la sala

Il report di quello che alcuni produttori italiani hanno detto agli incontri FICE sulle necessità di cambiamento nella promozione dei film

Critico e giornalista cinematografico


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Due rappresentanti del mondo dei produttori hanno discusso agli incontri FICE di come la promozione dei film italiani sia carente nella capacità di informare e intercettare un pubblico

In occasione degli Incontri di cinema d’essai di Mantova organizzati dalla Federazione Italiana Cinema D'Essai (FICE), abbiamo assistito al panel "Il cinema italiano a una svolta", condotto da Michele Crocchiola, nel quale hanno parlato sia Benedetto Habib (manager di Indiana productions e presidente dell’Unione produttori presso l’Anica) che Marina Marzotto (fondatrice e senior partner di Propaganda oltre che rappresentante dei produttori indipendenti). In questo articolo, come già fatto con Alberto Barbera, condensiamo per esigenze di chiarezza la conversazione avuta dai due sul palco con un’intervista condotta a seguire con la sola Marzotto.

Prima di iniziare precisiamo che l’incontro con questi due produttori era per un pubblico di esercenti di sale d’essai. Produttori ed esercenti hanno poche occasioni di parlarsi o confrontarsi, i secondi più spesso hanno a che fare invece con i distributori, che non erano rappresentati nel panel ma erano presenti in sala. Alla fine del panel, visto che molto si era parlato di distribuzione senza però far parlare distributori, ha chiesto di prendere la parola Andrea Romeo di I Wonder, che citando casi specifici ci ha tenuto a sottolineare quanto di buono fatto non solo da distributori di film d’essai o d’autore ma anche da grandi case come Universal e Warner in Italia che, per usare le parole di Romeo “hanno inventato un’estate cinematografica italiana distribuendo Oppenheimer e Barbie a un mese di distanza con gli ottimi risultati che abbiamo visto”.

Il panel oltre a discutere la sovraproduzione di film che al momento c’è in Italia, si è molto concentrato (per ovvie ragioni) sull’arrivo in sala dei film e quindi sulla maniera in cui non vengono valorizzati, specialmente quelli d’essai. Su questo i produttori hanno svelato diverse difficoltà che incontrano e che del resto sono facili da riscontrare anche dagli spettatori più accorti.

MARINA MARZOTTO: “Da noi c’è questa idea che se si comincia presto la promozione il film diventa vecchio. Che è un’idea bislacca. Soprattutto quando cerchiamo di sedimentare nuovi attori dobbiamo partire da lontano, dobbiamo trovare il modo di permeare, magari sfruttando i social media e internet o un certo tipo di comunità. Ma non sottodata!”.

Ci sono state nella sua esperienza distribuzioni che hanno capito questo discorso?

MM: Noi sono pochi anni che produciamo e la nostra esperienza è per forza limitata. Però nei due casi in cui abbiamo lavorato con Fandango ci siamo trovati molto bene. Uno era Piove, un film horror vietato ai minori di 18 anni, quasi una prima regia (Strippoli aveva già co-diretto un altro horror per Netflix); l’altro era un documentario per la sala di Erik Gandini intitolato After Work, quindi un autore alto già molto affermato che però che fa delle cose abbastanza complesse da mettere in sala per mille motivi. Noi come detto produciamo molti materiali e in Fandango abbiamo trovato una realtà che ha accettato di partire con la promozione tre o quattro mesi prima dell’uscita, e fare una strategia di avvicinamento dalla sala che è stata molto efficace. I risultati di After Work, visto il tipo di progetto piccolo e di nicchia, è stato ottimo”.

Uno dei problemi che portano a questo, secondo Habib, è la poca attenzione che si mette in fase di produzione dei film sul pubblico potenziale e per spiegarlo ha fatto un parallelo con la produzione per la tv.

BH: “Sulle serie tv hai una interlocuzione continua con il broadcaster che conosce benissimo il pubblico di riferimento, mentre quando facciamo film per la sala questo rapporto è più distante, c’è un ragionamento troppo autoriferito e manca un confronto chiaro. Soprattutto nel momento in cui andiamo a portare nuove proposte di contenuto e linguaggio per recuperare quel pezzo di cinema medio che faceva bene (la commedia) che ora sicuramente il pubblico fa più fatica ad accettare”.

Habib ci ha però tenuto a precisare che per quanto il modello di produzione televisiva abbia un rapporto ottimo con il pubblico, non può essere il futuro della produzione per lui. Per un produttore la distribuzione in sala rimane cruciale, al di là dei discorsi sulla fruizione dell’opera, ma anche proprio in termini di convenienza aziendale.

BH: “Essere indipendente per un produttore è fondamentale e la nostra indipendenza la conquistiamo se riusciamo a valorizzare economicamente quel che facciamo. Per questo per noi portare i film in sala e non direttamente in streaming è una colonna, altrimenti la dipendenza dal sistema televisivo (che è l’altro pezzo che sostiene il cinema) diventerebbe soffocante. Quel ricavo dalla sala per noi è cruciale per essere indipendenti”.

Il problema della comunicazione dei film non è solo dei distributori secondo Marina Marzotto ma in tanti casi nasce dai produttori stessi.

MM: “Una cosa che da tanti anni solleviamo anche con il ministero è il fatto che a un certo punto è stata data meno attenzione alle strategie di distribuzione immaginate in fase di ideazione di un prodotto. Una produzione dovrebbe avere nel suo budget i fondi per teaser e trailer o anche solo foto fatte bene, insomma i materiali e tutto quello che poi deve servire anche agli esercenti per arrivare al pubblico o possono servire al distributore per promuovere…. In gran parte questo materiale i produttori italiani non lo hanno. Quando parliamo con i venditori internazionali ci dicono che i produttori italiani non sono i proprietari dei trailer dei loro film, perché non li fanno loro ma i distributori. I produttori italiani proprio non pensano: “Metto sul mercato questo film e lo comunico”. Se lo facessero non solo sarebbe più agevole ma avresti magari anche degli input dall’autore del film e meno rischio di “fregature” cioè di distributori che comunicano il tuo film per quello che non è sperando di attirare così più pubblico”.

Ma voi come Propaganda lo fate?

MM: “Noi siamo un'azienda molto peculiare, all'interno abbiamo una direzione marketing. Lo facciamo per necessità, perché siamo gli ultimi arrivati sul mercato e ovviamente non potremo di certo produrre il nuovo film di Matteo Garrone, che già ha il suo produttore. Dobbiamo trovare il nostro Garrone, scoprirlo, quindi non solo sviluppare i film ma anche lanciarli. Ad esempio abbiamo fatto un film che nasceva per esempio da un soggetto e poi sceneggiatura che aveva vinto il premio Solinas. Io mi sono caricata un ragazzino di 25 anni che ha vinto il Solinas quando stava ancora al centro sperimentale e l’ho portato a fare dei Festival all'estero. L'ho presentato come sceneggiatore e quando poi ho trovato un regista, altrettanto giovane che avrebbe fatto poi la regia di quel film, c'è stata una preparazione di quei due talenti, anche a livello di presentazione proprio”.

E tutto questo avviene a fronte di uno sforzo che i produttori hanno fatto, secondo Habib (con Indiana produttore di L'ultima notte di Amore, Lubo ma anche di Romantiche di Pilar Fogliati), di cambiare.

BH: “Da dopo la pandemia abbiamo cercato tutti di alzare l’asticella rispetto alla tipologia di film che produciamo, abbiamo cercato di uscire dalla comfort zone delle commedie per andare su altri generi. Sono crisi cicliche che il cinema italiano ha attraversato e credo che in questo momento vada capito il pubblico”.

Per supplire a una comunicazione dei film decisamente insufficiente, tardiva e manchevole (come sottolineato anche da Alberto Barbera nel medesimo panel) la Federazione Italiana Cinema d’Essai (FICE) anche tramite ANEC LAB ha creato corsi per gli esercenti, per diventare consapevoli e autonomi sulla comunicazione dei film.

MM: “Perché è una questione di spesa, noi come AGI facciamo dei corsi su come vendere film all’utente almeno dal 2017. Sono tenuti da agenzie come Jellyfish o Vertigo. Ma lo stesso poi spesso nei budget non è prevista la voce promozione. Questo porta a storture come quella che vuole che un’opera prima debba per forza costare poco, quando in realtà è la sceneggiatura che decide il costo non il fatto che sia un debutto. Cioè o proibiamo agli esordienti di arrivare con certe sceneggiature, perché troppo costose, o se arrivano e cominciamo a finanziare un film che nella scrittura dice di necessitare certe risorse dobbiamo rispettare il fatto che servono”.

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