“Se non ti piace, non giocarlo!”: intellettuali corsari e videogiochi
Come ammazzare una discussione che invece sarebbe stimolante avere, anche per quanto riguarda i videogiochi
Nello scontro dialettico, bisogna tenere sempre conto del fatto che il contesto culturale in cui ci si ritrova detta l'agenda degli obiettivi di chi partecipa al dibattito. In quest'epoca, e soprattutto sui social, svariate ricerche (fonte: Liberi di Crederci – Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini) hanno dimostrato che, nel mondo occidentale, l'approccio alla discussione (così come alla ricerca dell'informazione) è generalmente spinto principalmente dalla voglia narcisistica di vincere lo scontro, e non dal far maturare una sintesi delle prospettive discusse. Queste dinamiche rendono particolarmente efficace l'attacco personale, che tende a sminuire il peso delle opinioni e dei concetti espressi dal nostro interlocutore non in virtù della loro pochezza, ma per via del valore del singolo che li rappresenta.
L'individuare il singolo membro della società come un responsabile alla pari delle sovrastrutture organizzative e di potere è quindi un fenomeno culturale tipico della nostra epoca, in cui l'individualismo sfrenato tende a trasformare o addirittura creare dal nulla aspetti positivi (“l'uomo che si è fatto da solo”) e negativi (il “buonista incoerente”) in funzione di una logica che vede ognuno di noi come parti scomposte della società, che al contrario è formata da un insieme di gruppi, come dimostrato da ogni scuola di pensiero sociologica (sia la tradizione francese e weberiana, sia quella marxista). La cultura del “rosik?” e del benaltrismo si è oramai diffusa in ogni anfratto delle realtà virtuali e fisiche, intasando le discussioni potenzialmente prolifiche e spontanee con difese o accuse a oltranza sui valori che descrivono il singolo, dimenticandosi (volutamente) del problema più rilevante e pressante, quello generale.
"oggi siamo al punto in cui una discussione relativa al videogioco, al cinema o a qualsiasi altro tema, dalla politica all'economia, si trasforma in un'analisi al microscopio dei risultati professionali o morali ottenuti dal singolo, indipendentemente dai contenuti messi in discussione"Sebbene questa pratica sia assolutamente uno standard dello scontro dialettico (ne abbiamo dei riscontri persino ne La Congiura di Catilina di Cicerone), i mass media del '900 ne hanno esteso all'inverosimile il potere d'arresto dell'approfondimento tematico, focalizzando l'attenzione del pubblico (che sia un lettore, un osservatore, un ascoltatore o un moderno interattore) sul valore del singolo, e rendendo la responsabilità individuale il faro a cui appoggiarsi per difendere le proprie posizioni e i vantaggi sociali annessi. Col tempo, si è legittimata ogni posizione politica o culturale proprio grazie a questi esercizi retorici, e oggi siamo al punto in cui una discussione relativa al videogioco, al cinema o a qualsiasi altro tema, dalla politica all'economia, si trasforma in un'analisi al microscopio dei risultati professionali o morali ottenuti dal singolo, indipendentemente dai contenuti messi in discussione. La diffusione capillare di radio, televisione e stampa e della loro trasformazione in imprese di capitale rese già a inizio '900 letteralmente impossibile affrontare il dibattito pubblico con altri mezzi, perseguendo strade alternative ed “eticamente pure” dal contesto descritto prima. Già dalla metà del secolo scorso, il cosiddetto “secolo breve”, artisti, intellettuali e pensatori di tutto il mondo occidentale iniziavano a declinare prospettive di ribellione a questa forma di pensiero radicalizzato e uniformante, prendendo al contempo coscienza del fatto che, se si voleva davvero provare a minare alla base queste narrazioni omologate, si doveva ricorrere ai loro stessi mezzi. In Italia, ad esempio, Pier Paolo Pasolini descrisse la sua attività come quella di un intellettuale “corsaro”, che proprio come i pirati cercava di affondare le navi del pensiero consumistico con i loro stessi mezzi, ben cosciente di non avere molte speranze di cambiamento dell'opinione pubblica, ma comunque restio alla resa. Questa potrebbe essere una prospettiva d'approccio anche per chi, nutrendo una vera passione per il mezzo videoludico e le altre forme di comunicazione, voglia contribuire a riscriverne le narrazioni dominanti e il pensiero uniformato: sfruttare i loro mezzi, conoscerli, e studiarli a fondo.
Partendo dunque dalla necessità di doversi interfacciare con queste realtà mediatiche, cosa si può fare per rispondere a queste critiche? Come visto prima, difendersi significa implicitamente accettare di scendere sul piano personale e invididuale, dimenticando il tema centrale. Ciò di cui bisogna tenere conto, e che si deve cercare di mettere in pratica, sono due regole fondamentali, che riguardano non solo il tema del benaltrismo social, ma che si legano a ogni questione più generale del dialogo sul web: in primis, rispondere sempre sul tema, e mai sulle accuse individuali, perché mentre dal vivo gli interlocutori siete solo tu e chi ti ha criticato, su internet il dibattito è proficuo quando anche solo una persona legge, comprendendone i contenuti, i tuoi messaggi, anche quando in risposta a soggetti oramai schiavi di narrazioni di potere da cui è difficile riuscire a distaccarli; in secondo luogo, cercare di impostare il dibattito su un processo maiuetico: nella pratica, fare una serie di domande, e non affermazioni, che portino l'interlocutore o gli interlocutori a rispondere sul tema indicato. Questo perché, alla fine del percorso di domanda e risposta, avranno la percezione di aver ottenuto una verità che emerge dalle loro convinzioni e da un loro processo razionale, e non di vedersela imposta dall'alto, in modo tale da soddisfare quel narcisismo della società dei consumi che li renderebbe soddisfatti e proattivi al dibattito.