Se non guardate Aggretsuko per via di come è disegnato commettete un grave errore!

Aggretsuko è tutto oltre la sua superficie. Una serie sui sentimenti che i bambini non possono cogliere, perfetto racconto dei rapporti umani

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È molto facile snobbare Aggretsuko, la serie basata sul simpatico personaggio della Sanrio (quelli di Hello Kitty, per intenderci). L’algoritmo di Netflix non la propone con grande frequenza a chi l’ha “addestrato” ai film di qualità, soprattutto quelli di animazione. I suoi disegni non sono poi, per usare un eufemismo, di quelli che si fanno vedere in compagnia per posizionarsi come l’intellettuale di turno. Basta prendere una scena a caso e mostrarla con ammirazione per venire presi per pazzi; eterni bambini in un mondo di adulti, che non sanno distinguere i “cartoni animati” dall’arte dell’animazione. Rideranno di voi quando direte di esservi commossi per le vicende di un panda rosso femmina impiegata in uno studio contabile per una grande azienda. Faranno qualche battuta magari sul colore della storica macchina Fiat, fingeranno di vederlo, ma non premeranno mai play.

Non prendetevela troppo male. Loro si sbagliano, e non si convinceranno mai del contrario, voi invece vi sarete regalati uno dei migliori prodotti di animazione presenti su Netflix. Da conservare come una piccola gioia privata e un po' colpevole. 

Il concetto base è esilarante:   ha una vita piuttosto noiosa. La routine è: sveglia, casa, lavoro, e ancora casa. L’unica gioia è cantare canzoni metal pesantissime al karaoke. Lì, a porte chiuse, diventa una bestia violenta e spaventosa, giusto il tempo della canzone. Poi torna l’adorabile impiegata amica di tutti e assertiva con il suo datore di lavoro.

Aggretsuko

Per qualche puntata funziona alla grande, è molto divertente assistere al continuo susseguirsi di eventi stressanti fino al catartico burnout. Quando la furia distruttrice si riversa contro i capi, i colleghi antipatici, o i fastidiosi compagni di viaggio in metro, la serie è soddisfacente come i video chillout dove le cose si mettono al loro posto con una precisione impossibile. Noi siamo il panda rosso. I suoi comprimari sono i nostri colleghi della vita vera. La sfuriata è quello che vorremmo fare, ma che non possiamo.

Solo che Aggretsuko perde dopo pochi episodi questa sua natura da sketch con la stessa battuta declinata in modi diversi. Diventa qualcosa d’altro, e quello in cui si tramuta (proprio come nella versione metal) è potentissimo e sorprendente. Di stagione in stagione infatti diminuiscono le sfuriate. Retsuko e compagnia lottano contro il logorio della vita moderna con un fare che, se non fosse per il disegno e i dialoghi minimali, si potrebbe dire neorealista. 

Esageriamo? Ma certo! Però dentro Aggretsuko c’è una profondità di sentimenti che non ci si aspetta di trovare con una facciata simile. I personaggi sono perfetti per riempire gli zainetti della scuola primaria, ma i loro dilemmi sono lancinanti per gli adulti. Un po’ come Steven Universe, anche qui la semplicità estetica è una scelta per potere affrontare la complessità.

Con la quarta stagione (di cui riveleremo qualche importante spoiler, quindi non proseguite con la lettura se non volete anticipazioni), di gran lunga la migliore fino ad ora, Aggretsuko porta alla luce tutti i drammi sopiti della normalità. Quelli che i registi “d’essai” amano scavare nei loro intrecci. L’eterno tira e molla amoroso tra Retsuko e la iena Haida viene qui - finalmente - a una risoluzione. I due si confessano i rispettivi sentimenti con il semplice gesto di attraversare una soglia. Non c’è nulla che non dovrebbe andare bene tra i due colleghi, che da sempre si piacciono e non si sono mai dati il tempo di dirselo. Invece la debolezza di Haida fa crollare tutto: l’autostima sotto i piedi, il pensiero di non essere all’altezza, lo portano a rifiutare la sua felicità e quella dell’amata. 

Sotto la corazza del panda rosso c’è a sua volta una fragilità spaventosa. Lei ha subito una molestia da cui non riesce a riprendersi. Tutto, ovviamente, messo in scena in modo che solo (!) i bambini possano vederlo senza turbamenti. Sul posto di lavoro tutti sanno, ma c’è un grande silenzio, chiusi come sono nell’individualismo e nei doveri.

Quando crollano le certezze lavorative del capoufficio Ton, un maiale enorme con due figlie che ricordano la Mariangela Fantozzi, la vita gli scivola via. Duro, fannullone, antipatico, viene soppiantato dalla nuova guardia. Il futuro entra nell’azienda grazie ai leccapiedi speranzosi di una promozione (un Succession in poco meno di 30 minuti). Quando si insedia, il nuovo giovane capo trova dei conti in rosso che possono essere ribaltati solo con delle manovre finanziarie azzardate (illegali) e con licenziamenti di massa.

Apprendiamo dalla serie che in Giappone è molto oneroso licenziare. I capi cercano allora di indurre le dimissioni spontanee per non sobbarcarsi i costi della liquidazione. L’unica arma che hanno a disposizione è quella del mobbing, o della degradazione a livello di mansioni. Il capoufficio viene umiliato quando lo spediscono in uno sgabuzzino a non fare niente. Per paura di perdere la reputazione mente alla moglie. Un giorno mentre va al lavoro si ferma sul ciglio di un binario. Guarda il treno che arriva, sospira… e ci sale.

Un bambino vede un maiale con la valigia che si stizzisce per l’attesa. L’adulto comprende un lavoratore disperato che medita il suicidio. Però questo, chi si ferma alla copertina fatta di disegni dal tratto spesso e colori uniformi, non lo può vivere.

Aggretsuko

Perché arrivati alla quarta stagione di Aggretsuko possiamo dire che questa serie è fatta per chi l’animazione l’ama veramente. Cioè non la considera solo una tecnica, ma un mezzo per esaltare le idee più pure oltre la superficie stilizzata. È uno di quei rari prodotti che non spostano più in là i confini, semplicemente li ignorano. Superano ogni genere e target. Chi ci impedisce di esplorare la vita adulta sotto la superficie di un’infantile caricatura delle emozioni più estreme (amore e rabbia)?

Sembra evidente, attraversando tutta la sua durata, che il progetto ha vissuto una profonda mutazione. Difficile pensare che sin dall’inizio si volesse arrivare a una tale verve polemica. È come se il tratto marcato non fosse riuscito a trattenere l’esigenza di dire cose che i suoi autori vivono sulla pelle. Perché si vede tantissimo la mano che muove i fili, senza però che sia una presenza invasiva o predicatoria. Anzi, la retorica è al minimo assoluto per un’opera di questo genere. 

Solo ritrae quello che succede ogni giorno, ovunque nel mondo. Ne fa il centro con cui tutti si devono confrontare. Questi animaletti simpatici non cercano altro che la felicità, qualche sogno realizzato e nuove ambizioni di tanto in tanto. C’è però qualcosa che li rallenta. Frustra continuamente ogni emancipazione (anche femminista) fino all’esplosione dei sentimenti più urlati, fraintesi ed estremi: la caducità del mondo interiore. 

Aggretsuko è una grandissima serie che insegna a sfogarsi, a non avere paura di quello che si sente. E poi fa un passaggio ulteriore: nel suo mondo stilizzato sono sempre le emozioni a muovere gli ingranaggi. La paura aiuta ad avvicinarsi in cerca di protezione. La voglia di rivalsa fa diventare grand star. La pigrizia è in realtà un pensiero troppo veloce che si annoia con tutto il resto. Ognuno ha due lati, quello pubblico e quello in balia dei sentimenti privati. Nessuno li sa controllare, si possono però affidare a un’altra persona (o animale antropomorfo) che può accompagnare quel peso che ciascuno porta con sé.

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