Scuola di mostri è il film di Halloween perfetto
Scuola di mostri di Fred Dekker è il film ideale per la notte di Halloween, perché parla di noi e soprattutto parla di mostri. TUTTI i mostri
Scuola di mostri e scuola di cinema
Scuola di mostri nasce da un incontro avvenuto tra i corridoi della UCLA School of Theater, Film and Television, dove negli anni Ottanta due tizi di nome Fred Dekker e Shane Black si conobbero e si trovarono subito simpaticissimi. Dekker aveva una grande passione per il cinema di mostri, mentre l’immaginario di Black era più vicino a quello dei thriller e dei polizieschi; entrambi, però, condividevano l’amore per il non prendere le cose troppo sul serio, e la convinzione che anche un film di genere debba essere sorretto da dialoghi brillanti e personaggi ben scritti per funzionare bene.
Scuola di mostri a scuola da Spielberg
Dekker e Black scrissero Scuola di mostri come omaggio agli horror classici della Universal, quelli degli anni Trenta e Quaranta e Cinquanta con Dracula, o il mostro di Frankenstein, o la mummia, o l’uomo invisibile, o il mostro della laguna nera. E per omaggiarli si immaginarono un gruppo di bambini appassionati di mostri, cresciuti con libri e fumetti che parlano di vampiri e lupi mannari, fissati con Stephen King e dotati di casa sull’albero e BMX come da dettame spielberghiano. In altre parole, Scuola di mostri è un Goonies ancora più virato all’horror, con persino delle sfumature di E.T. nel rapporto che si sviluppa tra la creatura di Frankenstein e la piccola Phoebe.
La scelta di scrivere la storia di un gruppo di pre-adolescenti dà a Dekker e Black tutti gli ingredienti che servono per alimentare l’irrinunciabile lato comico del loro film: l’idea di un gruppo di bambini indifesi che si scontrano con le forze del male, oltre a essere un preludio al Buffy di Joss Whedon, è automaticamente buffa, e stempera ogni possibile tentazione di violenza o di eccesso, sacrificati sull’altare della caratterizzazione e del contrasto tra un mostro assassino e un branco di dodicenni armati di aglio e crocifissi.
E ora parliamo di mostri
Eppure, curiosamente, i mostri Universal non escono depotenziati dal confronto con un gruppetto di indifesi: Scuola di mostri non vuole fare paura, piuttosto prendere alcune figure iconiche della mostrologia occidentale e raccontarle con tutti gli eccessi e le semplificazioni che solo una visione infantile dell’idea di mostro può generare. Il Dracula di Duncan Regehr e il Frankenstein di Tom Noonan, i due più importanti del lotto ai fini del film, non sono il vampiro di Stoker né la creatura resuscitata di Shelley, ma quello che un tredicenne si immagina che siano vampiri e cadaveri: il primo, per esempio, va in giro con un macchinone spettrale con un teschio ghignante sul cofano, e vive in costante overacting come solo un oscuro signore del male può permettersi di fare.
L’omaggio ai mostri e soprattutto a come gli autori si immaginavano i mostri da bambini si estende anche a tutto il resto del film, da costumi e scenografie (Dracula ha un mantello nero con il risvolto del colletto rosso sangue e vive in un castello pieno di ragnatele e pipistrelli) a certe situazioni ormai archetipiche (Frankenstein che incontra la bambina) che vengono riscritte per adattarsi alla storia. Ci sono paludi immerse nella nebbia, bare scricchiolanti, sotterranei, passaggi segreti illuminati dalla fioca luce di una candela, tutto l’armamentario dei vecchi horror Universal, riveduto e corretto per un’avventura pre-adolescenziale (un’operazione analoga a quella che fece Mel Brooks con Frankenstein Junior).
I veri mostri sono gli amici che ci siamo fatti lungo la strada
Scuola di mostri ha un ulteriore livello di lettura che meriterebbe un approfondimento a parte e che qui ci limiteremo ad accennare: il racconto del rapporto tra i cinque membri della Monster Squad, che è la versione Dekker/Black del Loser’s Club di IT, è invecchiato molto peggio di tutto il resto del film. Ci sono dettagli che oggi fanno venire la pelle d’oca soprattutto per la naturalezza con cui vengono presentati: il fatto che Horace venga chiamato “Fat Kid” per tutto il film, non solo dai bulli che lo sfottono ma anche dai suoi stessi amici, o il momento in cui Rudy, il Fonzie della situazione, minaccia la sorella di uno degli amici di diffondere una sua foto di nudo a scuola a meno che lei non riveli se è vergine o meno.
Oppure c’è il fatto che “faggot” (“cioè “maschio omosessuale”, ma non detto in modo così educato) sia utilizzato come insulto standard tra tredicenni: sono momenti che fanno gelare il sangue soprattutto perché arrivano nel contesto di un film per ragazzi, lo stesso film nel quale c’è un momento delicatissimo e agghiacciante insieme che ha a che fare con i campi di sterminio nazisti. Sono scorie di un’altra epoca e di un altro modo di scrivere i film, che è impossibile non notare ma che si possono attribuire al contesto storico più che alla cattiveria di Dekker e Black (e forse questo è il motivo per cui per anni si è parlato di un possibile remake, ora naufragato); e che nulla tolgono al fatto che Scuola di mostri è uno dei migliori “film di ragazzini in bicicletta” usciti negli anni Ottanta, nonché la miglior risposta alla domanda “qual è il mostro migliore di tutti?”.
La risposta, ovviamente, è “sì”.