Scream VI funziona, e tanto basta

Scream VI, il franchise comincia a mostrare la corda dal punto di vista tematico, ma il film funziona comunque, e va bene così.

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Scream VI è su Netflix

Scream VI dimostra tre cose. La prima è che Scre4m fu un mezzo passo falso più per questioni di esecuzione che per l’idea alla base, e ci sono cose buone da recuperare anche da quello che è considerato il capitolo più debole del franchise. La seconda è che Scream, cioè il quinto capitolo, era tutto sommato poco più che una bozza, un tentativo di rilanciare la saga che aveva i suoi bei problemi: certo, metteva in mostra il talento dei Radio Silence nel mettere in scena gli slasher, ma era ancora un film un po’ indeciso, non del tutto convinto di aver intrapreso la strada giusta e di fare giustizia ai primi tre mitici capitoli. La terza è che Scream non è più una saga meta-horror che gioca con il genere e le sue regole, ma ha allargato il suo sguardo diventando una saga meta-cinematografica che gioca con l’industria e le sue idiosincrasie.

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Scream VI e le idiosincrasie

Tracce di questo ampliamento degli orizzonti si vedevano già in Scream, con tutti quei discorsi sui requel e sul fatto che siano un modo più rispettoso di sequel o reboot per resuscitare un franchise. Discorsi che (ma questo vale dai tempi del primo Scream) sono sempre a metà tra la satira e l’autogiustificazione, ed è quest’ultimo aspetto in particolare che esplode in Scream VI. Perché i classici discorsi su come funzionano gli horror e i loro sequel vengono sostituiti con un attacco frontale al mondo dei franchise e dei cineuniversi, che, ci viene spiegato nel classico momento espositivo da Scream, funzionano secondo regole diverse rispetto alle classiche trilogie-e-oltre – diverse e forse ancora più crudeli.

In sostanza, Scream VI prende tutto quello che è successo tra Marvel Cinematic Universe, DCEU, ma anche Star Wars, Harry Potter e qualsiasi altro grosso franchise vi venga in mente, e passa due ore a sfotterlo. Prende in giro soprattutto il fatto che all’improvviso, nei cineuniversi, è scomparsa persino la cosiddetta plot armor: se negli horror classici a morire erano sempre figure standard che ricoprivano ruoli archetipici, nel mondo dei franchise chiunque può fare una brutta fine, protagonisti compresi. Il film è un continuo prepararci a Cose Molto Cattive, e d’altra parte già Scream (il quinto) aveva dimostrato di voler alzare la posta in palio uccidendo un pilastro come Dewey. Tutto quello che è successo a, per dirne uno, Tony Stark, in Scream VI diventa il centro tematico del film e la scusa per la solita serie di omicidi creativi.

Il problema della protagonista

La conseguenza più importante di questo liberi tutti è che Scream VI può permettersi di riproporre una protagonista parecchio sciapa come Melissa Barrera: il film mette in chiaro che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere lei una delle vittime di questo capitolo, e meta-cinematograficamente questo è un sollievo. Perché uno dei grossi limiti di Scream era che Barrera non è Neve Campbell: Scream VI, saggiamente, le toglie un po’ di spazio, e prova a essere un film più corale e policefalo.

Ovviamente, una grossa mano ai Radio Silence viene da Jenna Ortega e dalla sua rapidissima ascesa verso la uber-celebrità. Che non è un caso, intendiamoci: la sorella minore della protagonista se la mangia per intensità e carisma ogni volta che condividono la scena; c’è un evidente canyon di talento che separa Barrera da Ortega, e Scream VI lo sa e concede alla seconda sempre più spazio e possibilità di esprimersi – e prendersi le luci dei riflettori. Pensate per esempio al fatto che anche a lei viene proposto un love interest (e quindi una potenziale dolorosa perdita), e che quello che tocca alla sorella è invece… un tizio, che assomiglia molto a una funzione narrativa su due gambe.

Scream VI e la violenza

C’è un altro dettaglio dal quale si capisce che Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett (che poi sarebbero i Radio Silence, non l’avevamo ancora scritto) hanno trovato il ritmo giusto con Scream VI, dopo aver un po’ zoppicato anche se in maniera adorabile con Scream, ed è quello della violenza. La saga di Scream non è mai stata davvero violenta, o comunque lo è sempre stata più a livello psicologico che fisico. Non che siano mai mancati il sangue o gli omicidi, ovviamente, ma Wes Craven non è mai andato troppo sul grafico nei suoi quattro capitoli, preferendo spesso il linguaggio del thriller e della tensione a quello dello slasher e dell’ultraviolenza. Non è un caso che gli eredi di Scream, da So cosa hai fatto in giù, siano diventati anch’essi via via meno violenti, fino ad arrivare a un momento storico nel quale gli horror con adolescenti assomigliavano più a Dawson’s Creek che a Halloween.

Nel 2024 tutto questo non è più accettabile, e l’horror stesso ha riconquistato una sua dignità e quindi anche una forza espressiva che era stata un po’ soffocata dalle esigenze di botteghino. E quindi Scream VI ci regala alcune delle uccisioni più esplicite e crudeli che si siano mai viste nel franchise, e un paio di scene che schizzano già ai primi posti nella classifica delle migliori dei vari Screamquella della metropolitana in particolare. È insomma, al di là del suo posto nel mondo di Ghostface, un ottimo horror, creativo e crudele al punto giusto e che dimostra forse una quarta cosa: che il franchise di Scream è qui per restare ancora a lungo.

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