Sciopero degli sceneggiatori USA: perché la situazione è grave, quali sono le soluzioni e che impatto avrà

A maggio scadrà il contratto con gli studios degli sceneggiatori americani, ormai in ginocchio dalle nuove regole delle piattaforme

Critico e giornalista cinematografico


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In uno scenario che fatica riprendersi dalla botta economica del COVID lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood rischia di essere un colpo fatale per tanti operatori della catena industriale.

Il contratto degli sceneggiatori americani è in scadenza

Il primo maggio del 2023 scadrà il contratto che lega la Writers Guild of America (il sindacato che rappresenta gli sceneggiatori di Hollywood) a produttori e studios. È l’accordo che regola la maniera in cui gli sceneggiatori lavorano, cioè i paletti che i produttori possono pretendere, e come sono compensati, incluso come vengono calcolati i diritti d’autore successivi alla prima messa in onda o online (o all’uscita in sala) di ciò che hanno scritto. Quel contratto che scade non era stato pensato per lo scenario attuale, cioè la produzione in massa per le piattaforme di streaming, e quindi è diventato così svantaggioso per gli sceneggiatori che moltissimi di questi non riescono a mantenersi. In questi mesi la WGA ha cercato in modi diversi un accordo con produttori e piattaforme ma le negoziazioni non sono andate bene e ora, a meno di un paio di mesi dalla data di scadenza del 1° maggio, oggi iniziano le trattative finali e sembra che uno sciopero sarà inevitabile.  

Sarebbe il secondo in 15 anni per gli sceneggiatori: l’ultimo durò tre mesi tra il 2007 e il 2008, solo che lo scenario economico di Hollywood non è più quello di allora. La crisi delle piattaforme, il contrarsi dell’economia e poi i problemi del cinema in sala post-COVID fanno sì che uno sciopero, uno lungo, potrebbe portare danni immensi in termini di mancati guadagni per i segmenti più in difficoltà della filiera e di disaffezione del pubblico. E questo anche per noi in Italia, che siamo lontani dalle questioni sindacali americane ma abbiamo sale bisognose di film. Dunque qualcosa che può avere conseguenze nefaste per il mondo dell’esercizio mondiale è nelle mani delle piattaforme di streaming americane.

Le richieste e le questioni su cui produttori e sceneggiatori si scontrano sono diverse. E riguardano più che altro la scrittura seriale. Gli sceneggiatori di cinema non sono molto toccati da queste battaglie, ma essendo parte della WGA aderiranno allo sciopero come se li riguardasse.

I problemi degli sceneggiatori che stanno portando a uno sciopero

Storicamente le reti americane commissionavano la scrittura e poi realizzazione di un episodio pilota di una potenziale serie. Fatto e valutato questo si poteva partire con la scrittura e poi realizzazione della prima stagione con un team di sceneggiatori corposo, perché lo standard di 22 episodi a stagione andavano scritti e poi girati in un anno. Gli sceneggiatori erano pagati per ogni settimana di lavoro più un fisso nel caso che quel che avevano scritto fosse effettivamente stato prodotto. E poi, come detto, una volta andato in onda l’episodio, c’erano le royalties da percepire ad ogni nuova replica per anni.

Oggi non ci sono episodi pilota, le stagioni vengono ordinate in blocco. Ci vuole sempre un anno per farle ma ci sono meno episodi e meno persone che ci lavorano. La writer’s room diventa la mini-room. Non c’è un compenso a settimana, il team di scrittura prende un compenso unico per tutto il lavoro di una stagione. La paga non risente quindi di un eventuale maggiore tempo impiegato per scrivere ma è a obiettivo (qui alcuni studi di produzione integrano con una fee extra per il tempo aggiuntivo). Finito il lavoro in una mini-room uno sceneggiatore richiesto può iniziare a lavorare a un’altra e via dicendo, di fatto lavorando di più per una paga minore e levando lavoro agli altri.

L’argomento più importante di tutti però è quello dei residual, termine con il quale si identificano i diritti d’autore che spettano agli sceneggiatori per sfruttamenti successivi a quello principale. Una volta questi erano calcolati in base alle repliche televisive delle produzioni a cui avevano preso parte: per ogni replica era previsto un compenso per episodio. Questo consentiva agli sceneggiatori meno famosi, quelli di livello medio, di vivere anche quando (come è normale) nuove serie o nuovi progetti non venissero presi da uno studio o fossero cancellati. C’era sempre la rendita di quelli andati in onda per molte stagioni, cosa che era la regola. Non bisogna pensare necessariamente a I Soprano ma più alle produzioni industriali come furono Friends o anche a serie di minor fama come Due uomini e mezzo o ancora le serie dell'Arrowverse, che tuttavia avevano una grande vita e continue repliche sia sul canale che l’aveva prodotta, sia su tutte le reti regionali (Syndication).

Ora invece non esistono le repliche sulle piattaforme di streaming e gli assegni per i residual sono diminuiti anche di dieci volte. Prima per una produzione di medio livello stavano tra i 10.000 o 20.000 dollari l’anno, ora intorno ai 200 l’anno. Brittani Nichols, sceneggiatrice di Abbott Elementary, ha raccontato che la prima replica su una rete in prime time frutta 13.000 dollari in diritto d’autore, invece dallo streaming riceve non più di 70$. Le cifre in gioco sembrano altissime, uno sceneggiatore di medio livello poteva arrivare nel complesso a guadagnare 150.000 o 200.000 dollari annui, ma non è così davvero se si fa la tara con i costi della vita. Bisogna immaginare la vita a Los Angeles o New York in cui case di livello medio (non le migliori) possono costare 1 milione di dollari (tariffe per tutto il resto dalle scuole fino ai parcheggi o ristoranti sono equivalenti) e bisogna calcolare che quelle cifre vanno divise almeno per il 50% se non di più, tra tassazione e soldi che spettano ad agenti, avvocati e i molti intermediari che esistono nella cultura hollywoodiana.

La grandissima parte degli sceneggiatori americani ad oggi fatica ad arrivare a fine mese, ha lavori alternativi oltre a quello dello scrittore, alcuni se ne sono andati da Los Angeles e lavorano via Zoom. Altri sono tornati a vivere con i genitori. Questa professione, dicono dalla WGA, con queste regole non è più sostenibile.

Cosa significherebbe uno sciopero degli sceneggiatori

Se dobbiamo basarci su quel che avvenne nel 2008 ogni produzione tranne quella di reality show (che non hanno sceneggiatori ma story producer) si fermerà. I primi a vedere un’interruzione saranno i talk show che vengono prodotti settimanalmente, poi arriveranno le nuove stagioni delle serie tv e i film che subiranno problemi e ritardi per anni a seguire. Un film viene scritto anche più di un anno prima dell’uscita, quindi vedremo per almeno un anno a partire dalla data di inizio dello sciopero, uscite cinematografiche normali, blandamente influenzate dalle agitazioni (se non per il fatto che non potranno usufruire delle consulenze degli sceneggiatori sul set per aggiustamenti, riscritture o correzioni). E lo stesso per le serie le cui nuove stagioni saranno rinviate.

Nel 2007 lo Star Trek di J. J. Abrams aveva bisogno di nuovi dialoghi una volta sul set e non li potè avere, X-Men Le origini: Wolverine per evitare di riscontrare lo stesso problema fu girato in fretta e furia prima dello sciopero, Daniel Craigdovette scrivere da sé gli aggiustamenti alle sue battute sul set di Quantum Of Solace e via dicendo.

Tra un paio d’anni, inoltre, anche il sindacato di registi e attori dovrà rinegoziare il proprio contratto. Quindi gli sceneggiatori sono i primi a dover immaginare un contratto con gli streamer che abbia un senso economico per il nuovo scenario, se non dovessero ottenere quello che gli serve a questo giro lascerebbero questa incombenza di immaginare un nuovo rapporto economico con i produttori a registi e attori che non hanno le loro stesse esigenze. In seguito sarebbero costretti a seguire le linee guida dei contratti di quelle altre categorie per formare i loro. Questo rende questa battaglia cruciale e inderogabile per loro.

Tom Nunan, un produttore che è stato ad alti livelli dentro NBC Universal e Paramount, intervistato da Variety sulla questione dello sciopero ha detto che “sarebbe devastante. Arriva in un momento di grande incertezza. Già ora c’è una grande contrazione dell’industria, con compagnie che licenziano migliaia di persone e le piattaforme che riducono gli investimenti dopo anni di boom”.

Perché gli studios non pagano

Uno sciopero sarebbe terribile per tutti e lo sanno anche gli studios, tuttavia la ragione per la quale non vogliono rinegoziare i contratti come chiedono gli sceneggiatori è che si trovano in una situazione di grande crisi e i cambiamenti nelle modalità di creazione e distribuzione in un certo senso mettono in difficoltà anche loro. In più uno sciopero, se dura poco, potrebbe aiutarli a pulire un po’ il loro parco contratti di cui non sono soddisfatti. Tutti gli studios hanno serie o film ormai approvati e che vanno fatti di cui tuttavia sono scontenti per lungaggini, lavorazioni difficili o percezione che il prodotto non valga. Sono produzioni di cui vorrebbero liberarsi ma che non possono fermare senza pagare penali o rinunciare almeno a quel minimo di introiti che dà un senso ai soldi già spesi. Uno sciopero bloccherebbe tutto e quindi sarebbe la scusa perfetta per liberarsi di tutti questi contratti che percepiscono come un peso.

Dall’altro lato le piattaforme sono nel mezzo di un’aspra guerra e non hanno mai avuto bisogno di tanti contenuti come adesso per tenere i propri clienti lontani dalla concorrenza di YouTube e Tik Tok. Infatti se prima i canali potevano mandare le repliche dei loro grandi successi, le piattaforme vivono di continue iniezioni di novità. Solo Netflix, tra le varie piattaforme, potrebbe tamponare la mancanza di nuove produzioni con i suoi film e serie realizzati al di fuori degli Stati Uniti e quindi non influenzati dallo sciopero. Un calo drastico delle novità porterebbe a importanti perdite di clienti.

In più l’atteggiamento della WGA è molto sicuro di sé. Il sindacato è reduce da un’altra agitazione, contro i propri agenti per un’altra rinegoziazione. Compatti e uniti tutti gli sceneggiatori hanno licenziato i propri agenti per dimostrare la loro volontà di ottenere un modello di lavoro e relazione diverso. Prima infatti gli agenti venivano pagati per “mettere insieme una produzione”, cioè presentare pacchetti completi alle produzioni con più attori o registi o team creativi già contattati e disposti a lavorare insieme. Un conflitto di interessi non da poco. Quella vittoria ha compattato il sindacato e dimostrato che c’è grande unità di intenti. Cosa che non gli fa temere decisioni dure e scioperi molto molto lunghi.

Come si può risolvere la questione

Al momento non sembra esserci una possibile soluzione. Nessuno a Hollywood intravede un possibile terreno di accordo né la disponibilità di una delle due parti a venire incontro all’altra. Ragione per la quale si pensa che lo sciopero avverrà e non sarà breve. Non è solo questione di un mancato accordo con le piattaforme ma anche del fatto che pure internamente al sindacato degli sceneggiatori non c’è accordo su quale sia la strada migliore da percorrere per garantire i propri guadagni anche in futuro. 

Chi chiede un aumento di quella tariffa forfettaria sulle royalties corrisposta dalle piattaforme, ad esempio, non considera che questa al momento è legata a due principali variabili: la grandezza della piattaforma che commissiona e la durata della permanenza della serie in questione nel catalogo. Si immagina che una piattaforma come Netflix (quindi una grande) possa pagare una cifra proporzionata ai suoi ampi guadagni per ogni anno in più in cui una certa serie rimane disponibile, come se pagasse un noleggio che decresce leggermente di anno in anno. È una soluzione che funziona solo in teoria secondo molti.

Al momento molte piattaforme stanno infatti rimuovendo intere serie dai loro cataloghi. Non solo stanno smettendo di produrne o non ne vogliono produrre altre stagioni (come è sempre accaduto) ma per non pagare i residual di produzioni che per loro non sono un successo e quindi solo un costo che continua a gravare, le levano dal catalogo. Potrebbe sembrare l’equivalente di quando un canale televisivo non replicava uno show di scarso successo, ma in realtà in uno scenario in cui una piattaforma ha cataloghi giganti, basterebbe eliminare tutto quello che è poco visto per non pagare più niente. Al contrario, vista la vastità dei cataloghi, se la tariffa forfettaria fosse molto più alta si troverebbe a pagare cifre immense. L’abbiamo visto avvenire specialmente su HBO Max per via del bisogno che ha avuto recentemente Warner Bros. Discovery di tagliare costi, ma chiaramente non sono i soli. È stato il destino di Minx, Avalon, Moonhaven, Bad Crimes, 61st Street, Inside Job, Snowpiercer, The Nevers, Chad, Workaholics, The Inheritance, House/Wife, Dead Day See. E poi del famoso caso Batgirl.

L’altra ipotesi che la WGA mette sul piatto, ma che lo stesso pare difficile, è di legare i residual alle prestazioni delle produzioni. Questa sarebbe un’ipotesi molto in linea con il sistema precedente. Quando infatti i diritti d’autore venivano pagati in base alle repliche di fatto li si stava legando al successo, perché nessuno replica qualcosa che non viene guardato. Ora per stabilire quanto successo esattamente sta avendo una produzione sarebbero necessari i dati di visualizzazione precisi per ogni puntata di ogni serie, che è esattamente ciò che le piattaforme non hanno la minima intenzione di divulgare.

Ad oggi chi produce un film o una serie per Netflix o Prime Video riceve dei dati riguardo le prestazioni che sono decisi dalle piattaforme e sono largamente incompleti. Bastano a farsi un’idea orientativa dell’andamento rispetto alle concorrenza sulla medesima piattaforma ma non ci sono dati precisi che consentano, in caso, il calcolo di un tariffario per i diritti d’autore. Non è come per la televisione, i cui ascolti sono calcolati da un ente terzo e indipendente (Nielsen in America, Auditel in Italia). Ogni piattaforma custodisce gelosamente i propri dati. C’è però chi sostiene che ora che quasi tutte le piattaforme si stanno aprendo alla pubblicità dovranno condividere dati sulle visualizzazioni con gli inserzionisti (altrimenti questi non comprano gli spazi) e che quindi questa politica cambierà. Lo stesso sembra difficile che davvero siano disposte a dichiarare le prestazioni di ogni produzione.

Verso una nuova vecchia televisione?

In questo senso la direzione che sembrano destinate a prendere le piattaforme streaming per raggiungere la piena profittabilità non appare troppo diversa dalla cara, vecchia televisione: l'introduzione di piani di abbonamento a prezzi più bassi ma con la pubblicità imporrà agli streamer una qualche forma di condivisione degli ascolti con gli inserzionisti (e a questo punto sarà davvero difficile tirarsi indietro dalla richiesta di condivisione anche dei sindacati), e probabilmente sempre più piattaforme inizieranno a cedere su licenza i propri contenuti più vecchi ad altre piattaforme, magari FAST (e cioè gratuite con pubblicità), replicando il modello della syndication.

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