Schegge di follia, rivisto oggi
Schegge di follia fece grande sensazione per come trattava il tema del suicidio, ma oggi fa (quasi) più impressione per l’omofobia galoppante
Questo articolo fa parte della rubrica Rivisti oggi
LEGGI – Intervista col vampiro, Tom Cruise e Christian Slater rimasero sorpresi dall’assenza di un sequel
Schegge di follia e il suicidio
Con le solite dovute eccezioni, il cinema mainstream fino agli anni Ottanta si era sempre tenuto prudentemente alla larga dal tema del suicidio tra gli adolescenti, considerato probabilmente troppo sensibile, poco vendibile o una combinazione delle due cose. Certo, c’erano già stati degli adolescenti “maledetti”, fin dai tempi di James Dean, ma Schegge di follia portò la maledizione a un livello superiore, mettendo l’idea stessa di togliersi la vita perché “è tutto troppo” al centro di tutta la storia. Potreste obiettare che i “suicidi” del film sono in realtà omicidi, e che il film di Lehmann è anche, a modo suo, uno slasher con un assassino e una final girl, ma il punto non è solo l’atto in sé, ma pure le sue conseguenze a livello sociale.
Schegge di follia è un film shockante perché riesce a presentare il togliersi la vita come un gesto quasi glamour, una scelta inevitabile di fronte a certi ostacoli e che in qualche modo nobilita la persona che lo commette. Lo dimostra alla perfezione il primo omicidio del film, quello che coinvolge una tazza di liquido sturalavandini e una delle tre Heather, l’odiatissima queen bee che di cognome fa Chandler e che diventò l’ispirazione primaria per una pletora di personaggi successivi, a partire dalla Regina George di Mean Girls. La sua morte, accompagnata da una lettera di addio composta con puntualissima crudeltà dai suoi assassini, diventa un modo per farla ascendere ulteriormente – qualcuno commenta, durante il suo funerale, “è più popolare ora che quando era viva”. È un’idea psicologicamente violentissima, che dà una direzione precisa anche a tutto il resto del film e alla brutta fine che fanno un gran numero di personaggi, e che da sola smonta molte delle concezioni romantiche relative all’adolescenza che Hollywood ha sempre promosso. Da allora, il concetto stesso di togliersi la vita prima della maggiore età ha smesso di essere proibito nei teen movie, è stato assimilato, quasi normalizzato ed è anzi in certi casi (il già citato Bottoms, per esempio) diventato addirittura motore di comicità.
Non ci sono solo i suicidi
Sarebbe limitante, però, ridurre Schegge di follia ai suoi omicidi/suicidi. Il modo in cui sono presentate le “cricche”, per esempio, è un altro esempio di intuizione antropologica che è poi stata sfruttata in decine di teen comedy: l’idea che gli adolescenti si aggreghino sulla base delle loro passioni, del loro modo di vestire, del loro status sociale, e che questi gruppi separati raramente interagiscano se non in modo antagonistico, è onnipresente negli ultimi quarant’anni di cinema adolescenziale. Più di tutto, però, colpisce il modo (molto anni Ottanta, va detto) in cui viene trattato il tema dell’omofobia, perché quello sì è cambiato radicalmente dai tempi di Schegge di follia.
Alla Westerburg High School di Sherwood, Ohio, infatti, essere omosessuali è ancora una macchia sul curriculum, una nota di demerito, un errore esistenziale imperdonabile. Riguardandolo abbiamo perso il conto del numero di volte che l’idea di succhiare cazzi viene presentata come negativa, qualcosa per cui sfottere e bullizzare chi hai di fronte. Nel caso dei personaggi di J.D. e Ram diventa addirittura il motore alla base del loro omicidio, e il fatto che al loro funerale i due vengano presentati come “vittime di omofobia” non fa granché per migliorare le cose: ancora una volta, erano gli anni Ottanta e l’omosessualità era vista in maniera molto diversa da come viene considerata oggi. In questo senso, Schegge di follia è più interessante come cartina al tornasole per com’è cambiata la percezione dell’omosessualità che per come parla di suicidio.
Schegge di follia è un culto imperfetto
C’è poi un discorso da fare che non farà piacere ai fan incondizionati del film di Lehmann, ma che è inevitabile affrontare se si guarda a Schegge di follia con uno sguardo critico: pur con tutti i suoi pregi e meriti, stiamo parlando di un film imperfetto, con errori, omissioni e clamorosi difetti. Il più grosso riguarda la direzione degli attori: se è vero che Winona Ryder e Christian Slater hanno una presenza scenica notevole, è anche vero che sono tutt’altro che perfetti, e la prima in particolare è spesso legnosa nell’interpretazione. “Legnoso” è in effetti un aggettivo che si può applicare a buona parte del cast: negli anni, il modo di rappresentare gli adolescenti al cinema è migliorato esponenzialmente, e guardando le teen comedy più recenti (quelle di qualità, almeno) si nota chiaramente come quarant’anni fa Hollywood stesse ancora imparando cosa fosse la spontaneità. Gran parte del cast di supporto (su tutti i succitati J.D. e Ram) soffre di una certa meccanicità, come se stessero recitando delle battute e non davvero interpretando dei personaggi.
C’è anche molto senno di poi in queste considerazioni: guardate per esempio Shannen Doherty, che sarebbe potuta diventare una star di prima grandezza ma che, non essendo poi bravissima a fare il suo mestiere, si è limitata ad avere una carriera dignitosa. Nessuna delle Heather è diventata una star, e questo ovviamente Lehmann non poteva saperlo; ma non c’è dubbio che Schegge di follia avrebbe guadagnato dalla presenza di gente con più talento di quella che è stata scelta. Ci sono poi, a nostro parere, dei difetti di scrittura parecchio grossi, uno su tutti la scelta di non raccontare in alcun modo l’ingresso di Veronica nel gruppo delle Heather ma di presentarcela già come parte della cricca (pensate a come affronta il tema Mean Girls, per esempio). Ma ancora una volta è senno di poi: Schegge di follia è un primo tentativo, e come tutti i primi tentativi non poté beneficiare dell’esperienza altrui. Rimane un film di un cinismo disarmante, e questo forse conta più della perfezione formale.