Sceneggiatori Live! - Cosa si è detto all'incontro in streaming

Da un'idea di Stefano Sardo e Nicola Guaglianone, 12 tra i più interessanti sceneggiatori italiani hanno detto la loro su come scrivere nel post-coronavirus

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Lo stimolo di tutto è venuto da un'idea di Stefano Sardo e Nicola Guaglianone: riunire diversi sceneggiatori italiani, rappresentativi di produzioni, stili e generi diversi, per capire come comportarsi, cosa scrivere, come affrontare quello che stiamo vivendo nei film o nelle serie del dopo coronavirus. Il panel ha coinvolto 12 altri nomi oltre ai due organizzatori tra i più interessanti, i più noti, gli emergenti e i più arguti in circolazione. È durato più di due ore ed è una maratona nelle idee della sceneggiatura contemporanea disponibile sul canale YouTube di BadTaste.

Che facciamo? Ci rifugiamo nelle storie in costume o nel fantastico? Oppure ci buttiamo sullo specifico e cerchiamo le storie di questo momento? Persone costrette a convivere, la storia di un politico come Conte? E come si scrive una scena di bacio? Lo fanno? Non lo fanno?

Questi erano di dubbi di Stefano Sardo (autore di 1992, 1993, 1994). I referenti principali chiaramente sono i film del dopoguerra italiano, l’unico altro periodo di trauma collettivo elaborato anche tramite il cinema.

C’è però subito una questione da dirimere: “Quanto le persone vorranno vedere storie che rimandano a questo momento e quanto invece vorranno altro?” se lo chiede Francesco Bruni (Scialla, Tutta la vita davanti) che si è dichiarato privo di idee se non (dice ridendo): “Scialla 2 in quarantena” oppure il teatro al cinema, storie con ambientazioni limitate come una casa o una villa.

Dell’opinione opposta è Luigi Di Capua (Smetto quando voglio, ThePills):

Questa è l’estate che molti si perderanno, un momento cruciale, e sta per uscire la serie Summertime. Io non credo che i ragazzi perderanno la voglia di vedere qualcosa che evidentemente non potrà rispecchiare la loro di estate, anzi credo che il desiderio aumenterà. Penso andrebbe previsto il desiderio nello spettatore di qualcosa che non è reale. Non vorrei mai che la nuova stagione di Sex Education avesse personaggi con mascherine.

Anche secondo Eleonora Trucchi (Baby) la strada dell’altrove è la più praticabile per raccontare questo periodo:

L’importante sarà capire che sentimenti proviamo adesso e tentare di raccontarli con altre storie, magari ambientate in un altro tempo o in un altrove.

È il bisogno dell’universale, il fatto che non per forza le storie che verranno raccontate dovranno suonare “reali” o riflettere le vere dinamiche nuove delle nostre vite ma anzi potrebbero benissimo riflettere il desiderio di normalità, il ricordo di normalità e il mondo idealizzato.

Le storie sono universali” è anche l’idea di Menotti (Lo chiamavano Jeeg Robot) che come anche Nicola Guaglianone pensa che l’importante sia cogliere l’universale e inserirlo in storie che parlano d’altro. Guaglianone fa l’esempio di come La 25esima Ora racconti l’11 Settembre, cogliendo le sensazioni e non il racconto degli eventi, senza nemmeno menzionarlo e Menotti sottolinea come al di là di quel che possiamo vivere individualmente c’è tantissima gente per la quale la vita continua quasi allo stesso modo. E soprattutto i film non vivono solo nel loro immediato “basta pensare a Donnie Darko, uscito male in sala perché troppo vicino all’11 Settembre ma poi un successo in home video”.

C’è stata poi tutta una fronda favorevole a quello che Filippo Bologna (Perfetti Sconosciuti) chiama il “distanziamento narrativo”, cioè scappare dall’instant movie consapevoli che un periodo non lo si può raccontare nell’immediato:

Pensiamo all’AIDS, i primi casi sono arrivati negli anni ’80 ma i film più significativi sono arrivati negli anni ’90 con Philadelphia o ora con Dallas Buyers Club, quando c’era ormai una certa distanza temporale. Non voglio vedere la vita che ho condotto pochi mesi fa. Non voglio scrivere “40 anni in quarantena”.

E anche Barbara Petronio (ACAB, Suburra) ricorda che “è difficile dare una risposta su come rappresentare questi tempi, pensate che la storia ci ha consegnato il neorealismo qualche tempo dopo la guerra. C’è bisogno di tempo”.

Raccontare la situazione attuale è ovviamente complicato e come dice Stefano Bises (Il Miracolo, The New Pope):

Misurarsi con il racconto del contemporaneo o dell’immediato futuro mi spaventa, è complicato e già non saprei come mettere in scena gli spazi. Come sarà il centro di Roma senza turisti e B&B?

Tuttavia è chiaro che esistono anche delle storie generate da questa situazione, o anche semplicemente opportunità generate da questa situazione. L’idea più concreta in questo senso è venuta proprio a Bises, cioè raccontare Conte e la politica:

In Italia non abbiamo mai saputo raccontare la politica. Siamo un paese in cui la politica è sensazionale, è un laboratorio, è un grande patrimonio narrativo che oggi ci offre la figura di Conte, la sua prova è narrativamente irresistibile. Oppure Zingaretti che prende lo spitz e c’ha il covid o l’assessore che dice le abbiamo azzeccate tutte con 15.000 morti sulle spalle.

Il più pragmatico forse è stato Fabio Bonifacci (Benvenuto Presidente, Amiche da Morire):

Sarà come dopo la guerra, ci saranno tanti film sul tema e pochi li ricorderemo, vinceranno i più belli. I produttori sanno che la gente non ha voglia di vedere un film sulla quarantena ma l’avrà se il film in questione sarà bellissimo. Ci sarà una maratona per arrivare a scriverlo, partiremo in 10.000 e 2 arriveranno. Tuttavia la vera sfida sono i film che parlano di altro in questa epoca, come fanno sesso, come si baciano…

Di certo come ricorda Bologna, finito questo periodo “ci sarà una selezione darwiniana dei progetti, forse moriranno quelli più esili, quelli che scelgono una leggerezza da poco” e Bonifacci concorda: “Certi drammi in cui i personaggi si straziano per problemi minori non credo funzioneranno più, sarà il momento dei racconti più seri”.

Intervento a parte è stato quello di Filippo Gravino (Il Primo Re, Fiore), un fiume in piena con una luce di speranza in fondo al tunnel:

Io ho difficoltà a guardare avanti, mi è più facile guardare indietro per capire se noi siamo pronti ad affrontare la grande narrazione. Di fatto ci manca il trauma collettivo che ci accomuna. Penso con speranza che siamo un paese e una generazione eticamente e politicamente nulla, abbiamo espresso due leader che sono due ex di Doppio Slalom, ci siamo dedicati tutti alla ricerca dell’integrazione isterica per paura di non avere niente, e siamo tutti nella nuvola del pensiero moderato. Abbiamo tutti espunto qualsiasi pensiero disturbante o conflitto o ancora voglia di essere contro in qualsiasi forma. Avete parlato della commedia del dopoguerra ma da anni ormai abbiamo abbiamo levato il tragico dalla commedia, da quanti anni non muore un protagonista di una commedia? Da Il Sorpasso o La Grande Guerra. È perché vogliamo rassicurare, ci hanno detto di stare nella nuvola di privilegio sostenendo che si sta bene. Addirittura abbiamo messo i morti nelle casse, senza dargli sepoltura e non l’abbiamo vissuta come un trauma collettivo o eticamente come una catastrofe! Non abbiamo rapporto con il sacro, abbiamo abdicato a Barbara D’Urso il rapporto con la religione, cioè trattiamo temi complessi in modi semplici. Il dibattito sul femminile a cosa si riduce? Alla dittatura del concept, quando le cose che ci appassionavano da ragazzi non avevano un concept. Io non lo so qual è il concept di Toro Scatenato. Io voglio un mondo complesso profondo e in conflitto ma non ce l’abbiamo e da oggi abbiamo un’occasione per crearlo, altrimenti facciamo i commedianti”.

Trovate tutte le notizie e gli aggiornamenti sull'impatto che l'emergenza Coronavirus sta avendo sul mondo del cinema nel nostro archivio.

Continua a leggere su BadTaste