La scena finale Ghost In The Shell 2017 VS quella del 1995: cos'è cambiato e cosa implica

Una scena del nuovo Ghost In The Shell a confronto di quella dell'anime da cui ha preso ispirazione. Cosa funziona di più e cosa meno, ma soprattutto perchè

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
In molti punti il nuovo Ghost In The Shell ricalca i vari “originali” che lo hanno preceduto, cioè le versioni audiovisive seriali o a sé stanti del manga di Masamune Shirow.
Visivamente il film di Rupert Sanders fa un buon lavoro di furto, prende tutto quel che deve e lo amalgama bene, è semmai con la costruzione delle singole scene il problema. Perché se i momenti che ruba sono alcuni tra i migliori che le molte incarnazioni di Ghost In the Shell hanno proposto, è anche vero che non possono vivere da soli, cioè che la loro forza (come per tutte le sequenze al cinema) è data non solo dalle trovate che li animano ma anche da come il resto del film le costruisce, come cioè il pubblico arrivi a quel momento.
Senza nulla a cui fare da culmine o da ponte, le medesime scene non hanno la stessa forza. Un po’ tutto questo nuovo Ghost In The Shell è un saggio su quanto questa regola sia vera.

In particolare però c’è una scena che colpisce per come, nonostante sia quasi uguale all’originale, non funzioni nella medesima maniera.
Parliamo della scena finale, non proprio l’ultima, ma diciamo il grande confronto che chiude la parte d’azione della trama. Quindi, benché sia la medesima scena dell’anime del 1995, se non volete saperne di più vi conviene fermarvi qui.

Nel 1995 il Maggiore si confrontava con una macchina senza testa in un magazzino abbandonato, un mezzo corazzato manovrato per uccidere, un carroarmato dotato di diverse bocche di fuoco. Un mezzo invincibile che protegge un’auto e contro il quale le armi normali non hanno effetto. In quella scena viene molto enfatizzato il potenziale distruttivo del carroarmato, quanto il Maggiore possa solo scappare e lasciare che esaurisca i proiettili.
Ad un certo punto però, non disposto alla resa, il Maggiore cerca di uscire fisicamente da questo confronto impari, non accetta quella forma di sconfitta, si spoglia per usare la mimetica che la rende invisibile, piomba sopra al tank e cerca di aprirlo, spinge il proprio corpo talmente tanto oltre le sue potenzialità, spinge i muscoli sintetici così tanto da gonfiarli a tal punto da distruggere se stessa, anzi il proprio shell. Un fallimento. Il tank la afferra per la testa a sottolineare la sua fragilità e la sta per uccidere quando arriva Batou a salvarla. Priva di un corpo funzionante il Maggiore si collegherà poi al Burattinaio e da lì parte il gran finale della storia.
Ecco la scena.

È insomma un fallimento dello shell, dell’involucro totalmente inadeguato alla forza della mente, alla volontà di ferro del Maggiore determinata ad avere la meglio addirittura fisicamente su un tale mostro corazzato. La volontà umana che arriva a distruggere il corpo sintetico. Un momento fortissimo in cui le parti nude del corpo del Maggiore sono anche enfatizzate dal tratto.

Nel film adesso in sala invece la scena è innanzitutto ambientata inspiegabilmente all’aperto (e inevitabilmente ha meno forza perché ha meno il sapore della trappola da cui non si può uscire), e corre un po’ più rapidamente verso la soluzione finale, cioè il Maggiore non è tanto assediato, non si nasconde a lungo dalle molte scariche di colpi. Stavolta poi a guidare il mezzo non è un anonimo sgherro ma il “capo dei cattivi” in remoto. È insomma uno showdown finale per interposta macchina.
Non solo, Batou non sta accorrendo come nell’originale ma è la probabile vittima del carro per la salvare la quale il Maggiore tenterà la mossa di salirgli in cima e provare ad aprirlo da sopra distruggendo il proprio corpo nello sforzo. Non è salvato ma salva.

Prevedibilmente poi il Maggiore non indossa il suo visore, perché nella scena madre nessuno vuole privarsi del volto di Scarlett Johansson (ma che peccato! Era così bella quell’immagine di nudità con il visore...). Nonostante però il senso di fatica e di distruzione di un corpo da parte di una mente rimanga lo stesso, la scena non ha più lo stesso significato di fallimento che aveva nell’originale. Di nuovo il Maggiore non riuscirà nell’impresa e finirà salvato comunque da qualcun altro, ma invece che essere un fallimento del corpo in un’impresa scavezzacollo, una che poteva essere evitata aspettando un po’ di più, è una maniera molto umana di gettare il cuore oltre l’ostacolo e come tipico degli eroi rischiare la propria vita per salvare qualcuno di caro. Nel culmine dello scontro con il nemico il maggiore sarà salvato dalla squadra, lavoro di team.

In parole povere nel tentativo di dare una motivazione in più al Maggiore per l’azione, si perde quel senso del dovere (molto nipponico ovviamente) e quell’abnegazione a cui il corpo non riesce a stare appresso. In Ghost In The Shell 2017 questo finale di autodistruzione è una dimostrazione di umanità, un gesto che una macchina non farebbe perché controproducente ma un essere umano compie sull’onda emotiva. In Ghost In The Shell 1995 invece era una macchina piccola animata da una determinazione che va oltre le proprie potenzialità che viene soggiogata da una macchina più grande priva di intelletto, tutta corpo e zero testa.

Era la superiorità del mezzo sulla testa.

Ora è solo il solito eroe che rischia la vita per un altro.

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