Scary Christmas è crudele, amorale e natalizio

Scary Christmas è un horror cattivissimo, che riflette su alcuni archetipi del genere... e sull’impatto di Mamma ho perso l’aereo

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Prima di cominciare, una considerazione: Scary Christmas, arrivato insieme alle feste su Prime Video, fa parte di quella categoria di film dei quali è quasi impossibile scrivere a meno di avere la certezza che chi legge a) l’ha già visto o b) non ha problemi a rovinarsi una sorpresa o due prima di vederlo. Cercheremo quindi di affrontare questo pezzo in maniera graduale, andando sempre più a fondo nell’approfondimento paragrafo dopo paragrafo. Se volete capire a grandi linee se Scary Christmas può interessarvi leggete solo il primo, se volete qualche considerazione critica più generale fermatevi al secondo, altrimenti arrivate pure in fondo.

Scary Christmas, un perfetto film di Natale

Scary Christmas (titolo originale Better Watch Out, qui il trailer), uscito contemporaneamente al cinema e in VOD nel 2017, è un crudelissimo horror di produzione australiana-americana diretto da Chris Peckover, del quale aspettiamo ancora il film successivo, e interpretato da Levi Miller (che di recente si è visto, poverino, in Nelle pieghe del tempo) e Olivia DeJonge (già protagonista del bellissimo The Visit di M. Night Shyamalan). È un horror a basso budget e grande resa che racconta le disavventure di Luke, della sua babysitter Ashley e dell’amichetto di lui Garrett, che si svolgono nel corso di una lunga notte natalizia in un quartiere ricco di una non meglio specificata suburbia americana, tutta macchinoni parcheggiati davanti a villone e gente vestita a festa che canta cori natalizi sotto la neve mentre una bambina felice costruisce un pupazzo e lo chiama Mr. Frost.

Luke è il figlio unico di una coppia chiaramente benestante e altrettanto chiaramente intrappolata nel più classico dei matrimoni infelici e istituzionali, tenuto in piedi dalla presenza di un minore e poco altro. Luke è anche innamorato della sua babysitter, Ashley, in procinto di abbandonare la città per trasferirsi altrove: Scary Christmas si svolge durante la loro ultima notte insieme, l’ultima occasione per dichiararsi provare a convincerla a fare... non è chiarissimo cosa neanche a lui, che ha 12 anni contro i 17 di lei, ma il punto è che Luke è una palla ormonale fuori controllo e non vuole assolutamente perdere l’ultimo treno. Il problema è che non è facile sedurre una ragazza che ha cinque anni più di te (e un fidanzato invadente, e un ex molesto), e diventa ancora più difficile quando casa tua viene attaccata da un pazzo armato che sembra voler fare una strage.

Scary Christmas 1

Scary Christmas è uno home invasion?

Scary Christmas si presenta quindi come una raccolta di trope presi da trent’anni di horror con minorenni. La figura della sexy babysitter e del suo protetto che ne è innamorato, in particolare, è tornata di moda da quando Netflix ha cominciato a produrre in serie materiale più o meno piccante per tredicenni, e non è un caso che Scary Christmas sia arrivato al cinema più o meno quando La babysitter è arrivata sulla grande N rossa. Entrambi sono film che nascono per stuzzicare preadolescenti e adolescenti (e nel caso di quello di McG anche oltre), e che sfruttano a modo loro uno degli archetipi più utilizzati in ambito final girl.

Dove però Samara Weaving serviva per ribaltare questo archetipo, trasformandosi nel villain del film, Ashley lo ricalca alla perfezione, quasi in contrasto con quanto siamo abituati a vedere negli home invasion: è fragile, indifesa, vittima degli eventi fin da subito, una sopravvissuta più che un’eroina, che non fa mai il salto di qualità trasformandosi in carnefice. Scary Christmas è un film crudele pieno di gente che soffre, con pochissimi momenti di rivincita e vera catarsi – un film dal quale si cerca prima di tutto di uscire vivi. Perché la figura armata e mascherata che perseguita Ashley e Luke è senza volto, senza motivazioni e senza morale, il peggior tipo di mostro concepibile: quello che fa ciò che fa perché può farlo, e che potrebbe quindi nascondersi ovunque.

Da qui in avanti roviniamo una sorpresa

Il punto di Scary Christmas è che, contrariamente a quanto il film vuole far credere per i primi venti minuti, non è vero che il mostro di turno è senza volto e senza motivazioni: si scopre abbastanza presto che l’invasione è una finta invasione organizzata da Luke e Garrett per provare a spaventare Ashley, nella curiosa convinzione che una ragazza terrorizzata sia anche una ragazza arrapata. Il piano dei due catapulta rapidamente il film in territorio Funny Games: legarla a una sedia, molestarla in vari modi, infine farle bere un roofie per farle dimenticare tutto e far ricadere la colpa dell’inevitabile casino casalingo su di lei invece che sui due. In questo senso, Scary Christmas è l’anti-Babysitter, con il babysitterato che diventa il villain e la tata relegata al più tradizionale ruolo di final girl.

Il lato più inquietante del film, però, non è tanto la crudeltà estrema di un dodicenne, quanto il suo totale scollamento dalla realtà: è emblematico per esempio che una delle torture a cui Ashley viene sottoposta sia presa di peso da Mamma, ho perso l’aereo, all’apparenza un simpatico film per famiglie su un ragazzino che deve difendersi dai ladri, in realtà la tragica storia di due rapinatori da quattro soldi che si ritrovano tra le grinfie di uno psicopatico che costruisce una serie di trappole che nel mondo reale li avrebbero ammazzati senza troppa fatica. Luke è (anche grazie all’interpretazione clamorosa di Levi Miller) una figura quasi tragica (se non fosse per la voglia di prenderlo a schiaffi), distaccato emotivamente da qualsiasi forma di empatia o di controllo sociale, un perfetto progetto di serial killer da slasher classico, ancora intrappolato nel corpo e nella mentalità di un dodicenne: a renderlo spaventoso non è solo quello che fa, ma il fatto che lo faccia con la stessa casuale crudeltà con cui strapperebbe le ali a una mosca o brucerebbe una formica con una lente d’ingrandimento.

Scary Christmas è anche troppo breve e troppo concentrato sull’azione per rendere centrale la sua riflessione su certa cultura pop che diamo per scontata e che potrebbe o non potrebbe aver contribuito a desensibilizzarci contro una certa forma di violenza – ed è un bene, perché lo spunto c’è e chi vuole può coglierlo, ma chi non vuole ha comunque a disposizione un thriller/horror breve e tesissimo, girato con competenza e un paio di spunti estetici interessanti, e soprattutto cattivo fino al midollo nonostante la neve, le luminarie e i cori natalizi.

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