Sandman: Overture, un grande fumetto per una piccola storia
Abbiamo riletto Sandman: Overture, fumetto vincitore del Premio Hugo: ecco quali considerazioni sono scaturite dalla nostra ricognizione
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
La domanda è sorta all'istante, quando chi vi scrive ha appreso la notizia. Perché, improvvisamente, ripensando alla prima esperienza di lettura del prequel di uno dei grandi capolavori della Nona Arte, abbiamo provato un senso di grande confusione. Che storia è Sandman: Overture?
Per rispondere a queste domande, abbiamo provveduto a due operazioni consecutive. La prima: fare un'attenta mente locale di quel che Sandman: Overture ci ha proposto. Il primo ricordo erano dialoghi. Dialoghi piuttosto lunghi di cui faticavamo a ricordare il senso e lo scopo. Non che la serie originale non fosse verbosa e piena di confronti verbali tra Morfeo e i suoi famigliari, Morfeo e i suoi servitori, Morfeo e Lucifero, Morfeo e il suo avversario di turno; solo che, nel caso di Overture, Speranza, Notte, Tempo e le Stelle non ci sono sembrati interlocutori all'altezza.
Nel cercare di ricordare il peso delle loro parole, il senso dei loro discorsi, la trama intessuta dai confronti che hanno avuto con il protagonista, ci siamo perduti. Questo perché, va ammesso, Overture non ha la stessa forza strutturale, la stessa direzione sempre percepibile, anche quando non chiara, lo stesso focus delle storie originali.
Il risultato di questa operazione di rilettura degli ultimi sei albi di Sandman in ordine di pubblicazione? La voglia di condurre un'analisi dettagliata dell'opera, di trattarla come un volume a sé stante, come merita, di recensirla in autonomia e in maniera completa per affermare un concetto: Sandman: Overture non è granché.
Sempre il malefico critico che vi sta annoiando, ha deciso quindi di procedere a una rilettura. La quale - casomai ve lo steste chiedendo - è la seconda delle due operazioni consecutive. Sensazioni scatenate dall'episodio di apertura: molto diverse da quando lo si è avuto per le mani la prima volta. L'ufficio di Londra, il Corinzio, la convocazione coatta dei molteplici aspetti di Sogno ci avevano entusiasmato in maniera irresistibile. Questa volta, invece, li abbiamo visti come un'incompiuta.
L'incubo peggiore dell'umanità rimane relegato a comparsa, nulla viene aggiunto su di lui, fa presenza solo per ricordarci che questo è Sandman e come riferimento alle sue apparizioni di cui ben sappiamo. Londra e il mondo reale sono solo il punto di partenza del viaggio che Sogno intraprende nell'universo per mettere fine alla minaccia del vortice, alla follia delle Stelle impazzite che minacciano di cancellare il creato. L'immagine finale, di gruppo, rimane invece una delle cose più belle su cui abbiamo posato gli occhi nella nostra vita e gli applausi a J.H. Williams non si tacciono ancora. Anche solo per le idee di narrazione visiva e di organizzazione della tavola che ci hanno estratto rotoli di lingua dalla bocca.
Per fortuna, anche gli altri capitoli hanno sortito, sull'umile lettore, effetti non congruenti con la prima esperienza. Il cammino di Sogno è infatti più interessante di quanto ce lo ricordavamo. Continua a non essere memorabile, ma è certamente meno confuso di quel che la memoria suggeriva. E così i dialoghi tra il protagonista e i personaggi, vecchi e nuovi, che incontra sulla via. La penna di Gaiman è ancora lei, quando si tratta di mettere a confronto due personalità e di farcele apprezzare sulla pagina. La freddezza quasi necessaria, da divinità spinoziana, di Padre Tempo è viva sulla pagina, non meno della bulimia offesa del desiderio di assoluto di Notte. Soprattutto c'è Sogno, più fragile di come ce lo ricordavamo, più ancora di quanto non fosse in quel Preludi e Notturni che ce l'ha introdotto e ancor più nascosto dietro le regole, le responsabilità, sepolto sotto i doveri e l'impossibilità del cambiamento che si è creato da solo.
Questo non significa che tutti i personaggi di Overture siano all'altezza. Speranza, ad esempio, non è pervenuta. Certo, ha una delle migliori battute della storia, quel suo jab che ci colpisce in pieno e ci ricorda uno dei momenti più emozionanti di tutto Sandman: il duello retorico con il demone Choronzon. Ma, più che un personaggio, è una funzione strumentale della trama e, con un nome come quello, con un aspetto come quello, con un ruolo come quello di salvatrice dell'universo (in definitiva), avremmo meritato tutti quanti di sapere qualcosa in più su di lei, qualcosa di molto bello o molto brutto, qualcosa di interessante. Invece no, e la bella doppiezza, ben giocata, di Desiderio l'abbiamo già vista altrove, come non ci può e non ci sa stupire la saggezza di Delirio, affiorante dal caos. Sono vecchi amici che rivediamo volentieri, ma insomma.
E tentenniamo anche sulle svolte di trama. A parte il tiro, che, furbescamente, Sogno riesce a giocare alle stelle ostili, facendosi intrappolare al buio, dove può raggiungere Madre Notte, cosa accade di realmente interessante, di realmente consequenziale? Cosa dovrebbe stupirci, catturarci, emozionarci negli eventi (non nei dialoghi, nelle immagini e nei personaggi), che sono dipinti sulla pagina? Le soluzioni alle traversie sono declinate sotto forma di deus ex machina, oppure rimangono appese a spiegazioni tutto sommato labili. Per carità, in un mondo mistico e di esseri supradivini come quello di Sandman, le due cose non sono nuove né imperdonabili, anzi, quasi necessarie. Ma in una vicenda così rapida, così povera di struttura, risultano meno potabili che in altre situazioni, quando potevano passare quasi inosservate, data la potenza della visione, il cammino avvincente dei personaggi e il fascino del loro percorso personale e psicologico.
Abbiamo sproloquiato. Probabilmente a vuoto, regalandovi impressioni a spunti di analisi che, nelle nostre intenzioni, andrebbero sviscerati e discussi e con cui vorremmo litigare con voi lettori per un tempo non inferiore alla classica unità cronologica da dibattito fumettistico: Ozymandias vince o perde alla fine di Watchmen? Non procederemo a un'analisi e non trasformeremo questo articolo colpevolmente impressionista in un saggio. Diamine, non è neppure una recensione. Semmai è una ricognizione informata di lettura, di un'esperienza narrativa che, per molti di noi, è stata importante.
La conclusione: Sandman: Overture è grande fumetto, ma non è una grande storia. E noi, probabilmente, non glielo avremmo dato mica il premio Hugo. Si tratta di un prequel che aggiunge poco e che dopo tanti anni avrebbe forse avuto il dovere di farlo. Si tratta di qualcosa che rileggeremo senz'altro, ma non estrarremmo mai dallo scaffale al posto di Vite Brevi o La Veglia. Si tratta di un capitolo narrativamente sotto la media della nostra storia preferita e, dato che non molti l'hanno detto, forse era giunto il momento di farlo e spiegarvi perché, secondo noi. E nemmeno l'applauso che ancora scroscia dentro di noi per le matite di Williams ha potuto sovrastare questa voce. Ed ora è fatta.
E comunque, alla fine, Ozymandias fallisce.