La saga delle scimmie ripartirà anche senza il geniale Cesare di Andy Serkis? | Bad Movie

È tornata una delle migliori saghe degli ultimi 15 anni: Il regno del pianeta delle scimmie riuscirà a rilanciare il franchise?

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Il Bad Movie della settimana è Il regno del pianeta delle scimmie di Wes Ball, al cinema dall'8 maggio.

Premessa

È tornata una delle migliori saghe degli ultimi 15 anni. Era il 2011 quando partiva piano ma solidamente, ricevendo critiche positive sia dal maestro Roger Ebert che da una sempre più emergente Manhola Dargis. La scena più eclatante era vedere la scimmia Cesare uccidere con grande soddisfazione, e intelligenza, Tom Felton che già mezzo mondo odiava come Draco Malfoy. Ma prendersela con un animale indifeso torturandolo e procurandogli sadicamente delle scosse era anche peggio che essere lo stronzetto di Hogwarths. Una delle prove più memorabili dell'attore inglese, che come custode psicopatico del centro di detenzione per scimmie problematiche di San Bruno usava un pungolo elettrificato per punire quei mammiferi ignaro che sarebbe schiattato proprio per colpa di quel bastone. Bellissima morte anche perché quello strumento nelle mani di Felton ricordava non poco una bacchetta che avremmo potuto trovare dentro un film di Harry Potter.

Momento sublime: per come era girato, per come era montato dentro il film e per come era stato scritto. L'alba del pianeta delle scimmie di Ruper Wyatt ci aveva fatto conoscere Cesare, cucciolo di scimpanzé, figlio di Occhi luminosi, capace di aumentare vertiginosamente il proprio quoziente intellettivo grazie al farmaco sperimentale ALZ-113 che avrebbe reso le scimmie più forti e noi esseri umani più debolucci. Il film andò bene, piacque come blockbuster estivo quasi dotto e Felton entrò nella Storia abbrustolito perché Cesare lo innaffiava d'acqua un secondo prima che quel bstardo gli si scagliasse addosso col bastone “magico” a 300 volt. Il risultato provocò esultanze da stadio in parecchi cinema del mondo. Poi arrivò Matt Reeves.

Apecalypse Now

Con il dittico diretto dall'amicone di J.J. Abrams i sempre più debolucci protagonisti umani del primo film di Wyatt cominciarono a lasciare il posto a scimpanzé, gorilla, bonobo e orangotanghi sempre più articolati, complessi, turbati e pensierosi. E anche di film in film più belli da osservare oltre le sbarre dello zoo grazie ai prodigiosi effetti visivi legati alla motion capture. I loro occhi emanavano emozioni sincere. Nascevano eserciti, la guerra si appropinquava da più angoli del globo proprio come nel nostro mondo oggi, il conflitto veniva esasperato all'interno di correnti presenti sia tra gli umani, dove risaltava un Gary Oldman pazzoide molto affascinante, che tra le scimmie dove Koba metteva in discussione la leadership faticosamente ottenuta dal nostro Cesare di un immenso Andy Serkis.

Questo, in estrema sintesi, accadeva con Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (2014). Il successivo The War - Il pianeta delle scimmie ci portava dentro il progresso degli effetti visivi che rendeva quei mammiferi ogni giorno più affascinanti e ipnotici da vedere. Cesare diceva: “Non ho iniziato io questa guerra” e si ripensava così a una frase di Karl Marx in cui il filosofo tedesco sosteneva: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”.

E le scimmie? Pure. Marx poteva essere uno dei soggettisti di questo terzo capitolo. Rimasto ormai unico capo, Cesare avrebbe dovuto guidare la sua “gente” verso la terra promessa come Mosè radicando in loro, ma anche in sé stesso, una coscienza politica e rivoluzionaria sempre più cristallina seguendo l'esempio di grandi condottieri citati nel film come Wellington, Toro Seduto, Grant, Lee o Napoleone. Avremmo visto drammi familiari (il leader può permettersi di essere vendicativo o deve mettere da parte il proprio ego a favore della sua “gente”?), esodi al di là delle montagne (siamo in questo capitolo nel 2041 ma il virus ha privato il mondo di mappe e Google Earth) e soprattutto l'incontro tra la carovana di Cesare e l'avamposto di un Colonnello simil-Kurtz di Apocalypse Now (nel film campeggiava la scritta Apecalypse Now). Lo interpretava Woody Harrelson scimmiottando (termine adatto a questo franchise) proprio Marlon Brando del capolavoro di Coppola. Tutto molto bello. Ma poi…

Cesare deve morire

Non è il titolo di un film dei compianti Taviani che vinse l'Orso d'Oro a Berlino nel 2012 bensì il destino del nostro leader scimmiesco alla fine dell'ultimo film di Reeves datato 2017 che incassa 230 milioni in meno rispetto al penultimo Apes Revolution del 2014. Poi il silenzio, il Covid e passano come niente fosse 7 anni che oggi come oggi potrebbero seppellire qualsiasi ambizione di franchise visto che il pubblico è bombardato di saghe in sala e in streaming. Come vai a riprendere le fila del racconto? Come cerchi di riottenere gli occhi, la testa e il cuore degli spettatori? Facendo forse come l'Alex Garland di Civil War cioè puntando sulla semplicità, penuria di informazioni e avventura, non stressando l'audience.

Intanto Il regno del pianeta delle scimmie di Wes Ball si apre avvertendoci che sono passati 300 anni dai fatti accaduti nell'ultimo The War. Quindi nessuno, né scimmie né umani, pare ricordarsi qualcosa del passato. Cesare? Boh. Pare fosse un leader. Kurt Vonnegut? Qualcuno sostiene fosse uno storico più che un romanziere (dalla copertina del libro presente nel film ci sembra di riconoscere un'edizione paperback sdrucita di Ghiaccio-nove). L'eroe è uno scimpanzé allevatore di aquile di un clan di marginali. Si chiama Noah. Quando qualcuno vuole offenderlo gli urla: “Scimmia di fiume!”.

Il film di Wes Ball è tutto concentrato sull'andare contemporaneamente avanti e indietro. Avanti dentro lo spazio fisico di questa California dove i grattacieli delle città disabitate sembrano il Bosco verticale di Milano e indietro nella Storia perché Noah, che nel frattempo si è alleato controvoglia con una ragazzina sporca e puzzolente di nome Mae, ricostruisce sempre più il contesto storico da cui proviene attraverso informazioni raccattate durante l'avventura. Il film è bello ma morigerato. L'azione non prende mai il sopravvento su dialoghi e dramma storico. Basterà? Chiede allo spettatore di rientrare dentro la saga per aspettarsi poi più fuochi d'artificio eventualmente dal prossimo capitolo.

Tanti punti di riferimento cinematografici tra cui Avatar di Cameron (nel primo atto sembra di stare a Pandora con i nostri allevatori d'aquile dentro tradizioni, dinamiche politiche e sentimentali del clan), Sentieri selvaggi di Ford (tensioni interrazziali tra Noah e Mae durante il viaggio epico) e Conan di Milius (Noah ha visto con i suoi occhi da cucciolo la comunità trucidata e vuole vendicarsi alla fine della missione). Certo, Cesare ci manca, ma quante volte viene citato? Parecchie. Il villain? Un bonobo fascistoide che vuole mettere le manone su un deposito di armi della Coronado Bay a Sud di San Diego.

L'inquadratura più bella è dedicata a quella zozzona di Mae (ottima Freya Allan) che non solo sa parlare (che divertenti le scimmie che si stupiscono che noi esseri inferiori riusciamo ad esprimerci) ma tiene nascosto qualcosa a Noah che potrebbe essere il simbolo di un futuro conflitto tra noi e loro.

Conclusioni

Non c'è quel genio di Andy Serkis e si sente (come mai riuscivamo sempre a riconoscerlo sotto la motion capture?), gli attori giovani fanno il loro e la sceneggiatura ci porta placidamente verso l'epilogo.

Il risultato finale possiede la classe della saga senza però le scene madri presenti fin dal primo tassello del reboot datato 2011. Dimenticatevi l'ottimo Tom Felton che crepa folgorato, per capirci. Basterà tutto ciò per rimettere in piedi un progetto editoriale così costoso (oltre i 160 milioni di dollari di budget extra marketing) in un periodo theatrical post-covid che ancora dobbiamo capire dopo gli entusiasmi 2023 per Super Mario Bros, Barbie e Oppenheimer? Possiamo digitare solo: magari. Perché la saga merita e Wes Ball & Co. hanno fatto tutto sommato un lavoro più che discreto.

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