Rotten Tomatoes: perché non bisogna fidarsi degli aggregatori di recensioni?

Dopo lo scandalo per il film Ophelia, Rotten Tomatoes è sempre più in discussione. Riflettiamo sull'attendibilità degli aggregatori

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C’è qualcosa di marcio in Rotten Tomatoes. L’ha detto un’indagine di Vulture che ha mostrato la debolezza del sistema di controllo del celebre aggregatore di recensioni. La notizia, che potete leggere per intero qui, riguarda un ufficio stampa che ha pagato dei critici per moderare il proprio giudizio contro il film Ophelia e garantire così una valutazione “fresh” sul sito. 

L’accusa, prontamente negata dall’ufficio stampa coinvolto, mette in luce un problema più diffuso del semplice caso di corruzione: il ruolo e l'importanza che rivestono gli aggregatori di recensioni nel business adusiovisivo e la loro imparzialità. Una ricerca condotta nel 2017 affermava che non il punteggio espresso da Rotten Tomatoes non avesse un impatto rispetto alle performance al box office. Nel 2020 una seconda ricerca condotta da The Ringer affermava il contrario. Una correlazione c’è, si diceva, probabilmente rafforzata anche dal cambio di percezione del prodotto filmico dopo la pandemia. La ricerca ha poi spiegato che l'impatto di una media positiva impatta però in maniera diversa i generi: le performance delle commedie e degli horror sono tra quelle che più vengono rafforzate o diminuite da un “rotten” o un “fresh”. 

L’impatto di Rotten Tomatoes sul cinema

Abbiamo già parlato del perché l’immagine che viene restituita dalla percentuale non sia sempre veritiera e, anzi, sia facilmente fraintendibile. Un film con il 100% di recensioni positive non per forza è un capolavoro. Potrebbero essere tutti pareri che promuovono l’opera ma tiepidamente. 

Non ci si può però esimere dal parlare di Rotten Tomatoes per almeno tre motivi. Il primo, come già detto, è che sempre di più i suoi verdetti sono correlati alle performance economiche. Tanto che alcune società di ricerca si stanno specializzando anche nel prevedere la possibile reazione critica ad un film e l’impatto che può avere sulle strategie promozionali. Il fatto che un film debba confrontarsi con lo score del sito impatta le strategie di release, di marketing e anche la scelta di dare via libera a un progetto o meno.

La seconda ragione viene dai registi stessi che da tempo stanno spiegando l’impatto che ha sul loro lavoro questo modo di percepire e usare la critica. L’ha fatto M. Night Shyamalan, come vi abbiamo scritto qui, ma anche Quentin Tarantino ha affermato di non leggere più le recensioni, anche dei film non suoi, per via del ruolo sempre più marginale che ha la critica cinematografica. Il problema, dice, è che non c’è più la voce autorevole di un singolo giornalista che può influenzare la sorte di un film. Il pubblico non ha la propria penna di fiducia da leggere per decidere se acquistare un biglietto. Ora la voce è collettiva e spersonalizzata.

Brett Ratner e Martin Scorsese sono d’accordo. Sono preoccupati che si riduca il regista a un produttore di contenuti e lo spettatore a un consumatore poco avventuroso. Per Paul Schrader sebbene gli studio non amino Rotten Tomatoes hanno capito che è un meccanismo che possono manovrare, quindi lo fanno. 

Infine, la terza ragione per cui va analizzato in dettaglio il sito sta proprio nella sua debolezza. Un terzo del pubblico adulto degli U.S.A ha dichiarato di consultare Rotten Tomatoes prima di andare al cinema. Il suo funzionamento, però, si sta dimostrando sempre più fallato. Le regole sembrano non essere uguali per tutti, il sistema è fragile e c’è chi ha trovato il modo per portare a proprio vantaggio queste crepe.

Perché non fidarsi di Rotten Tomatoes?

Basterebbe il caso di Ophelia per rispondere a questa domanda: è molto difficile controllare l’imparzialità sia del sito che delle recensioni. Ancora più difficile è il controllo della percentuale nata dai pareri degli utenti (in passato ci sono stati casi di review bombing). 

Tra i problemi salta agli occhi però un conflitto di interessi. Il sito, prima di proprietà di Flixter, è stato acquisito nel 2011 da Warner Bros. e nel 2016 la compagnia ne ha venduto una parte a Fandango. L’azienda di ticketing è a sua volta parte di Comcast, il conglomerato media di cui la Universal è un’importante divisione. In sintesi: su Rotten Tomatoes ci sono le mani di due studi e una società di vendita online dei biglietti cinematografici. 

Non bisogna fidarsi nemmeno della percentuale di Rotten Tomatoes. Anche senza l’intenzione di influenzarlo, ci sono alcuni contesti o alcune modalità di anteprima che potrebbero intaccare il risultato finale. Vulture indica, ad esempio, come un errore strategico l’anteprima di Indiana Jones e il e il quadrante del destino al Festival di Cannes. In quei luoghi generalmente i blockbuster vengono accolti meno bene rispetto ai film arthouse. Così la percentuale del film iniziò molto bassa (circa 33%) per poi risalire con le normali anteprime stampa. Se avessero fatto uscire le recensioni contemporaneamente, l’impatto sulla reputazione del film sarebbe stato molto migliore. Allo stesso modo non è insolito che si usino gli embarghi per aspettare a rivelare il punteggio di un film fino alla prima proiezione pubblica proprio per limitare i danni o giocare di strategia con quel punteggio. 

Usare il tomatometer per il marketing

L’inchiesta riporta esempi di film con poche recensioni, ma tutte positive. In quella coincidenza fortunata il reparto marketing può decidere di non mostrare ad altri critici il film e fare campagna proprio su quel 100% fresh, chiaramente impossibile da sostenere con un numero maggiore di recensioni. 

Sotto accusa anche la diversità dei critici. Nel 2017 l’82% delle recensioni dei film di maggiore successo era scritta da bianchi e il 78% da uomini. Dal 2018 il sito ha iniziato a prendere in considerazione anche i giornalisti freelance, e le recensioni pubblicate via podcast o YouTube. Di questi nuovi il 50% sono donne e il 24% sono persone di colore. Il sito usa i contributi di 3.500 recensori. Nonostante questi sforzi è molto difficile però rappresentare il valore che un film può avere sulle comunità che rappresenta. Nella percentuale di freschezza entra anche questo bilanciamento socio-demografico dei critici.  

Lo scandalo di Ophelia ha solo mostrato la fragilità di una piattaforma il cui valore è esponenzialmente aumentato. Questo strumento, una guida nelle decisioni di acquisto, ha assunto un’importanza tale da influenzare parte della filiera tirando a sé le prevedibili distorsioni e i tentativi di ritocco. Era una bussola per orientare lo spettatore nelle decisioni d’acquisto. Sta diventando un timone su cui l’industria vuole mettere le mani.

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