Romulus, a pochi metri da Cinecittà World c'è Alba: la nostra set visit

Dov'era allestito, com'era, come si girava e che accadeva sul set di Romulus, la serie tratta da Il Primo Re

Critico e giornalista cinematografico


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Il villaggio di Alba è una lingua di terra tra due boschi. Ci sono capanne in legno, paglia e roccia realmente edificate dalla produzione (circa una decina) e ci sono le porte della città, un portone grandissimo ai cui lati parte un accenno di cinta muraria fatta di pali di legno (il resto, va da sé, sarà aggiunto in computer grafica). Se quello è l’inizio del villaggio dietro, alla fine, c’è un promontorio nelle cui radure spunta un’altra capanna che pare un po’ più grande delle altre, lontana, isolata e in alto. Si intuisce che da lì sia possibile guardare tutto il villaggio (e dev’essere pura una bella vista, cioè una gran bella inquadratura). È il tempio di Vesta.

ROMULUS: SUL SET DELLA SERIE DI MATTEO ROVERE

Molto è stato costruito e molte altre capanne saranno aggiunte in post-produzione sul set di Romulus, di più di quanto non avessimo visto costruito quando andammo sul set di Il Primo Re (che del resto solo tangenzialmente era ambientato in un villaggio) ed è stato fatto in maniera più strutturata. Qui la storia è quella di una comunità stanziata e il posto in cui vivono, si capisce, è determinante. Come spiegato durante la conferenza stampa i protagonisti sono tre ragazzi, con tre ruoli diversi che a modo loro sono parte del grande cambiamento che nell’ottavo secolo avanti cristo ha davvero investito tante piccole tribù unendole per creare Roma.

È un set realizzato dietro Cinecittà World, come ci aveva spiegato lo scenografo, per arrivarci passiamo dietro ai resti di altri set curiosamente simili (c’è l’arena del finale del Ben-Hur di Bekmabetov) e qui Matteo Rovere, che della serie è supervisore, cioè showrunner, nonché uno dei registi assieme a Michele Alhaique e Enrico Maria Artale, sta girando una scena abbastanza intensa tra due fratelli, uno dei quali è Andrea Arcangeli che dei tre protagonisti è il re spodestato in cerca di trono (gli altri sono lo schiavo orfano Francesco Di Napoli e la vestale Marianna Fontana).

I due fratelli hanno un alterco potente (tutto rigorosamente in latino pre-arcaico ma la produzione è così gentile da fornirci di fogli con la trascrizione e traduzione del dialogo), questo confronto trascende velocemente sul piano fisico, si buttano a terra e uno dei due sguaina una spada che sta attaccata alla bisaccia di un cavallo di fronte la loro capanna. Il cavallo non lo vediamo (nell’inquadratura è come se la videocamera fosse al posto suo, quindi quando vengono a prendere la spada si avvicinano all’obiettivo) e l’indicazione di Rovere è chiara: “No ti prego la quinta della spada è di un cheap inenarrabile. Non fatemi vedere niente, né quella né il cavallo”. E in effetti da una sbirciata nel suo monitor non ha tutti i torti, sono quei dettagli che ti evitano di sconfinare nella programmazione pomeridiana delle reti Mediaset.

La spada quindi penzola da un sostegno in metallo anacronistico (ovviamente non inquadrato), in modo che possa essere presa quando è il momento. Ma il punto di tutto è il confronto emotivamente probante. Parte il primo ciak. Ci sono delle correzioni però, i due si sono parlati con toni un po’ troppo teneri e invece “Oh, so fratelli!”, devono essere più duri. Secondo ciak. Altra correzione. La spada forse è meglio prenderla un po’ dopo e far capire con le espressioni che prima è stata maturata l’idea di prenderla, anche perché come indicato non è di quinta, cioè non la vediamo inquadrata vicina all’obiettivo ma idealmente è sotto o dietro.

Quando regista e attori parlano per intendersi sul punto in cui compiere certi gesti o lavorare su certe espressioni usano i termini latini delle battute misti all’italiano “Mehei eyondmost, e poi ti giri”, “Ne kapio, più duro capito? Ne kapio! Ne kapio!!”. Intanto di sfondo c’è un nitido rumore di metallo contro metallo, come fosse un martello contro un’incudine ma non è chiaro da dove venga né se sia intenzionale o meno.
Dietro la videocamera ci saranno 40 persone mentre i due attori cercano di portare a termine una sequenza importante. Non è un film e quindi il passo delle riprese è un po’ più svelto e paradossalmente un momento abbastanza intenso è girato senza la ponderosità che ci si aspetterebbe. C’è meticolosità e attenzione, quello sì, ma anche quel rinfrescante atteggiamento che hanno le serie televisive, quella capacità di essere curate ma rapide, avere tanto da dire e non fare di nulla davvero un dramma (anche quando lo è).

Ci sono pannelli ovunque, è una giornata di sole molto forte e un grande pannello bianco dalla base di 3 metri è retto da un camion attrezzato con braccio mobile, serve a riflette la luce del sole sulla scena. Un altro nero più piccolo e più vicino è retto da alcuni membri della troupe e serve ad attenuare quella luce. Vladan Radovic è il direttore della fotografia (e non più Daniele Ciprì come in Il Primo Re) professionista dalla mano pesante e l’occhio finissimo, sempre riconoscibile (le color correction estreme di Smetto Quando Voglio, Tutti i Santi Giorni e Figlia Mia, i neri di Anime Nere, i chiaroscuri di Il Traditore, i colori vivaci di Lasciati Andare).

Per terra ci sono i segni che indicano agli attori dove stare quando compiono certe azioni (così che l’inquadratura venga come deve venire), Matteo Rovere supervisiona tutto a due metri dalla scena guardando in uno schermino piccolo ciò che viene ripreso già colorcorretto, per farlo si mette un panno nero sulla testa tipo fotografo ottocentesco così da creare il buio e poter vedere bene lo schermo.
Più andiamo avanti con i ciak più la recitazione si fa animalesca, come se i primi avessero degli scampoli di civiltà che ogni volta bisogna un po’ lavorare per levare. Più sbuffi di naso, parole più sbiascicate e meno chiare, gesti più repentini e brutali.

Intanto dietro passano le comparse in costume da pastori (il basso Lazio è tutto un pastorello del resto come già dieci anni fa diceva Stanis Larochelle) ed è apprezzabile che Romulus non abbia rinunciato ad uno dei tratti migliori di Il Primo Re: le facce. Nonostante i protagonisti (come sempre avviene nelle produzioni in costume) abbiano volti inevitabilmente moderni, intorno a loro sì muove un’umanità che anche a vederla lì, dal vivo ha volti incredibili, duri, che paiono stonare con il nostro tempo e appartenere molto più a quello. Certo c’è il trucco di mezzo, tuttavia…

ROMULUS: I DETTAGLI SULLA SERIE

Romulus è una serie Sky Original prodotta da Sky, Cattleya e Groenlandia. La distribuzione internazionale è di ITV Studios Global Entertainment. Le sceneggiature sono firmate da Filippo Gravino (Veloce come il vento, Alaska, Fiore, Il primo re), Guido Iuculano (Una vita tranquilla, Tutto può succedere, Questione di cuore, Alaska) e lo stesso Matteo Rovere.

Le puntate saranno dirette da Rovere, Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale. I protagonisti saranno Andrea Arcangeli, Marianna Fontana e Francesco Di Napoli, affiancati da Giovanni Buselli, Silvia Calderoni, Sergio Romano, Demetra Avincola, Massimiliano Rossi, Ivana Lotito, Gabriel Montesi e Vanessa Scalera

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