Roman Polanski: un arresto tra realtà e finzione

Mentre nel mondo si sprecano le parole di sostegno al celebre regista arrestato, può essere utile ripercorrere approfonditamente come si è arrivati a questo punto, tra leggende metropolitane da sfatare e idee confuse sui fatti di quella sera d'estate del 1977...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Non c'erano molti dubbi che i giornalisti (italiani e internazionali) si sarebbero scatenati nel parlare di Polanski. Ed era anche ovvio che, oltre ai soliti, banali discorsi sulla realtà che imita l'arte (a cui ovviamente i film surreali di questo regista si prestano perfettamente), abbiamo letto fin troppi riferimenti al suo tragico passato, dalle esperienze nel ghetto di Varsavia durante la guerra alla tragica morte di Sharon Tate, che per qualcuno sarebbe la causa di alcuni suoi comportamenti eccessivi (peccato che passarono quasi dieci anni tra i due fatti). Si arriva insomma a considerare Polanski quasi una vittima, si parla di "incubo" e si sostiene che "neanche adesso riesce a sfuggire al destino dell'assedio" (Fulvia Caprara, La Stampa).

A questo punto, come già temevo ieri, è arrivata (come rivela oggi il Corriere) la petizione di diversi artisti cinematografici internazionali, che chiedono la liberazione del regista. Tra questi, Monica Bellucci, Ettore Scola, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore (che ci aveva lavorato insieme per Una pura formalità e che si augura che possa tornare a lavorare presto), Gilles Jacob (patron del festival di Cannes), Bertrand Tavernier, Costa-Gavras, Wong Kar-Wai e Fanny Ardant (che d'altronde, essendo simpatizzante dei terroristi italiani, mostra una certa coerenza ideologica). Luca Barbareschi (sempre sul Corriere) arriva a dire che in un'intervista la ragazzina avrebbe detto di essere stata consenziente quella notte (semplicemente falso).

Imbarazzante anche la dichiarazione di Frédéric Mitterrand, ministro della cultura francese (e storico curatore per chi scrive di una serie di film d'autore che passava ogni settimana su France 2), che come riporta Repubblica si ritiene "stupefatto di apprendere la cattura di un cittadino francese, che è anche un regista di fama internazionale". Verrebbe da pensare che "un regista di fama internazionale" sia al di sopra della legge. Intanto, Marina Zenovich, autrice di un documentario proprio du questa vicenda, Roman Polanski: Wanted and Desired, si chiede "Quanto tempo una persona deve pagare per un crimine?" (risposta semplice: e chi dice che abbia pagato?).

E allora, è venuto il momento di fare un po' di chiarezza. Samantha Geimer, in quella notte dell'agosto del 1977, era nella villa di Jack Nicholson con Polanski per un servizio fotografico. I due erano da soli, cosa che attualmente non sarebbe possibile (se non sbaglio, proprio in seguito a questi fatti si è previsto che ragazzini di questa età non possano lavorare senza la supervisione di un adulto). Le prime accuse citate (stupro, droghe, ecc.) derivavano tutte dal racconto della ragazza ed erano assolutamente comprovate. Il problema è che poi la ragazza ha deciso di non testimoniare perché spaventata dall'interesse mediatico e quindi chi gestiva l'indagine si è reso conto che avrebbe avuto grosse difficoltà a far condannare Polanski per quelle accuse senza la testimonianza della vittima. E' la ragione per cui si è arrivati a quell'accordo, con cui Polanski era convinto che avrebbe soltanto passato un periodo in un ospedale psichiatrico (in effetti, è rimasto 42 giorni dei 90 previsti) e poi magari se la sarebbe cavata senza andare in galera. Quando invece il giudice ci ha ripensato e si è capito che non se la sarebbe cavata con poco, Polanski è fuggito. Su questo punto, va fatta chiarezza. E' vero che il comportamento del giudice, come sostiene la stessa Zenovich nel suo documentario, è stato assolutamente censurabile e indegno di un uomo al di sopra delle parti. Ma questo non giustifica certo le azioni di Polanski, allo stesso modo in cui il comportamento irresponsabile della madre è sicuramente esecrabile, ma non conta nulla nell'ambito delle responsabilità legali del regista.

Lo racconta lei stessa, anche se in due modi differenti. In una intervista nel 2003, il periodo in cui Il pianista era in corsa per gli Oscar, rivela che la storia iniziò nel 1977, dopo che Polanski chiese alla madre della Geimer se poteva fotografarla per una rivista francese, ricevendo il consenso della donna. "Mia madre e io pensavamo che le foto avrebbero aiutato la mia carriera di attrice", sostiene 28 anni dopo l'allora ragazzina, "perché volevo diventare una star del cinema. Avevo fatto delle pubblicità, ma non volevo diventare una modella e pensavo che questo sarebbe stato utile".

Le cose però non andarono come sperato. "Tutto procedeva bene, ma poi mi ha chiesto di cambiarmi di fronte a lui. Non mi sentivo a mio agio e non volevo tornare per una seconda sessione di foto. Ma all'epoca non avevo una tale sicurezza da dire a mia madre e a tutti gli altri che non desideravo farlo".

E in questa seconda sessione che avvengono i fatti che incriminano Polanski. "Abbiamo fatto delle foto in cui io bevevo champagne e verso la fine ho capito che lui aveva intenzioni diverse e che io mi trovavo dove non dovevo essere. Solo che non sapevo come uscirne". Polanski le diede quindi, oltre allo champagne, dei Quaalude (un tranquillante). "Ho detto no diverse volte e poi alla fine ho ceduto".

E poi arriva ovviamente il circo mediatico, con i giornalisti che accusavano lei e la madre di aver organizzato tutto per ricattare Polanski, tanto che ancora adesso tra i sostenitori del regista c'è chi parla di festini in quell'occasione. Cosa assurda, almeno nel caso della ragazzina, perché non si capisce allora come mai non abbia ceduto alle offerte del regista fin dalla prima occasione e soprattutto non abbia sfruttato in nessun modo (un libro, un adattamento cinematografico vendendo i diritti della sua storia) gli eventi che le sono capitati. La pressione dei mass media è un punto che dimenticano tutti ed è stata quella la ragione fondamentale per cui la ragazzina decise a un certo punto di non voler testimoniare al processo, lasciando in grossa difficoltà chi portava avanti l'indagine, tanto da spingerli a trovare un accordo provvisorio in cui l'unica accusa che rimaneva in piedi (da quelle iniziali di stupro grazie all'utilizzo di droghe, perversione, sodomia, atti lascivi e immorali con una ragazza sotto i 14 anni e aver fornito una sostanza che ha bisogno di una ricetta a un minore), era quella di aver avuto rapporti sessuali illegali con una minorenne.

A dire il vero, la prima testimonianza dell'epoca di fronte alle persone che indagavano è anche molto più cruda e si può trovare qui (la parte più grave inizia a pagina 28), anche se 'stranamente' oggi pochissimi la citano (e mi pare nessuno in Italia). Al di là dei dettagli raccapriccianti, è anche il tono delle dichiarazioni ciniche e spietate di Polanski a indignare. Certo, stiamo parlando della versione dei fatti della ragazza, che magari non è completamente vera (anche se l'onestà con la quale risponde a domande sulla sua vita privata è notevole, nonostante sia controproducente per la sua posizione e reputazione), ma non avendo una spiegazione vera e propria del regista di questo ci dobbiamo accontentare.

E così le leggende sono continuate. Se è vero che la vittima ha perdonato Polanski (anche se va ricordato che c'è stato un indenizzo economico da parte del regista, fatto certo non trascurabile), questo non significa che la giustizia non debba seguire il suo corso. Eppure, molti giornalisti oggi si concentrano sulle parole della Geimer a proposito del giudice e le critiche che gli vennero fatte sul suo comportamento. Tutto giusto, ma è il punto fondamentale? Il fatto che il giudice volesse farsi pubblicità rende Polanski una vittima?

In conclusione, se l'autore di questi fatti fosse stato un commercialista/idraulico/imbianchino/chivipareavoi, non ne staremmo neanche discutendo perchè si sarebbe fatto tranquillamente i suoi anni di galera. Invece, Polanski se l'è cavata con una quarantina di giorni in un istituto e un ricco esilio tra Parigi, la Polonia e le piste da sci a Gstaad, non proprio il peggior destino possibile. Visto che qui abbiamo un regista geniale ne discutiamo, forse perché c'è chi ha difficoltà ad accettare che chi ci ha regalato dei grandi film possa essere un mostro nella vita privata...

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