Roma 2017 - Ian McKellen incontra la stampa

Ecco l'incontro con la stampa del grande Ian McKellen, ospite alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma per presentare un documentario a lui dedicato

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Non ha mai vinto l'Oscar e questo per alcuni è un vero e proprio scandalo perché a soffiarglielo nel 1999 fu il nostro Roberto Benigni per La Vita È Bella. La prova attoriale di Benigni fu ritenuta superiore rispetto a quella di McKellen in Demoni e Dei (1998) di Bill Condon dove interpretava il regista horror James Whale. È stato la Morte del Settimo Sigillo di Ingmar Bergman nel poco ricordato Last Action Hero (1993) di John McTiernan e poi, ovviamente, ha indossato cappello ed elmo di due personaggi piuttosto iconici del cinema del nuovo millennio come Gandalf nella saga Il Signore Degli Anelli e Magneto in X-Men dai fumetti Marvel.
Ian McKellen è presente alla dodicesima edizione della Festa di Roma per presentare il documentario dedicato alla sua vita e carriera McKellen: Playing The Part di Joe Stephenson. Alla conferenza stampa ha partecipato anche il regista.

Perché oggi pare essere molto sorridente?
Ian McKellen:
 Di solito dico sempre che c'è da piangere nel mondo ma oggi mi sento particolarmente sorridente perché è una bellissima giornata a Roma.

Come è nato il documentario?
Ian McKellen: Ho incontrato il regista Joe Stephenson a Londra dopo aver visto il suo notevole primo lungometraggio da regista Chicken. Mi era piaciuto così tanto il suo film che quando mi ha proposto di realizzare un documentario su di me ho detto incoscientemente di sì.

Come è stato per un gigante della scena teatrale come lei passare da Shakespeare a X-Men e Il Signore Degli Anelli?
Ian McKellen: Dopo due minuscole chance cinematografiche proprio qui a Cinecittà dove ho fatto un provino per Barbarella e uno per un ruolo di un bandito siciliano... ho cominciato a lavorare assiduamente a teatro anche perché ero stato scartato da quei due film. Ho lavorato tanto a teatro prima di avere altre chance importanti al cinema e incredibilmente ho avuto questa possibilità a 60 anni con X-Men e Il Signore Degli Anelli. Lo dico sempre ai miei colleghi più giovani: "Non vi distraete, non pensate alla celebrità e prima o poi potreste avere anche voi il vostro colpo di fortuna". Forse se mi avessero preso per quel ruolo di bandito siciliano... avrei fato così schifo da non avere più una possibilità con il cinema.

A 49 anni lei ha dichiarato di essere omosessuale. Quanto cambiò la sua vita?
Ian McKellen: Un gay che dichiara pubblicamente la sua omosessualità fa la cosa più intelligente possibile. La mia vita dopo quella scelta migliorò radicalmente. Migliorò dal punto di vista sessuale, professionale ed esistenziale in generale perché ero più rilassato. Per alcuni non è facile farlo per via dei genitori che hanno o per il lavoro o per paura di perdere il lavoro. Dopo la mia pubblica confessione, la mia carriera è letteralmente esplosa per cui non posso che raccomandarlo a tutti.

Nel documentario dice che lei ha deciso di non avere figli per dedicare tutte le sue energie al suo lavoro. Non ha mai pensato di adottare un figlio?
Ian McKellen: Voi non dovete mai dimenticare che quando io ero un gay di ventinove anni... era illegale per me fare sesso in Inghilterra quindi figuratevi se potevo mai pensare all'epoca di avere dei bambini. Non voglio avere bambini sia perché ho superato quella fase della vita in cui avrei potuto averli sia perché molto sinceramente... penso che la cosa migliore dell'essere gay sia il fatto di non dovere avere figli. Se gli altri li vogliono ok. Ma per me è troppo tardi. Ho i miei fan che sono molto giovani. Per me è come se fossero dei figli. E di loro... non devo occuparmi della loro scolarizzazione!

Per il regista: Come ha dato questo aspetto così cinematografico al documentario?
Joe Stephenson: Non volevo che fosse un prodotto televisivo per cui ho chiesto a Ian di darmi quante più foto e materiale cartaceo possibile. Volevo che gli spettatori si innamorassero lentamente di Ian per cui mi serviva anche un inizio cadenzato e lento di natura squisitamente cinematografica.

Sir McKellen: qual è il suo rapporto con Eduardo De Filippo dopo aver recitato nel suo Il Sindaco Del Rione Sanità?
Ian McKellen: Eduardo De Filippo... non è proprio italiano... è napoletano, vero? (risate in sala perché si coglie al volo la battuta sulla peculiarità partenopea nella nostra cultura italiana). Non l'ho mai visto recitare a teatro anche se lui arrivò con la sua compagnia a Londra nel 1960. Quando recitai ne Il Sindaco Del Rione Sanità venne a vedermi sua moglie vedova dicendomi che gli somigliavo moltissimo. Una volta ho avuto l'occasione di recitare un pezzo de La Tempesta di Shakespeare accanto a lui che lo recitava in napoletano mentre Strehler lo faceva in italiano. Eravamo a Milano in quel frangente. Che posso dirvi? Una grande parte del mio cuore appartiene ad Eduardo De Filippo.

È diverso recitare per il teatro e per il cinema?
Ian McKellen: Sì e no. A teatro gli spettatori sono fermi mentre al cinema è la camera che ti guarda e ti segue ovunque. Bisogna trattare la camera come fosse un'amica e recitare il meno possibile.

Quale è stato il personaggio da lei umanamente più distante nella sua carriera?
Ian McKellen: Non so rispondere correttamente a questa domanda. Da giovane pensavo che la recitazione fosse un travestimento. Poi invecchiando ho cambiato idea e ora la vedo come una rivelazione. Oggi mi sento in grado di fare qualsiasi cosa. Con l'immaginazione posso interpretare qualsiasi tipo di personaggio

Cosa è cambiato dopo Gandalf?
Ian McKellen: Mi hanno sempre chiesto di fare il vecchio anche se più vecchio di Gandalf... può esserci solo Dio... forse. Ho rifiutato Silente in Harry Potter perché ero stato già un mago e non mi andava più di interpretarlo.

Come è cambiato il rapporto con la tecnologia nel passaggio da Il Signore Degli Anelli a Lo Hobbit?
Ian McKellen: Non troppo. Non abbiamo mai esagerato troppo con il green screen. Tutti i campi larghi ci vedevano stare nei paesaggi neozelandesi. E poi il green screen è esattamente come a teatro, solo che lì lo chiamiamo quinte scenografiche. Non ho mai avuto troppo problemi con il green screen tranne che in rarissime occasioni.

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