Roma 2010 - Tra Springsteen e Servillo
Presentati al Festival della capitale Una vita tranquilla di Claudio Cupellini, pellicola che non entusiasma, e un documentario sul Boss Bruce Springsteen, fin troppo agiografico...

A cura di ColinMcKenzie
Una vita tranquilla (Concorso)
Diciamo subito una cosa semplice semplice: per ora, Una vita tranquilla è di gran lunga il miglior film italiano che ho visto qui al Festival. Altra cosa semplice semplice: è comunque una pellicola mediocre, per tante ragioni. La storia di un paio di camorristi che vanno in Germania per compiere un omicidio e intanto risolvere (per quanto riguarda uno di loro) delle questioni familiari, sembra molto orientata sulla cronaca recente, ma meno attenta a questioni più sottilmente cinematografiche.Si possono trascurare banalmente aspetti importanti di trama, con diverse incongruenze e cose che non funzionano. E si possono allungare eccessivamente i tempi, dilatando la storia soprattutto nella prima parte, mentre in altri punti si dà vita a tante cose prevedibili. L'impressione è che il regista Claudio Cupellini tenti di dar vita a una sorta di A History of Violence diretto da Paolo Sorrentino (e in questo senso, impossibile non pensare a Le conseguenze dell'amore). Certo, il titolo di dolly più inutile dell'anno dovrebbe vincerlo senza problemi.
Va apprezzato invece il modo in cui Toni Servillo, dopo il one man show di Gorbaciof, si contiene maggiormente, anche se ogni tanto la 'servillata' scappa. In tutto questo, è inevitabile una domanda purtroppo consueta per il pubblico italiano: che pubblico dovrebbe esserci per un prodotto del genere?The Promise: The Making of Darkness on the Edge of Town (sezione Extra)
Premessa (importante): il sottoscritto è cresciuto con le canzoni di Bruce Springsteen, di sicuro una presenza costante dai 14 ai 18 anni (poi decisamente meno, ma l'affetto rimane). Premessa (meno importante): non ho mai considerato Darkness on the Edge of Town uno dei suoi album migliori, come invece viene dato per scontato in questo documentario.Si parte dall'enorme successo di Born To Run e dal fatto che, invece di proseguire su quella strada, il musicista decide di cambiare rotta, sia in senso personale (una difficile causa legale con il suo ex manager) che in senso artistico, come dimostrato dal grande numero di canzoni composte.
Di sicuro, il regista Thom Zimmy ha a disposizione un materiale d'archivio fantastico, così come la piena disponibilità della E-Street Band, compreso lo stesso Springsteen. E' però un'arma a doppio taglio. Da una parte, è bello vedere una confessione a cuore aperto del musicista e delle immagini molto stuzzicanti (segnalerei soprattutto i duetti tra Little Steven e il Boss). D'altro canto, in questo modo il lavoro diventa assolutamente agiografico, con una mancanza di un'analisi vera e propria, mentre i suoi colleghi continuano a dire che è un genio e Springsteen parla di sé in maniera fin troppo seriosa. Forse era anche un mio problema di stanchezza personale, ma devo dire che è stata veramente dura arrivare fino alla fine. Decisamente un prodotto solo per ultrafan...