Rocky II, Stallone aveva già capito tutto
Rocky II dovrebbe venire insegnato nei manuali di cinema in quanto esempio perfetto di come si fa il sequel di un capolavoro
In attesa dell’uscita di Creed 3, il primo film della saga di Rocky Balboa senza Sylvester Stallone, facciamo un ripasso dell’intero franchise. Oggi proseguiamo con Rocky II, il sequel perfetto
Uno su tutti: John Avildsen stava lavorando a La febbre del sabato sera, e non era quindi disponibile per girare un sequel di Rocky. Oggi il problema non si porrebbe perché si fa relativamente meno attenzione al nome di chi sta dietro la macchina da presa. Soprattutto, oggi sono pochissimi quelli che potrebbero permettersi di fare quello che fece Sly, ancora una volta unico autore della sceneggiatura: mettere il veto a qualsiasi altro nome che non fosse il suo, per quella che sarebbe stata la sua seconda regia dopo il flop (immeritato) di Taverna Paradiso. Una volta assicuratosi di avere il pieno controllo del progetto, convincere il resto del cast del primo film fu ovviamente un gioco da ragazzi.
A differenza del primo film, scritto in pochi giorni da un uomo disperato che riversò tutte le sue frustrazioni ma anche le sue speranze in una storia meta-cinematografica mascherata solo in parte, Rocky II prese forma con tutta la calma del mondo, e si vede. Stallone aveva davanti a sé il modello del primo film, e sapeva che funzionava. Invece di rivoluzionarlo e inventarsi una storia completamente diversa con lo stesso protagonista, decise di lavorare di lima, e di rifare di fatto il primo film esagerandone alcune componenti per aumentarne l’impatto. Rocky era (anche) un dramma da tinello con protagonista un perdente; Rocky II spinge l’acceleratore sul lato drammatico, facendo leva sul fatto che Robert Balboa e Adriana Pennino si sono sposati. Il lato romance di Rocky era la storia di due solitari che fuggono dalla loro solitudine nella rispettiva compagnia perché tanto nella peggiore delle ipotesi se le cose vanno male si ritrovano al punto di partenza – soli; in Rocky II, Rocky e Adriana sono una famiglia, con responsabilità reciproche e una vita in arrivo.
Potremmo andare avanti. In Rocky, Adriana spingeva Rocky a combattere e a credere in sé stesso; in Rocky II, prima lei compie il massimo tradimento (chiede a Rocky di smettere di combattere), poi entra a gamba tesa nel dramma cadendo in coma in concomitanza con la nascita del figlio, solo per uscirne con un messaggio chiaro per il marito: “Vinci”. In Rocky, Robert Balboa si allenava prendendo a pugni pezzi di carnazza; in Rocky II passa direttamente a prendere a martellate dei grossi pezzi di ferro. È tutto scritto per essere “come il primo, ma di più”: esattamente quello che il pubblico avrebbe imparato ad aspettarsi per il decennio successivo (pensate a quanto venne accolto relativamente male un sequel “diverso” come Il tempio maledetto).
(l’unica eccezione è il lato meta- di Rocky II: all’inizio del film, Rocky si trova a confrontarsi con l’inatteso successo e la sua incapacità di gestirlo, in quella che con ogni probabilità è la messa in scena delle paure dello stesso Stallone – rivelatesi poi infondate)
E a proposito di meta: forse la scena che meglio illustra il rapporto tra Rocky e Rocky II è il reprise della corsa sulla scalinata di Philadelphia, che nel primo film Rocky percorreva in solitario, dimostrando a sé stesso di poter andare oltre i suoi stessi limiti. Nel sequel, Rocky è accompagnato da una fitta folla di bambini esaltati, che stanno seguendo non solo lui ma direttamente il sogno americano – sono i fan di Rocky ma sono anche i fan di Rocky, insomma. Stallone lo sapeva mentre scriveva il film, sapeva di avere almeno un pezzo di America ai suoi piedi, che non aspettava altro che vederlo salire un’altra volta sul ring per dimostrare non tanto di essere il più forte, quanto di potercela fare.
Perché, allora, se è tutto così perfetto, abbiamo scritto che Rocky II non è un capolavoro? Perché per la sua stessa natura di sequel, di +1, non aveva possibilità di chiudersi in modo pienamente soddisfacente, né di superare il finale perfetto del primo. Se ci pensate è un problema senza soluzione nel momento in cui la storia del film si riassume in “Rocky e Apollo: la rivincita”. Far finire il film con una vittoria netta di Rocky l’avrebbe banalizzato; far vincere Apollo avrebbe significato riavvolgere il percorso di crescita di Rocky e riportarlo al punto di partenza. Finire con un teorico pareggio e una vittoria tecnica di Apollo sarebbe stato… be’, il primo film.
Ribaltare la situazione, e far vincere Rocky solo grazie a un ultimo, supremo atto di resistenza (rialzarsi per tempo dopo un doppio quasi-KO) era l’unica soluzione possibile, e per questo telefonata fin dall’inizio. E in fondo anche questa è una lezione che Stallone imparò grazie a Rocky II, come dimostrerà tre anni dopo con Rocky III.
Ne parliamo tra una settimana.