RocknRolla va in troppe direzioni contemporaneamente

RocknRolla è un ritorno alle origini per Guy Ritchie, che però si fa prendere troppo la mano dalla sua passione per le storie intrecciate

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Quando nel 2008 si mette al lavoro sul suo quinto film RocknRolla, arrivato in questi giorni su Netflix, Guy Ritchie attraversa quello che forse è ancora oggi il momento più difficile della sua carriera. Dopo essersi fatto un nome con due commedie thriller criminali molto British come Lock&Stock e The Snatch, il regista inglese si era impantanato in due flop consecutivi – seppur per motivi molto diversi –, e anche a livello personale le cose non vanno al meglio, visto che il suo matrimonio con Louise Veronica Ciccone nota come Madonna sta per finire, con tutta la coda lunga delle voci sul costosissimo accordo di divorzio che accompagneranno la coppia per qualche mese. Non stupisce quindi che il risultato di questo periodo di turbamenti vari, cioè per l’appunto RocknRolla (guarda il trailer), sia un clamoroso ritorno alle origini per Ritchie, talmente entusiasta di ricominciare a fare quello che gli viene meglio da farsi prendere la mano e riempire il suo film di talmente tante parti in movimento che quando compaiono i titoli di coda è inevitabile chiedersi “mi è sfuggito qualcosa?”.

Lock&Stock e The Snatch vennero salutati, con grande gioia del loro regista, come una sorta di risposta inglese a Tarantino, o una sua versione sotto steroidi: dialoghi taglienti e a mitraglia, violenza estetizzata, cultura pop che gronda da ogni inquadratura, a cui va aggiunta (è la parte sugli steroidi) la passione per il montaggio frenetico e ipercinetico e un abbondante uso di slow motion e riprese accelerate per tenere sempre e comunque alto il ritmo. Senza dimenticare che i primi due film di Guy Ritchie fanno anche molto ridere; ed è un dettaglio importante, perché la mancanza di umorismo è il motivo per cui critica e pubblico affossarono Revolver (che è un film imperfetto e troppo complicato per il suo stesso bene, ma non così terribile come viene solitamente dipinto) e in un certo senso anche Travolti dal destino (che ha una lista lunga così di difetti ulteriori che non staremo a rivangare qui).

RocknRolla One Two

Tutto questo per dire che RocknRolla è chiaramente figlio delle critiche ricevute da Ritchie per i due film precedenti, e dalla sua voglia di tornare a muoversi in territori familiari, non solo in senso letterale ma anche di tono del racconto. E quindi tornano i soliti criminali londinesi squinternati ma forse in fondo tutto sommato buoni, tornano i soliti criminali londinesi marci fino al midollo e talmente cattivi da diventare caricaturali, e torna la solita vicenda intricatissima e costruita intorno a uno o più MacGuffin che sono in realtà una scusa per disegnare un ritratto di Londra (di una certa Londra, almeno) e dei suoi abitanti più pittoreschi. E torna la voglia di divertirsi con le parole e con la violenza che mancava nei due film precedenti, e in particolar modo in Revolver, che se non fosse così ostinatamente serioso sarebbe stato ricevuto in tutt’altro modo.

La vicenda di RocknRolla è, ancora una volta come da tradizione, un coro a più voci. C’è una banda di criminali più o meno da strapazzo, il Mucchio Selvaggio, che comprende One Two (Gerard Butler lasciato libero di esprimere il suo peggior accento scozzese), Mumbles (Idris Elba, sottosfruttatissimo) e Handsome Bob (un giovane e già magnifico Tom Hardy), che viene coinvolta in un lavoretto apparentemente semplice da Stella (Thandie Newton), contabile della mafia e palesissima femme fatale che chiede ai tre di intercettare una valigetta che contiene sette milioni di sterline. C’è la persona a cui questi soldi appartengono, Uri (Karel Roden), oligarca russo che si sta comprando pezzi di Londra e ha bisogno del denaro per oliare il meccanismo burocratico, e lo farà grazie all’aiuto di Lenny (un clamoroso Tom Wilkinson), mafioso locale un po’ in declino che soffre a vedere la sua città passare nelle mani degli “immigrants” e che si fa aiutare nelle sue imprese dal gelido e minacciosissimo Archy (Mark Strong, che è uno dei migliori caratteristi al mondo e qui lo conferma a gran voce). E poi c’è Johnny Quid (Toby Kebbell), rocker maledetto, tossicodipendente e figliastro di Lenny, che muore all’inizio del film e ciononostante diventa uno degli elementi più importanti della storia.

Johnny Quid

Se avete perso il conto, stiamo parlando di quattro/cinque storyline diverse che si intrecciano (ce ne sarebbero altre minori, ma facciamo finta di nulla) e che ruotano tutte intorno a un sacco di soldi e a un misterioso quadro – mai inquadrato di fronte, il tentativo di Ritchie di replicare la valigetta di Pulp Fiction – che passa di mano in mano e che a sua volta è solo una scusa e un simbolo di un passaggio di consegne che è il vero, grande tema del film. È vero, RocknRolla è la storia di One Two, Mumbles e Handsome Bob e di come finiscano invischiati in qualcosa di più grosso di loro; ma è soprattutto la storia di Lenny, patriarca di una malavita in via d’estinzione perché soppiantata da pesci più grossi che arrivano dall’estero. È la storia della caduta di un impero: criminale, certo, ma perfettamente integrato nella società civile, e le cui armi migliori non sono mitragliatori e tirapugni ma permessi edilizi, regali ai politici e mazzette. È un ritratto cinico di Londra (ma potrebbe applicarsi a qualsiasi grande metropoli occidentale) e dei suoi meccanismi, ma che non nasconde un certo affetto per i suoi abitanti, non importa quanto siano immorali o disgustosi.

La scelta di spostare l’attenzione verso l’alto sulla scala sociale permette tra l’altro a Ritchie di, in pratica, rifare Lock&Stock e The Snatch in versione classy. In RocknRolla non c’è solo il sottobosco criminale, ma anche il rispettabilissimo e ben vestito mondo della politica e della burocrazia; di più: non ci sono poliziotti, detective, agenti segreti, nessuno dei personaggi coinvolti nella mega-truffa si preoccupa mai delle forze dell’ordine ma agisce come se il proprio comportamento fosse la normalità, anzi necessario a far funzionare anche le parti rispettabili della società. Stella in particolare è una figura nuova nel canone Ritchie-ano, ed è un vero peccato che man mano che il film procede a rotta di collo verso la sua conclusione il personaggio di Thandie Newton perda gradualmente consistenza e si trasformi in un cartonato utile a portare avanti la trama, fino a sparire nel nulla in un finale che se la dimentica per strada insieme a un altro paio di linee narrative.

È simbolico di quello che è il più grosso problema di RocknRolla, che è un problema di entusiasmo: Ritchie ha immaginato un universo criminale ricchissimo e non è riuscito a trattenersi, e l’ha stipato all’inverosimile di figure chiaramente pensate per crescere nell’arco di tre capitoli (RocknRolla si conclude con un fermo immagine che promette che “Johnny, Archy e il Mucchio Selvaggio torneranno in The Real RocknRolla”), e che nel corso delle due ore di film non sempre hanno tempo per respirare e ritagliarsi il loro spazio. Non sta mai bene che la critica suggerisca a un autore come avrebbe dovuto fare il suo film, ma è impossibile guardare RocknRolla e non pensare che almeno un paio di linee narrative si potessero sacrificare sull’altare della semplicità senza che il film ne perdesse in chiarezza – alla fine quel che conta non è esattamente in che modo A ha fregato B, ma la considerazione che nel mondo di Ritchie tutt* stanno sempre cercando di fregare tutt* anche quando sarebbe più furbo non farlo, e vincere è più una questione di faccia da poker e capacità di non farsi beccare che altro.

Detto tutto ciò, RocknRolla è anche e soprattutto questo, alla faccia di tutti i difetti:

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

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