RoboCop 3 è un film spuntato

Scegliendo di rinunciare all’ultraviolenza dei primi due capitoli, RoboCop 3 perde anche tutto il suo impatto, e diventa un giocattolone

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RoboCop 3 è su Amazon Prime Video

Provate a chiedere a un fan di RoboCop di dire le prime parole che gli vengono in mente quando pensa al suo franchise preferito. Siamo sicuri che tra queste comparirà anche “violenza”: lungi dall’essere solo pornografia del dolore, sangue e budella sono sempre state un ingrediente fondamentale della feroce satira inventata da Paul Verhoeven ed Edward Neumeier e ripresa poi, con piglio ancora più cupo, da Frank Miller. Ecco, RoboCop 3 è un film che ha tanti pregi, o per lo meno qualche pregio, ed è sicuramente meno disastroso di quanto incassi e critica dell’epoca possano far pensare. Ma è anche un’opera con un difetto fondamentale, che è quello di non riconoscere la natura intrinsecamente violenta del personaggio e del mondo in cui vive, e di proporci quindi il primo caso di RoboCop sciacquato e insipido.

RoboCop 3 e gli investitori esterni

RoboCop 3 riprende da dove ci eravamo lasciati, e non a caso: la sceneggiatura – per lo meno la sua prima stesura – contiene molte delle idee che Frank Miller si era visto scartare per il secondo capitolo. Le riscritture resero poi la sua versione irriconoscibile o quasi, un’esperienza che portò Miller ad abbandonare Hollywood definendo le sue sceneggiature “un idrante, e dietro l’angolo c’è una fila di cani che non vede l’ora di poterlo raggiungere”. Ma al netto degli stravolgimenti che fecero infuriare l’autore, la storia prosegue quella dei due capitoli precedenti, e in particolare la scalata della OCP al controllo di Detroit.

Questa volta ci sono degli investitori esterni, che portano un necessario flusso di denaro a una corporazione che è riuscita a mandare in bancarotta la città di Detroit e comprarsela, ma che non riesce con le sue forze a fare il passo successivo: raderla al suolo e costruire al suo posto la futuristica e futuribile Delta City. Più che portare avanti la storia di Alex Murphy, RoboCop 3 è un film di turbocapitalismo nel quale RoboCop arriva e fa il suo mestiere, senza per questo imparare granché su di sé (un motivo invece ricorrente nei primi due capitoli). Non è una vicenda ambientata a Detroit: è la storia di Detroit, nella quale il cyberpoliziotto è solo una pedina.

RoboCop 3 e il turbocapitalismo

È evidente fin da subito che l’interesse di Miller è sulle dinamiche che governano una città senza più un governo, ma che ha speso somme ingenti per creare una forza d’élite dedicata all’eradicazione di tutti quei cittadini che abitano in edifici che devono venire abbattuti per far posto a Delta City. È il passo successivo dello stato di polizia dipinto nei primi due film: anche quando i cittadini non fanno nulla di male, rischiano comunque di rimanere vittime delle forze dell’ordine, che altro non sono che il braccio armato della ricerca del profitto a tutti i costi.

La Detroit di RoboCop 3 è (o dovrebbe, ma ci torniamo) talmente oltre ogni parvenza di civiltà che, pur non essendo tecnicamente in stato di guerra, ha dato origine a una resistenza, un network sotterraneo di cittadini che si ribellano a quella che è una dittatura in tutto tranne che nel nome. È forse la versione più distopica possibile della città, che fa sembrare la Detroit dei primi due film un paradiso, o quantomeno un posto non così tremendo dove sopravvivere. È un gran peccato che, su uno sfondo così affascinante, caotico e anarchico, il film non riesca a trovare una storia da raccontare che abbia un qualche impatto.

RoboCop 3 è… per famiglie

Secondo la pagina Wiki del film, che rimanda a una fonte che però, ahinoi, non è direttamente controllabile, la produzione decise che per RoboCop 3 era necessario abbassare i toni e ridurre la violenza, perché, come meta-cinematograficamente illustrato da una delle prime scene del film, RoboCop piaceva soprattutto ai bambini. Viene da chiedersi che razza di genitori facessero vedere RoboCop 1 e 2 ai loro figli undicenni, fatto sta, che per assecondare questa che con il senno di poi ci sembra una svista clamorosa, il film venne normalizzato, la violenza ridotta fino quasi a scomparire.

Ne risulta quello che non possiamo definire se non “un giocattolone”: un film nel quale RoboCop continua a venire fatto a pezzi per poi tornare più forte di prima, ma che tiene il freno a mano tirato su tutti quegli eccessi grafici che caratterizzavano in maniera decisiva i primi due capitoli. RoboCop 3 è spuntato e innocuo: si continua a fare il tifo per Alex Murphy per affetto, ma si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa, che Detroit non sia più un girone dell’Inferno ma una semplice città piena di criminali da operetta. E non ce la sentiamo neanche di dare la colpa al regista Fred Dekker, quello di Monster Squad per intenderci, scelto perché era il nome perfetto per portare il film nei territori più familiari e meno sanguinolenti nei quali finisce per impantanarsi. È proprio l’idea alla base che è sbagliata: RoboCop è anche violenza, e non è un caso che RoboCop 3 abbia ammazzato il franchise – resuscitato poi nel modo peggiore nel 2014, ma questa è un’altra storia, che vi abbiamo raccontato qui.

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