Robin Williams non si misura come gli attori ma come gli atleti

Furioso, dinamico, impetuoso e grandioso in qualsiasi direzione andasse (dal massimo del comico al massimo del drammatico) lo faceva con una forza e una fatica micidiali

Critico e giornalista cinematografico


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Il genio che esce dalla lampada in un tornado di parole, effetti, luci e gran casino in cui però si distingue bene ogni cosa, in cui le parole e i contenuti sono continuamente sfidati nella gara per ottenere l’attenzione dello spettatore dal fascino delle mosse e dalla furia del corpo, la definizione stessa della presenza in video di Robin Williams, comico e attore (separatamente e alle volte anche allo stesso tempo) dotato di una forza muscolare e di una capacità di abitare ogni inquadratura con un peso e un dinamismo che nel cinema hanno pochissimi pari. Talento e allenamento, fantasia e fiato, Robin Williams, letteralmente, faceva girare tutti intorno a sè, macchine da presa incluse, in ogni scena era il punto gravitazionale che come un motore dava ritmo al resto coi suoi movimenti rapidi e i suoi improvvisi silenzi carichi d'empatia.

Molti sono gli attori dotati di una presenza fisica importante, calamitante, molti altri quelli dai movimenti affascinanti e dalla parlata coinvolgente, Robin Williams aveva entrambe e le univa attraverso una forza che (per fortuna) rimane indescrivibile e costituisce il vero piacere di starlo a guardare in ogni film, anche nei peggiori. In più, caso decisamente raro, era spesso autore di se stesso.

La sua carriera è stata fin dall’inizio divisa rigidamente in due, da una parte il paradigma Mork da Ork, dall’altra quello del “Capitano, mio Capitano”, raramente i due si univano in una sintesi totalmente originale (il vero robinwilliamsismo), simboleggiata da Goog Morning, Vietnam.
La sua potenza corporale, evidente negli spettacoli teatrali che ha sempre portato in tournée in America lungo gli anni poteva quindi prendere sia la via della furia, della logorrea esilarante (tra trovate comiche memorabili e accenti replicati perfettamente), sia quella del silenzio espressivo, non meno potente ed ingombrante. Si può provare stima per il coraggio di doppiare un attore così ma nondimeno è inevitabile sentenziare che chi non l’ha mai sentito recitare con la sua voce non l’ha mai davvero conosciuto. Era un vero artista della saturazione, capace di rovesciare migliaia di parole al minuto e farle roteare con i suoi gesti davanti agli occhi del pubblico, ma anche sorprendente nei suoi momenti di stasi, immobile con occhi piccoli piccoli che a stento tengono dentro quel che ribolle nel cuore. Del grande dialogo centrale di Will Hunting - Genio Ribelle chi ricordate? Matt Damon, il protagonista che ha la maggior parte delle battute e sul quale si misura il cambiamento centrale per la storia, o il suo controcampo barbuto di non troppe parole, sempre seduto e dal gentile sorriso contagioso?

Alla stessa maniera di L’attimo fuggente si ricordano sempre gli studenti in piedi sui banchi e la musica che cresce ma quel che dà a quella scena la sua potenza drammaturgica in realtà è l’aria rilassata del volto di Williams, il controcampo che dona valore all’immagine madre, loro dicono “Siamo con te” lui risponde qualcosa per la quale non ci sono parole e si può comunicare solo per empatia attraverso il volto.

Sarà davvero difficile stavolta sovrastimare la sua importanza nel cinema mondiale e la portata della sua ombra. Con la partecipazione ad Aladdin della Disney ha di fatto reso uno standard l’uso di talent per il doppiaggio di cartoni per il cinema, con la sua recitazione ha influenzato altri attori determinanti del cinema americano come Jim Carrey (per citare quello che più direttamente si rifà a lui), per spettro espressivo e potenza ha superato anche il suo maestro (Jerry Lewis, forse più noto a suoi tempi ma meno vario). Non è mai stato beniamino del cinema americano più impegnato ma lo stesso ha elevato  ogni film di livello medio cui ha partecipato ed è stato capace di prendere abbagli clamorosi come pochi altri (L’uomo bicentenario, Flubber, Patch Adams, Al di là dei sogni…) o imbroccare film senza senso come Toys (amarlo è roba da malati ma dona gran soddisfazione).

Flagellato dalla passione per la cocaina e per l’alcol (come molti ricorderanno in queste ore c’era anche lui al party in cui morì John Belushi e spesso ha dichiarato che solo una casualità ha deciso chi dei due dovesse vivere e chi morire), non ha mai smesso di professare un mestiere intendendolo come uno sport, con un atletismo evidente soprattutto nelle sue ultime prestazioni live non preparate (come da David Letterman, in cui spesso il conduttore gli lasciava campo libero, conscio che se è in forma non ha senso tenergli testa), in cui reduce da tutto, da interventi al cuore e rehab, mostrava evidenti segni di fatica e fiatone nei suoi consueti monologhi. Per fare il Robin Williams ci vuole la testa ma soprattutto il fisico, allenamento necessario a non soccombere alla potenza dei movimenti secchi e rapidi (come e più del genio della lampada), all’esplosione di certe battute come un colpo di fucile e alla capacità di usare attimi di stasi come quiete prima della tempesta.

Robin Williams è stato un attore da misurare come si fa con gli olimpionici, guardando alla quantità e alla qualità, alla durata, al tempo di reazione fino anche alla lunghezza del suo tiro. Un vero fuoriclasse della scena capace di eclissare chiunque gli fosse messo accanto. Raramente capiterà di vedere altri interpretare il proprio mestiere in maniera così peculiare ed originale, così riconoscibile in uno spettro drammatico così ampio.

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