Con Il Risveglio della Forza J.J Abrams riporta il mistero nel mondo di Star Wars

Perché Star Wars - Il Risveglio della Forza può affascinare anche un appassionato di lunga data

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Chi scrive ha avuto la fortuna di esplorare la Galassia Lontana Lontana da piccolissimo. Certo, erano le temibili edizioni speciali del 1997 in VHS ma, a quei tempi, gli occhioni di Leia, il volo degli X Wing (si chiamavano ancora “jet ala X”) e la magia di ogni singolo fotogramma facevano passare in secondo piano la pessima CGI e le modifiche narrative.

Forse sono strano oppure non capisco nulla di epica o entrambe ma, fin da quella prima visione sul televisore sbiadito dei miei nonni, non sono mai stato troppo affascinato dalla vicenda pregressa a Una Nuova Speranza. Mi sembrava che Darth Vader/Anakin Skywalker fosse già abbastanza tratteggiato nella trilogia originale: un Jedi astropilota dalle straordinarie capacità che, per arroganza, cede al lato oscuro ma riesce a redimersi. Non mi interessava sapere “di più” sul passato, ma fantasticavo sul futuro dei personaggi. Leia avrebbe governato la Galassia? Luke fonderà un nuovo ordine Jedi? Han diventerà un buon padre di famiglia?

Insomma, il futuro mi appariva molto più intrigante di qualsiasi prequel, foss’anche perché, al contrario di Lucas, io mi avvicinavo alla maturità mentre lui scivolava nella vecchiaia e nei ricordi. Tuttavia, vent’anni dopo, sono contento che la saga di Star Wars abbia chiuso la pratica sulle origini dell’impero prima di concentrarsi sugli eventi successivi al Ritorno dello Jedi. Le tre decadi reali trascorse fra l’ultimo film originale e Il Risveglio della Forza hanno regalato a J. J. Abrams un’occasione straordinaria, la sfida di offrire la saga cinematografica più amata di tutti i tempi a una generazione che, come dice Rey, ha solo sentito “stories about what happened”.

Sul fronte della critica pure non ho molto da aggiungere rispetto a quanto hanno detto e scritto Gabriele Niola e Andrea Bedeschi, Il Risveglio della Forza non poteva essere meglio di così e non poteva essere diverso, criticarlo per la sua somiglianza con Episodio IV vorrebbe dire criticare l’Eneide perché somiglia troppo all’Iliade. Il mito ha bisogno della ripetizione per esprimere la sua forza drammatica.

Il dato più interessante di Star Wars VII è un altro: dopo una trilogia di prequel che ci accompagnava per mano verso un finale già scritto, questa nuova avventura esplora l’ignoto, strappa noi fan dal confortevole nozionismo e non ci spiega (quasi) niente. Possiamo cogliere tutte le citazioni che vogliamo, sorridere quando il Millennium Falcon entra in scena ma la verità è che noi, frequentatori assidui delle peggiori bettole di Mos Eisley, siamo come i ragazzi che scoprono Star Wars con Daisy Ridley e John Boyega: non sappiamo cosa è successo nei trent’anni che separano la battaglia di Endor dall’ascesa del Primo Ordine, siamo come Han Solo, vecchi arnesi, materiale per gli annali più che per le battaglie. Abrams ha riportato il mistero, il sense of wonder, in un mondo di cui ormai sapevamo tutto e l’ha fatto senza tradire l’opera originale. Tanto quanto Episodio I, II e III apparivano stucchevoli con i loro salottini e le astronavi cromate, Episodio VII ci sbatte in faccia l’estetica che amiamo ma, al tempo stesso, ci fa capire che tutto è cambiato, un po' come quando torniamo nella nostra scuola elementare: le aule sono identiche ma percepiamo che che gli anni sono trascorsi, che quelle mura hanno visto storie diverse dalla nostra. Si tratta di una sensazione strana, non sempre piacevole, tuttavia in qualche modo percepiamo che, in qualche modo, le madeleine fatte di ferraglia, blaster poco precisi e pianeti esotici solleticano i ricordi corretti. Comprendiamo di essere davanti a una vicenda di cui facciamo parte senza esserne più i protagonisti. Han, Leia, Luke, i nostri eroi sono invecchiati, hanno le rughe: Abrams, da vero erede della New Hollywood, supera il dualismo padre/figlio su cui Lucas e Spielberg hanno costruito le rispettive carriere e ci racconta quella fase della vita in cui i ruoli si invertono, quando si smette di essere “figli” senza essere ancora diventati “padri”. Forse mi sbaglio ma, con Il Risveglio della Forza, la saga sembra spostarsi su un conflitto intragenerazionale più che transgenerazionale. Le colpe (o i meriti) dei padri non mancano ma l’intero racconto mette al centro dell’azione le vicende di Finn, Rey e Kylo Ren.

La delicatezza con cui Abrams passa il testimone alle nuove leve è la vera vittoria di questo film. Mentre i nuovi protagonisti apprendono le vie della Forza, accompagnamo al cinema una nuova generazione di fan, non per ascoltare le storie di cui sentivamo il bisogno noi (come accadeva nei prequel che, infatti, non funzionavano molto in questo senso) ma, finalmente, per cedere a un nuovo equipaggio le chiavi di quel vecchio rottame corelliano rimasto per trent’anni sotto un telo.

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