Rischiatutto e i David, Rai e Sky, postmoderno e maniera

Uno strano allineamento crossmediale ha visto esordire, quasi in contemporanea, i David di Donatello targati Sky e la nuova edizione del Rischiatutto

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A cura di Nicolò Carboni

In questi giorni uno strano allineamento crossmediale ha visto esordire, quasi in contemporanea, i David di Donatello targati Sky e la nuova edizione del Rischiatutto prodotta da Viale Mazzini.

Le due trasmissioni, manco a farlo apposta ci dicono molto sullo stato delle due principali aziende produttrici di “cultura popolare” in Italia, in particolare sul rispettivo rapporto con il postmoderno e la valorizzazione del recente passato.

Fazio e Cattelan hanno solo sedici anni di differenza, entrambi mossero i primi passi nel mondo musicale (Fabio sulle radio private liguri, Alessandro su MTV) e entrambi appartengono a quella genia di conduttori gentili epigoni di Enzo Tortora. Nessuno dei due occupa mai il centro della scena televisiva preferendo una costruzione certosina dei rapporti fra ospiti, scenografia e scrittura del programma.

Pur con tutte queste somiglianze, però, fra Fazio e Cattelan passa la stessa distanza che separa Cinecittà da Hollywood, o la Rai da Sky, se preferite.

Sul fronte della grammatica televisiva rilanciare i David o il Rischiatutto non cambia molto: si tratta di show con un grande passato e associati a nomi storici del piccolo schermo italiano (Lello Bersani e Mike Bongiorno). Maneggiarli è molto difficile ma, volendo semplificare al massimo, la tecnica più pigra è quella della celebrazione eccentrica, area in cui Fazio e i suoi autori eccellono.

Si recuperano gli stilemi classici dello show?—?in questo caso il pulsante, la cabina, la valletta?—?e, procedendo per aggiunte incrementali, vengono via via aggiunte componenti più moderne e così arriviamo alla puntata inaugurale del “nuovo” Rischiatutto con celebrity guascone che si prestano al gioco, la dissolvenza dalle prime inquadrature in bianco e nero al colore e, in generale, quella sensazione di disagio che i ventenni provano quando i genitori gli fanno ascoltare su Youtube le canzoni della PFM.

A tutto questo si aggiunge il personaggio Fabio Fazio e il suo tentativo di proposi come variante (post)moderna di Mike Bongiorno. Basta ripercorrere la carriere del conduttore savonese (Quelli che il calcio…, Anima mia, i tre Festival di Sanremo, Che Tempo che fa, gli show con Saviano) per comprendere quanto la sua idea di TV sia lontana da quella di Mike. Non serve neppure scomodare la solita Fenomenologia scritta da Umberto Eco, Fabio Fazio è l’opposto del conduttore della Ruota della Fortuna, non cerca la connessione sentimentale col pubblico mettendosi al suo livello ma costruisce un umorismo rarefatto, quasi cerebrale, che piace alla gente che piace. In sintesi, i programmi di Fazio piacciono ai membri di Sceneggiatura Democratica, quelli di Mike Bongiorno li scriveva Glauco.

Il problema della Rai non è quasi mai nelle idee ma sempre nella realizzazione: la struttura burocratica dell’azienda è talmente abituata alle messe cantate che, ormai, non riesce a produrre altro. Il Rischiatutto di Fazio si rivolge al pubblico che nel 1970 era già abbastanza vecchio per ricordare la signorina Longari e Sabina Ciuffini e, non a caso, pur avendo vinto in termini di share, non ha prodotto alcuna reazione sui social: non si trovano video, tweet memorabili o particolari hashtag. Il rilancio di uno dei programmi più importanti della storia della TV italiana non è stato praticamente percepito da chiunque abbia meno di 40 anni, ovvero da chi, almeno in teoria, dovrà pagare il canone per i prossimi decenni.

L’esperimento di Sky con i David, invece, ribalta del tutto la prospettiva: la produzione sapeva bene di doversi barcamenare con un baraccone secondo solo al festival di Sanremo e, anziché farsi impelagare in ridicole competizioni, ha tagliato ogni eccesso, a partire dalla durata dello show. In due ore secche abbiamo visto i premi, gli sketch comici e tanto spettacolo di buon livello. Niente lungaggini, niente code che si trascinano in quarta serata, niente tempi morti.

Per nulla spaventata dai bolsi riti del cinema italiano, Sky ha giocato con l’immagine da parvenue e la presunta “incompetenza” di Cattelan coinvolgendo Paolo Sorrentino in una gag ideata dai Jackal.

La Grande Bellezza incontra YouTube con il conduttore a fare da tramite fra i due mondi, unendo idealmente il telespettatore classico con la sterminata platea di chi la TV non l’accende da quando ha smesso di abitare con i genitori. Non a caso la serata dei David ha visto un engagement sui social non estremo ma piuttosto solido con commenti, condivisioni e, in generale, l’attenzione quasi completa da parte di quello stesso pubblico che fa le dirette twitter di Sanremo o X-Factor.

Sempre Umberto Eco (questa volta nei commenti al Nome della Rosa) ci ricorda che: “La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente.”, ecco dove Cattelan vince e Fazio inesorabilmente perde: l’ironia del conduttore Sky è reale, si nutre del contemporaneo e lo rielabora, mentre quella di Viale Mazzini finisce subito nel manierismo. Nei David è lo show che si adatta al presente, nel Rischiatutto c’è l’arroganza di voler adattare il presente allo show.

https://www.youtube.com/watch?v=uERWwg8f7ZM

Qualcuno potrebbe pensare che Sky abbia un vantaggio competitivo grazie al suo far parte di un grande gruppo internazionale ma, in realtà, il ragionamento prescinde dal portafoglio di Rupert Murdoch. Gli anni del Rischiatutto originale erano pure quelli di Milleluci e Studio Uno, quando il genio di Antonello Falqui costruiva il canone del grande varietà italiano. Oggi servirebbero visionari con quel talento, intellettuali in grado di dialogare con il contemporaneo senza tradire il passato altrimenti, e non ci siamo troppo lontani, mamma Rai rischia di diventare una nonna anzitempo.

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