Richard Gere a Roma per L’Incredibile Vita di Norman: "Faccio esattamente gli stessi film che facevo ai miei esordi"

L'attore a Roma per presentare L'Incredibile Vita di Norman ha raccontato cosa è cambiato nella sua carriera e se stavolta sarà in gara per un Oscar

Critico e giornalista cinematografico


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Andare ad un incontro stampa con Richard Gere è un’esperienza a sé, fondata su un irresistibile fandom malcelato da parte di una buona fetta delle giornaliste presenti in sala di ogni età (ma soprattutto quella più vicina a Gere). Ogni risposta è condita da complimenti, charme e occhiatine complici dalla star alla platea, a cui seguono commentini divertiti dalle prime, ambitissime, file.

Oggi poi Richard Gere è arrivato con un filo di voce flautata e subito ha chiesto un po’ di clemenza e gentilezza perché vittima di jet lag. La reazione alla richiesta ha causato uno zampillio di cuoricini da tutto l’uditorio più coinvolto. È probabile che nemmeno un incontro con Clooney o Redford avrebbe questo tipo di effetto. È il vero star power.

Gere è a Roma per L’Incredibile Vita di Norman, film indipendente che come molti degli ultimi a cui ha preso parte è figlio di Oren Moverman (qui produttore, altrove sceneggiatore). Storia di un traffichino da poco, un arrivista che insiste, sgomita e riesce a finire ai livelli più alti della politica. Ma che diversamente da altri è animato da un buon cuore e vive travagli incredibili per riuscire a fare parte del giro dei più grandi.

Secondo lei Norman che tipo di persona è? Come lo vede?

“La cosa che più piace di questo film è che dovunque lo mostriamo le persone mi dicono: “Ma è davvero un personaggio fastidioso, perché non se ne va e basta?” ed è così per ogni cultura, la stessa reazione.
Lui non è estraneo al nostro mondo, anzi! Oggi viviamo in un mondo basato sulla trattativa, cosa mi dai e cosa puoi ottenere tu in cambio. Una volta, secoli fa, ognuno sapeva qual’era il il proprio posto nella grande lotta per un fine comune più grande, tutti avevano la medesima visione. Oggi addirittura il presidente degli Stati Uniti vive di transazioni e compromessi e non ha un codice morale, è lo specchio della nostra essenza e guardando il quale magari possiamo migliorare e correggerci.
Norman è così anche lui ma a renderlo unico ha un cuore d’oro, non è un manipolatore che alla fine distrugge gli altri, quel che promette lo porta fino in fondo davvero e gli altri li vuole fare felici, anche perché lui è incluso in quella felicità, ha un posto a quel tavolo. È un incrocio delle nostre due nature”.

Questo ruolo ha una fisicità molto diversa da quella a cui ci ha abituato, più dimessa e sofferta, è stato difficile diventare Norman?

“No, non lo è stato perché io sono veramente così. Tuttavia c’è stato un processo di trasformazione. Alla fine sono sempre io a decidere come interpretare un certo personaggio di concerto con il regista, tuttavia lascio che tutti sul set possano contribuire. Mi metto un giorno intero a disposizione della costumista, uno a disposizione della truccatrice… In modo che possano lavorare su di me e poi decido. Stavolta Joseph [il regista ndr.] voleva cambiarmi, allontanarsi dall’immagine dei miei altri personaggi, abbiamo fatto varie prove ma mi sembravo sempre ridicolo. Intanto ero tornato da poco dall’India dove un mio amico attore ha fatto un film in cui interpreta un alieno con le orecchie a sventola, allora mi sono detto che potevo farlo così. La truccatrice ci ha messo pochissimo a realizzare delle orecchie di plastica”.

Ha conosciuto dei Norman nella sua vita?

“Lui è il tipico ebreo dell’Upper West Side di New York, ne ho conosciuti tanti ma sono sicuro di non essere il solo. In ogni cultura e ogni settore ne esistono, perché ovunque ci siano quelli che controllano tutto, i fichi della situazione, là c’è sempre qualcuno come Norman che cerca la porta per entrare. È un personaggio universale, ma la cosa unica è il buon cuore. Nonostante sia la truffa personificiata e non sappiamo dove viva, ha una qualità esistenzialista”.

Pensa che questo ruolo possa portarla finalmente all’Oscar?

“Non mi interessa molto. L’unica cosa buona che potrebbe uscire da un Oscar è che sarebbe più facile per me interpretare ruoli in film come questo”

Da qualche tempo si dedica a film più piccoli e indipendenti, sta cambiando la sua carriera?

“Dal mio punto di vista mi pare di fare gli stessi film dei miei inizi, cioè I Giorni del Cielo. Erano drammi difficili con registi interessanti, li producevano gli studios prima, ora invece li fanno solo gli indipendenti e ovviamente sono parti diverse, perché ho 68 anni e non 28. Certo li giriamo più in fretta e con meno soldi ma la tipologia di film mi pare sempre la stessa”.

C’è una scena che ritiene importante di questo film?

“Sì è quando i due personaggi principali si incontrano. Alla fine hanno solo una vera scena insieme, quella della scarpa. L’abbiamo girata i primi giorni che Lior Ashkenatzi era a New York. Ci abbiamo lavorato molto perché la scarpa è un simbolo importante, ho suggerito io che fosse proprio Norman a fargliela indossare, come Cenerentola, perché per farlo mi devo mettere in ginocchio. In quel momento c’è la favola, la scarpa e l’accettazione di un rapporto, è un bel momento di incontro e quasi innamoramento, qui parte la loro amicizia. Poi vedremo l’incertezza di Norman in fila quando va a stringergli la mano, il momento cui l’amicizia viene rivitalizzata fino a che viene troncata (anche figurativamente) quando lancia il telefonino nell’acqua. Questo viaggio mitico è molto bello e interessante, è l’aspetto del compromesso che domina l’amicizia”.

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