Revenant è stato un precursore dell’estetica della Realtà Virtuale

Revenant ci immerge in una esperienza sensoriale totale che parla diverso ad ogni persona diversa. E ci aggiunge un po’ di magia.

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Revenant è disponibile su Disney+

Quanto era bello lamentarsi dei film nell’edizione 2016 degli Oscar. Una di quelle che faceva sembrare The Martian e Room due intrusi nella corsa per il miglior film. Un’annata in cui Il ponte delle spie si sfidava con il commovente Brooklyn e dove La grande scommessa era in competizione a fianco di un altro film politico come Il caso Spotlight. C’erano poi due film duri, fisici, ripresi in luoghi impervi con attori stremati e storie di produzione capaci di riempire libri interi. Il primo era Mad Max: Fury Road, il secondo Revenant - Redivivo.

Revenant agli Oscar 2016

Lo ricordate? Si tifava un po’ tutti Leonardo DiCaprio per il suo Oscar come miglior attore nel film di Iñárritu per una performance totalmente corporea anche se non complessa come quella di Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street. Eppure contro l’adrenalinica corsa imbastita da George Miller la parabola di morte e rinascita di Revenant ne usciva quasi sconfitta. Non che sia veramente così, sia chiaro! Solo che eravamo in una stagione così ricca di stimoli che un’esperienza come questa poteva essere comparata con altro e messa al secondo posto! Ed era bello lamentarsi della durata, di qualche eccesso mistico e retorico, e di storie ridotte all'osso.

Oggi no. Oggi si può rivederlo su Disney+ e, nonostante qualsiasi schermo domestico non possa replicare l’esperienza in una sala ben curata, Revenant sembra fuori dal mondo. Un po’ perché è da 1917 di Sam Mendes che non si vede un film così pienamente cinematografico espresso da una produzione arthouse. Un po’ perché con il suo stile visivo peculiare il film non è invecchiato di un giorno. Addirittura la sua ricerca di immersione ha  anticipato e codificato quella della realtà virtuale.

Realtà con un pizzico di magia: il cinema

Revenant

Il realismo magico di Iñárritu porta nella magistrale sequenza iniziale a camminare insieme al cacciatore di pelli Hugh Glass. Emmanuel Lubezki gira con luce naturale in condizioni estreme arrivando a toccare temperature a -30° che bloccavano le attrezzature. Usa il grandangolo per allargare il più possibile il campo visivo. Raramente sappiamo che cosa osservare. Il primo piano è importante quanto lo sfondo, che può essere un animale che si avvicina o una freccia che trafigge il soggetto. 

Sommato all’uso del piano sequenza che dilata il ritmo e fa scorrere tutto in tempo reale ottiene un effetto di acceso realismo. Iñárritu non voleva però un esercizio di stile da presentazione dei nuovi impianti cinematografici nelle convention di settore. Fa queste precise scelte estetiche per andare a rafforzare quello che più gli interessa: la spiritualità del confine, il legame inscindibile dell’uomo con la natura.

Si doveva quindi portare lo spettatore ad essere un compagno di viaggio di Glass. Gli stiamo attaccati anche nella violenza delle vicinanza (la spettacolare sequenza di lotta con l’orso). Lui muore molte volte. Una la vediamo lontana nel tempo, ed è il momento della morte della moglie appartenente alla tribù Pawnee durante un attacco al villaggio. Poi c’è ovviamente la terra che entra nelle sue ferite dopo la lotta con l’animale.

Lo seguiamo letteralmente mentre entra nelle pelli delle bestie ammazzate. Muore e risorge in un'altra creatura e ne prende un tratto del carattere. La furbizia di un cervo, la forza di un orso.

Il cammino di Revenant nel purgatorio

In Revenant il Redivivo sembra anche un predestinato. Uno che soffre tantissimo e affronta percorsi impossibili per ogni uomo, ma le prove che gli vengono proposte sono sempre all’altezza delle sue capacità. Il punto di questo peregrinare nel purgatorio dell’ignoto fatto di neve, solitudine e freddo, è ritrovare la propria ragione di esistere prima di decidere se compiere un atto di vendetta o lasciare la sorte del rivale al destino.

Sono tanti temi che si sommano a una visione spirituale adatta per una confezione filosofica alla The Tree of Life. Iñárritu invece non vuole che si contempli esteticamente le immagini per farsi interrogare da queste. Al contrario di Malick lui cerca un aspetto ben più carnale: la ricerca di senso deve partire dall’esperienza tattile.

Carne y Arena

Il regista si è mosso anche nel mondo delle installazioni artistiche. Due anni dopo aver girato Revenant ha proposto Carne y Arena. Un’esperienza che fonde il movimento concreto nello spazio con la percezione data dalla Realtà Virtuale. Si basa sui racconti dei rifugiati Messicani per far immergere nella condizione di immigrati e rifugiati. Si tolgono le scarpe e si entra in un padiglione freddo, acciecati dal visore che somma all’esperienza del reale uno strato virtuale. Nell'esperienza si cammina al confine insieme ad altre persone, si viene cacciati e arrestati proprio come realmente accaduto ai compagni di viaggio registrati e digitalizzati. Nella VR come nel suo cinema Iñárritu fonde il reale più reale possibile con la magia.

Un filo rosso da Birdman a Revenant

Riggan Thomson, il protagonista di Birdman, ad un certo punto vola. Ma è in un film dove nessuno ha superpoteri, anzi, in cui si affronta un normalissimo dramma psicologico. Però in quello che è conoscibile con i sensi, il cinema e la tecnologia possono aiutare a trovare il magico. Come se svelassero un qualcosa che ad occhio nudo non si può vedere.

La stessa cosa fa Revenant, che sembra fruibile tramite visore, anche se arrivò un anno prima della distribuzione dei primi dispositivi consumer. È un film di uomini liberi nello spazio e che lascia liberi di farne esperienza come si vuole. Si può seguire il primo piano, prestare attenzione solo allo sfondo, chiudere gli occhi e immergersi nei suoni. La regia guida il minimo possibile, tanto che a volte i personaggi escono dall’inquadratura o arrivano da fuori. Se avessimo avuto un casco a 360º avremmo potuto scegliere come e quando guardarli. 

Per questo motivo Revenant è così discutibile e piacevole da sviscerare. Perché è innegabile l’assoluto virtuosismo che lo accompagna dall’inizio alla fine. Però ogni volta che lo si guarda si è liberi di vivere una storia diversa. Può non piacere Glass come protagonista, ma il mondo che lo circonda è ugualmente importante. La prima volta si può vedere il compagno che muore, la seconda si osserva l’uomo che prega sullo sfondo, la terza il sole al tramonto o le radici degli alberi che sembrano bracci avvolgenti.

Come la vita vera questo cinema parla diverso ad ogni persona diversa. E ci aggiunge un po’ di magia.

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